Il decreto pubblicato in questi giorni sulla Gazzetta ufficiale è la dimostrazione che le nostre preoccupazioni sull’inopportunità di provvedimenti sulla cosiddetta 'chimica verde' nella produzione dei sacchetti per la spesa erano fondate. Bene hanno fatto i ministri Corrado Clini e Corrado Passera a non ascoltare le ‘sirene’ di ambientalisti e politici interessati a risolvere realtà occupazionali locali a discapito di 23 mila posti di lavoro sparsi in tutta Italia. Il fatto che il Consiglio dei ministri abbia varato un decreto nel quale viene deciso di avviare, in tutta urgenza, la predisposizione di un decreto interministeriale che regolamenti il settore della produzione dei ‘bioshoppers’ tenendo conto delle normative europee indica che tanto il ministro dell’Ambiente quanto quello dello Sviluppo economico intendono affrontare la materia dal punto di vista tecnico e non sull’onda di sbandierate tutele dell’ambiente. La scelta prudente del Governo, che raffredda gli entusiastici proclami di interessati parlamentari umbri, dà un respiro di sollievo alle 2 mila 400 aziende italiane della produzione dei sacchetti biodegradabili che impiegano 23 mila addetti, poiché attraverso un rigoroso rispetto delle normative europee, il decreto interministeriale non potrà di fatto spianare la strada alla creazione di un monopolio di produzione, perché in contrasto con il principio della libera circolazione delle merci imposto dall’Europa. Infatti, l’introduzione del tassativo rispetto della norma tecnica 13432, non giuridicamente vincolante come falsamente sostenuto, consentirebbe a una sola azienda italiana, la Novamont, che vede come azionista di riferimento Mater Bi spa a sua volta partecipata da Banca Intesa - San Paolo, di produrre i sacchetti da asporto, creando, da un lato, gravissime conseguenze in termini di relazioni tra il nostro Paese e l’Europa, con prevedibili sanzioni, visto che tra l’altro pende già un’infrazione comunitaria dovuta proprio al via libera unilaterale italiano ai bioshoppers, dall’altro, drammatici risvolti occupazionali con la perdita del lavoro di oltre 36 mila addetti. Il fatto che oggi questa famigerata norma tecnica non sia affatto indicata o prescritta come vincolante è dunque positivo. Abbiamo già chiesto alle commissioni parlamentari italiane di valutare, nella maniera più appropriata, la vicenda e stiamo inoltre predisponendo un dossier che smentisce tutte le bugie interessate su fantomatiche esigenze di tutela dell’ambiente a uso del costituendo monopolio, dossier che provvederemo a inoltrare ai ministeri italiani, unitamente ai competenti uffici europei. Dovendo il decreto interministeriale ricevere il preventivo avallo dell’Europa, che non potrà arrivare per una serie di motivazioni tecniche, ci stiamo attivando per confrontarci in sede europea e smascherare il tentativo di imporre un monopolio in Italia, indipendentemente dal fatto che un decreto interministeriale è comunque sempre, autonomamente e immediatamente, impugnabile.
Presidente nazionale di Fareambiente