Di recente, alcuni giornalisti hanno ritenuto opportuna una difesa d’ufficio per il comandante Francesco Schettino, ovvero colui che ha mandato il piroscafo ‘Costa Concordia’ a schiantarsi allegramente contro uno scoglio dell’isola del Giglio una decina di giorni fa. Ma il solo e unico elemento obiettivo che questi colleghi hanno dimostrato essere fondato è stato quello della diffusione illegale della telefonata tra lo stesso Schettino e il comandante Gregorio De Falco, della Capitaneria del porto di Livorno. Ebbene: voglio innanzitutto sottolineare che, chi ha conosciuto, anche solo per un periodo determinato, gli ambienti militari del nostro Paese sa perfettamente come sono fatti e come si comportano certi nostri uomini. Allorquando mi capitò di dover svolgere il fondamentale ruolo di telescriventista presso la sala telex del Comando operativo territoriale della Regione militare Tosco-emiliana, ho infatti avuto modo di apprezzare la serietà di certi nostri ufficiali, i loro continui inviti alla precisione assoluta dei messaggi che i miei ‘marconisti’ dovevano dettare “con voce alta e stentorea” alle Capitanerie di porto, alle accademie militari, alla Guardia di Finanzia, alle nostre basi aeroportuali. E l’arma dei Carabinieri, che in genere informavo personalmente abbandonando ogni altra occupazione, pretendeva addirittura che mi rivolgessi loro telescrivendo con il ‘Voi’. Non so bene in quale sede, all’epoca, Gregorio De Falco fosse ‘effettivo’. In ogni caso, l’ascolto della sua telefonata con Schettino mi ha riportato ai tempi del servizio militare, svolto con il grado di caporale ‘specializzato’ nel versatile corpo armato delle Trasmissioni, un reparto dell'Esercito in cui forme e linguaggi debbono essere severi ma giusti, in cui non c’è tutta questa ‘puzza sotto al naso’ per un “torni a bordo, cazzo”! Viviamo in un’epoca strana: se si utilizza un modo di esprimersi declamatorio per motivi, soprattutto, di doverosa chiarezza, si ‘passa’ per maleducati o come persona con evidenti problemi ‘caratteriali’. Ma riflettendo intorno alla tragedia del Giglio, mi sono chiesto: è mai possibile che questo qui, il comandante Schettino, possa tranquillamente andare a incagliarsi contro uno scoglio, causare un disastro di proporzioni mondiali, mettere a repentaglio la vita di 4 mila persone, addirittura abbandonare la propria nave prima del tempo, mentre il comandante De Falco non possa pretendere l'esecuzione di un ordine? Dunque è vero che nessuno può essere licenziato in questo Paese, nemmeno chi combina dei 'casini' mostruosi? Dobbiamo continuare con questo ‘andazzo’, in un’Italia in cui non funziona più niente? E’ molto comodo fare i difensori degli Schettino con i ‘piedi al caldo’. Eppure è così: qui da noi salta sempre fuori qualcuno pronto a spezzare una lancia in favore anche del più maldestro dei comandanti navali, in un mellifluo giustificazionismo cattolico estensibile a oltranza. Indro Montanelli, addirittura, teorizzava l’esistenza di “un Dio dei buffoni”, evocabile solo qui da noi: comincio a pensare che non avesse del tutto torto… Vediamo allora di ricapitolare i fatti: in primo luogo, la velocità del ‘Costa Concordia’ era decisamente troppo alta (15 nodi circa) per passare così vicino all’isola del Giglio al buio e di sera, con il rischio di entrare in collisione non solo con uno scoglio non segnalato, ma anche con natanti di pescatori o altre piccole imbarcazioni ancorate ‘sottocosta’. Tant’è che uno ‘squarcio’ di 70 metri la dice lunga sull’accaduto: se il bastimento fosse andato a 6 nodi, probabilmente non sarebbe entrata tutta quell’acqua in sala macchine, perché il danno sarebbe risultato assai minore. E tutto questo per cosa? Per un rituale marinaresco: sempre questo problema delle ‘forme’ e dei ‘riti’ in mezzo ai ‘coglioni’ qui da noi, come se le ‘cretinate’ contassero più delle cose serie! In secondo luogo, dopo l’urto, che dev’esser stato a dir poco spaventoso, è vero che Schettino è riuscito a eseguire una manovra da ‘Mandrake’: senza motori e con una velocità inerziale di circa 8 nodi, egli ha sterzato il timone al massimo e ha dato l’ordine di gettare l’ancora di tribordo, al fine di fare perno sul fondale e tirar fuori la falla a babordo della propria nave dal ‘pelo’ dell’acqua. L’operazione è andata a buon fine. Ma ciò che Schettino, a quel punto, ha totalmente sottovalutato è stata la gravità del danno subìto: egli è rimasto convinto, per un’ora buona, che poteva farsi mandare un rimorchiatore senza rendersi conto che, nonostante la sua ‘derapata’, non aveva molto tempo a disposizione prima che la nave reclinasse sull’altro fianco. Ecco per quale motivo non dichiarava niente alla Capitaneria di porto: pensava di avere tutta la notte a disposizione per attendere qualcuno, inviato, molto probabilmente, dalla sua compagnia di appartenenza. Solo quando la nave ha iniziato a inclinarsi vistosamente ha compreso di aver bisogno dei soccorsi, che avrebbe dovuto trasmettere il classico S.O.S., insomma che doveva impartire l’ordine di abbandonare la nave. Schettino ha sbagliato quasi tutto quel che c’era da sbagliare, anche se c’è da tener conto di ciò che ha fatto di positivo. Tuttavia, mi pare del tutto evidente che stiamo parlando di un comandante veramente ‘strano’, contraddittorio, a due facce, che non sa nemmeno farsi capire bene quando parla: un ‘soggettino’ a sé stante, antropologicamente parlando. Nessuno afferma che lui sia un ‘omm’emmerda’, come è stato scritto su alcuni siti web e social network, ma vivaddio, è palesemente colpevole di tutta una serie di sottovalutazioni e di leggerezze imperdonabili. Non tutti siamo nati per comandare una nave da crociera dal peso di migliaia di tonnellate e lunga più due campi di calcio. E un comandante, in certe situazioni, soprattutto quelle più drammatiche, deve saper compiere delle scelte precise. Invece, nel caso di Schettino, tutto viene riportato in maniera confusa: “Sono andato a riva perché sono caduto dalla scialuppa”. Ma come ‘dalla’ scialuppa? Casomai, ‘nella’ scialuppa! E infatti, dai resoconti dei giornali emerge che, durante la prima fase dell’evacuazione, Schettino non è potuto risalire sulla nave a causa di un guasto alla scaletta di trasbordo sulle lance di salvataggio. Una circostanza, questa, che lo scagionerebbe persino, almeno in parte, poiché la manutenzione ordinaria di una nave spetta alla ditta di armatori proprietaria della stessa e non può essere effettuata dall’equipaggio di bordo, il quale non è tecnicamente specializzato per gestire determinati meccanismi. Ma lui, Schettino, questa cosa neanche riesce a spiegarla, non la dice minimamente: non si capisce cosa caspita lo ‘piglia’ quando è il momento di aprire bocca e proporre una valutazione. Probabilmente, non vuole scaricare il ‘barile’ su chi gli ha assicurato, sino a oggi, un reddito da 180 mila euro l’anno: quale altro può essere il motivo per cui un comandante finisce col ritrovarsi sempre a ‘mezza strada’ rispetto ai propri pensieri, come un viandante che non sa più in quale direzione andare? Che non riesce minimamente a raccontare in quale ‘cavolo’ di situazione ha finito col ritrovarsi a causa di una ‘coglionata’ già fatta, stando alle fonti, almeno altre 52 volte? Ma che modo di fare le cose è, questo qui? Ma stiamo scherzando? Debbo preoccuparmi veramente? Sono forse costretto a evitare di andare a sparare due colpi in un poligono perché quel ‘deficiente’ del mio vicino di ‘piazzola’, nel salutarmi, è capace di puntarmi addosso la canna del suo fucile? Mi dispiace: ci sono compiti, regole e ruoli, in particolar modo negli ambiti della navigazione marittima, in quella aerea o più in generale nel mondo militare, che debbono essere svolti con serietà estrema, con piena responsabilità, con assoluta concentrazione, con il massimo della freddezza imperativa. Come dimostrato dal comandante De Falco, un uomo che, senza alcun dubbio, merita un encomio solenne. Soprattutto, per aver dimostrato di non essere un italiano ‘medio’.
Presidente dell'associazione culturale 'Phoenix'
Direttore responsabile delle riviste 'Periodico italiano magazine' e 'Confronto Italia'