Aldo Luigi MancusiMario Monti, per gli americani ‘Super Mario’, ormai è un vero mattatore, cosa che in fondo abbiamo voluto un po’ tutti, a parte qualche mosca bianca deviata dalle solite esaltazioni di ego esasperato. La riforma del lavoro è l’attuale pietra dello scandalo, ma non per la riforma in sé, quanto per questa modifica di una comma dell’articolo 18. La cosa che più fa ridere, però, sono le posizioni prese, sia a sinistra, sia a destra, riguardo questo mutamento dell’articolo. Così, mentre la Cgil della Camusso annuncia scioperi nazionali a oltranza, Vendola grida al liberismo più esasperato, Bersani non sa come mettere d’accordo le varie anime del suo Partito, la Lega se ne frega, Alfano ripete a ‘pappagallo’ ciò che gli dice dietro le quinte Berlusconi e Casini sembra l’ultimo Templare in difesa di Monti il Graal. Il testo di legge ancora non lo ha letto nessuno. Vi sembra normale una cosa del genere? Solo in Italia potevamo alzare un polverone su quattro parole messe in croce senza avere delle basi concrete su di cui aprire un tavolo di discussione: fantastico! A ogni modo, del poco che si è capito, lasciando stare una modifica all’articolo 18 che prima vogliamo leggere, questa riforma qualcosa fa. Non molto sia chiaro, ma è una prima base su cui lavorare. In primo luogo, mette fine allo sciacallaggio delle finte partite iva; in secondo luogo, prova a mettere ordine tra i mille contratti a tempo determinato ‘atipico’ che hanno reso malato il nostro mercato del lavoro. Una cosa, tuttavia, è certa: questo decreto non serve a rilanciare la nostra economia. Chi lo dice mente e chi lo ha redatto non aveva queste intenzioni. Il problema del rilancio delle nostre imprese è un’altra questione e va affrontata sotto un’altra prospettiva. Lo Stato non può immedesimarsi certo in un’impresa sempre più debole, ma può e deve aiutarne la crescita. Come? Semplicemente agevolando fiscalmente 3 categorie d’impresa: i giovani imprenditori che decidono di entrare nel mercato; quelli che investono in ricerca creando così competitività con nuovi prodotti; quelli che investono nel territorio nazionale e non ‘delocalizzano’ le produzioni. Facciamo un esempio facile e simpatico: se Marchionne iniziasse a investire nella ricerca, invece di cambiare marchio ai vecchi modelli Chrysler e non portasse le sue fabbriche in Polonia e Serbia avrebbe, secondo noi, diritto a delle agevolazioni fiscali. Nel frattempo, è notizia delle ultime ore: la Cina si è complimentata con Super Mario e ha deciso di invitare le sue imprese a investire nel nostro Paese. E’ una cosa positiva? Dipende: la storia microeconomica ci insegna che i cinesi è vero che investono, ma è anche vero che non sono molto interessati alle tradizioni del ‘made in Italy’. Perciò, è un'arma a doppio taglio. Chiudiamo con le prime manovre del preannunciato ‘golpe’ di cui molti parlano: il trittico Casini/Bersani/Alfano (in Berlusconi) si è incontrato per parlare della nuova legge elettorale. Bene, dal poco che si è capito - sono ancora scarse e incerte le notizie trapelate - delle preferenze neanche l’ombra, ma in compenso ci regaleranno una specie di vecchio proporzionale stile prima Repubblica con uno sbarramento forse all’8%. La qual cosa significa che, oltre a non aver più bisogno di fare coalizioni al gusto macedonia per presentarsi agli elettori, alla fine i Partiti se la gestiranno come meglio credono. Preparatevi, perciò, ad almeno altri 40 anni di vecchia Dc. Auguri.


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