Ammorbante, insulso, contraddittorio: uno dei più brutti festival di Sanremo degli ultimi anni. Una rottura di ‘scatole’ infinita, composta da cariatidi e luoghi comuni, balletti della ‘foca’ e inutili farneticazioni, veline esposte come ‘pezzi di carne’ e parolacce gratuite. Belèn Rodriguez ha pienamente dimostrato di essere una ‘furbetta’: si è fatta una cultura sulla storia della trasgressione sanremese e, pur di mostrarci la sua ‘farfallina’ tatuata sull’inguine si è fatta cucire il perizoma sotto al vestito: roba da augurarle presto una lombocruralgia diagnosticabile solo tramite risonanza magnetica. Hanno deluso tutti, tranne Geppi Cucciari e Rocco Papaleo: la prima le ha suonate giustamente al gruppo organizzatore del festival, il secondo ce l’ha messa tutta nel tentativo di far emergere la kermesse dalla stucchevole melassa in cui Morandi continuava a immergerla. La Canalis era carina e in splendida forma, con le sue gambe toniche e perfette. Ma anche su di lei qualcuno ha pensato bene di dover rovinare ogni cosa con un trucco pesantissimo, da ‘travone’ di viale Zara. Su Celentano avevo pensato di stendere un ‘velo pietoso’. Ma come si fa a rimanere silenti di fronte a un arrogante parolaio che pretende, senza essere né un editore, né un giornalista, di dettare la linea editoriale a delle testate di informazione? Nel giornalismo comandano coloro che contano, che ‘pesano’: chi ha dei lettori fedeli, un gran numero di contatti su internet, dei solidi sponsor alle spalle, oppure, più semplicemente, del danaro liquido. Solo per prendere il tesserino da giornalista pubblicista bisogna guadagnare almeno 5 mila euro in due anni. La qual cosa significa che si viene iscritti all’albo professionale più per ‘cassa’ che per competenza. Altro che corporazione mediatica che non avrebbe nient’altro da fare se non attaccare Celentano: bisogna farsi un ‘mazzo’ per emergere, in questo mestiere, che il nostro 'molleggiato' neanche se lo immagina. Per non parlare di quando si viene ammazzati in quanto inviati in zona di guerra, oppure perché si è ‘pestato i piedi’ a qualcuno. Ma che caspita ne sa, Celentano, del giornalismo? Si vergogni, per favore, che il suo cattolicesimo è vuoto come i giorni di vento. Già ne abbiamo pochi di ‘casini’: cosa crede che siano i ‘leghisti’ se non dei cattolici impazziti, che ragionano secondo un unico e univoco ‘metro ideologico’ di riferimento? Niente da fare: ci si mette pure Celentano a fare lo ‘sborone’. Rimane pur vero che questo Paese sta attraversando tempi ‘spaesanti’. Una giustificazione che da sola rappresenta e interpreta il brutto risveglio di un popolo da una ‘sbronza berlusconiana’ iperpropagandista e ultramediatica, a cui è mancata ogni valida e coerente alternativa sul fronte progressista. Sono almeno dieci anni che combatto contro testate come ‘Avvenire’ e ‘Famiglia Cristiana’ per farle uscire da ogni rigidità integrista, per aiutarle a confrontarsi con la modernità. E sul più ‘bello’ arriva lui, Celentano, che si mette a sparare loro addosso ‘da destra’ perché non parlano di Dio, del paradiso e dell’al di là, mandando in ‘vacca’ ogni sano sforzo laico di ragionare con le religioni su un terreno di essenzialità filosofica, per farle emergere dalla ‘sbobba’ mistico-escatologica. E’ proprio il misticismo quel che rende le religioni oscurantiste e inattuali! Non beve solo acqua questo qui, quando gli si secca la gola. La verità, insomma, è una soltanto: il festival di Sanremo non è più una gara tra canzonette in cui riflettere su tematiche poetiche e musicali, bensì un’occasione in cui sovraesporsi al fine di ‘puntellare’ all’infinito le proprie carriere artistiche personali. Se questa rassegna non saprà tornare alle proprie origini, credo che ben presto tutto il ‘baraccone’ dovrà chiudere i battenti, perché agli italiani non lo ordina di certo il medico di doversi sorbire ogni anno conduttori che non azzeccano il nome di una band internazionale neanche per ‘bucio di culo’, ‘veline’ e ‘lustrini’ che idealizzano un ruolo sociale della donna unicamente rispondente a canoni di bellezza ornamentale, di subalternità puramente decorativa al maschilismo più atavico degli ‘italioti’, secondo la canonica ‘anticaglia’ della ‘divisione dei ruoli’. Questa è robaccia, amici miei: una ‘pagliacciata’. Spiace dirvelo, ma le cose stanno proprio così.