Giorgio PrinziIl Comitato italiano per il rilancio del nucleare (Cirn) fa rilevare che il costo della chiusura di una florida miniera di diamanti non è solo ed esclusivamente il costo materiale dei lucchetti, dei paletti di blocco o dell’eventuale muro realizzato per ostruire l’imboccatura, ma quello reale, e di ben maggiore entità, derivante dai mancati futuri introiti per la cessazione dell’estrazione e commercializzazione delle preziose pietruzze. Il concetto base che la Commissione scientifica del Cirn ha adottato in questi anni per calcolare gli oneri dell’uscita e della iterata rinunzia all’utilizzo dell’opzione energetica nucleare è stato quello, per rimanere in metafora, di non limitarsi ai semplici costi di ostruzione (lo smantellamento delle infrastrutture), ma di portare in conto anche gli aspetti economici della mancata produzione da tale fonte, oltre a quelli aggiuntivi per dovere produrre il più economico chilowattora nucleare con fonti che lo generano ad un prezzo più alto. Da questo punto di vista, per fare riferimento a un termine di attualità, la Commissione scientifica del Cirn ha portato in calcolo anche gli effetti dello ‘spread’ tra ‘teutonico’ chilowattora nucleare e ‘italiota’ chilowattora denuclearizzato. In maniera analoga, l’atteggiamento estremamente critico espresso verso le chimeriche soluzioni che fanno ricorso alle immaginifiche fonti da intemperie, quali sole, vento, moto ondoso, maree e altro, o sempre fantasiose panzane etichettate come ‘eco’, ‘bio’, ‘compatibili’, ‘sostenibili’ e amenità varie è stato determinato da una visione a tutto spettro dei loro effetti sul sistema elettrico, sulla sua efficienza ed economia di gestione, sui devastanti effetti che l’incremento di costo del chilowattora ha sull’economia produttiva, di conseguenza sui livelli reali dell’occupazione. Il caso Alcoa, ritornato di attualità, ne è la controprova. “Tenetevi le pale, ma non rompete le assonanti” è il concetto, brutalmente espresso, con cui da tempo tentiamo di fare comprendere a una in maniera bipartisan ottusa classe politica locale e a una stampa regionale ideologizzata che censura ogni apporto non consono alla linea del politicamente corretto, come certe costosissime osannate soluzioni distruggano più posti di lavoro di quelli che si asserisce creino, generando non ricchezza, ma arricchimenti speculativi a danno dell’utente e della collettività. Veicolare questi concetti attraverso la stampa nazionale e locale, nella quasi totalità ideologizzata, è più difficile che riuscire a fare passare un articolo che parli dei vangeli su un foglio oltranzista talebano. Questa è l’Italia. Questa è la Sardegna, che ancora una volta invitiamo a tenersi le ‘pale’ (e i pannelli) e a non rompere poi le ‘assonanti’, quando le fabbriche sono costrette a chiudere. La follia ambientalista impera, però, anche in Europa. In questi giorni giungono dalla Germania i dati sui costi derivanti, per quel Paese, dall’abbandono dell’opzione nucleare. Le cifre fornite Michael Suess, membro del CdA di Siemens, l’azienda guida nella realizzazione delle centrali nucleari tedesche, parlano di un onere tra 1400 e 1700 miliardi di euro da qui al 2030. Juergen Grossmann, Chief Executive Officer(amministratore delegato) di Rheinisch-Westfälisches Elektrizitätswerk (RWE), il secondo produttore elettrico tedesco, senza specificare gli anni considerati aveva valutato l’onere in 250 - 300 miliardi di euro. Questi oneri, per fortuna di noi italiani che paghiamo una bolletta elettrica particolarmente elevata, si riverseranno sulle bollette degli utenti tedeschi, penalizzando la loro industria alla stregua di quanto in Italia avvenuto per Alcoa e Fiat di Termini Imerese, in quanto la costituzione della Germania pone un limite invalicabile alla pressione fiscale. I calcoli offerti ormai da decenni dalla Commissione scientifica del Cirn, in relazione al contesto nazionale, portano a valutare il differenziale tra Italia e Francia, per come si produce l’energia elettrica, in 25 miliardi di dollari all’anno. Tenendo conto della diversa consistenza dei consumi elettrici tra Italia e Germania, tale dato è omologo e compatibile con le cifre stimate da Siemens per la Germania. Ogni anno 25 miliardi di dollari! Cinque finanziarie ogni anno. Ma anche in questo scenario, l’Italia si trova ancora una volta nel ruolo di ‘cancellino’ del Gran Cancelliere tedesco. La Siemens, la cui produzione nel settore nucleare è stata principalmente a fini domestici, ha deciso di uscire dalla produzione di settore e mantenere solo la produzione utilizzabile nella produzione elettrica con fonti convenzionali. Inoltre, ha deciso di approfittare delle generosissime regalie italiane a sostegno delle fonti da intemperie, per compensare la sua forzosa uscita dal nucleare con investimenti in Italia nel settore del solare, dove è in affari con la ‘Angelantoni Industrie’, con l’apertura in Umbria, a Massa Martana, in provincia di Perugia, di uno stabilimento nel quale verranno prodotti, annualmente, ricevitori solari a sali fusi per circa 300 MW di potenza nominale di targa. Saremo noi, pertanto, a ripianare il bilancio Siemens minato dall’uscita della Germania dal nucleare. Gli oneri di queste scelte sono pesanti e l’Alcoa è solo un primo ‘stuzzichino’. La società ‘E. On’, che è il primo produttore elettrico della Germania, ha annunziato undicimila licenziamenti diretti a causa dell’uscita di quel Paese dal nucleare. La capacita di ‘E. On’ in termini di potenza installata è di complessivi 68 GW (gigawatt), di cui 28 GW da centrali a gas e olio combustile, 19 GW da centrali a carbone, 11 GW da nucleare, 6 GW da idroelettrico e circa 5 GW da eolico e altre fonti rinnovabili, quali solare e biomasse. Quindi, mille posti di lavoro per ogni centrale nucleare da mille megawatt. Siccome gli stipendi per lo più si spendono, verranno anche licenziati un certo numero di commesse dei negozi di abbigliamento, un certo numero di impiegati presso i centri commerciali e così via. In genere, i mille posti di lavoro diventano almeno quattromila. I rapporti percentuali tra le varie fonti variano sostanzialmente se espressi in termini di potenza installata (per le rinnovabili, peraltro nominale di picco) o in termini di energia effettivamente erogabile ed erogata. Per questo aspetto specifico si rimanda alla consultazione della “Tabella Permanente dell’Energia” (http://www.giorgioprinzi.it/nucleare/rilli/tabella.pdf) elaborata dalla Commissione Scientifica del Cirn, aggiornata al maggio 2011, originalmente formulata e redatta dalla medesima commissione nel giugno 2006. Per un approfondimento dei criteri che ne sono alla base si richiama alla pagina web:  http://www.giorgioprinzi.it/nucleare/rilli/tabella.htm. Buona lettura, anche se farlo richiederà un minimo di sforzo a volere capire ed inquadrare il problema sia sotto il profilo concettuale che sotto il profilo della reale quantificazione numerica. Non tutti sono disponibili a farlo; molti preferiscono parlare in base alle loro convinzioni ideologiche, senza neppure porsi il problema di una verifica con la realtà fattuale.




Segretario nazionale del Comitato nazionale di rilancio del nucleare (Cirn)
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