Vittorio LussanaIn questi giorni ricorre il 12esimo anniversario della scomparsa di Bettino Craxi e, quasi contemporaneamente, il ventennale dell’esplosione dello scandalo di Tangentopoli, ovvero di quel ‘fatto instaurativo’ che ha sostanzialmente generato il fortissimo indebolimento della politica italiana, causandone la grave e progressiva degenerazione. L’occasione è dunque propizia per tornare a riflettere intorno ad alcuni temi e problemi che, in questi ultimi tempi, fanno da sfondo a molti ragionamenti. I recenti richiami a una maggior sobrietà di comportamenti da parte delle diverse forze parlamentari appaiono, a prima vista, assai condivisibili. Anche se chiedere maggior serietà a una classe politica che non lo è affatto costituisce pretesa vana, un’istanza insensata: sobri bisogna esserlo, non dirlo, perché la sobrietà è uno di quei criteri che appartiene, per specularità, alla medesima categoria del ‘carisma’, cioè a quel genere di qualità che, se non si hanno, nessuno se le può dare. La sobrietà, la serietà, il carisma, la stessa autorevolezza emblematica appartengono agli atteggiamenti maggiormente legati alla più autentica riflessione civile, all’approfondimento reale delle questioni, alla meditazione più competente. Bettino Craxi era carismatico poiché infarciva i propri discorsi di pause all’interno delle quali calava, profondissimo, il proprio pensiero, da cui emergeva, quasi come un ‘lampo’, una nuova sintesi specifica e precisa. Enrico Berlinguer, a sua volta, era una persona seria in quanto umanamente sofferente nel proprio sforzo di rendere più elastica una dialettica, quella marxista, assai rigida e ottocentesca. I suoi occhi erano la rappresentazione stessa di chi compiva l’enorme sforzo di sfuggire a ogni genere di totalità dottrinaria, al fine di aggirare ogni ostacolo con quella scettica eleganza che proveniva dalle sue stesse origini sarde. I sardi sono un popolo estremamente intelligente, che da interi millenni vive sopra a un’isola. Dunque, essi tendono a far ‘quadrare’ ogni ragionamento riproponendo la medesima ‘chiusura’ che, umanamente, conoscono da sempre. La sobrietà sarda di Enrico Berlinguer – o dello stesso Gramsci - e il carisma riflessivo di Bettino Craxi: ecco dunque un paio di caratteristiche che la politica italiana dovrebbe rispolverare con urgenza, al fine di proporre una nuova squadra di esponenti pronti a guidare il Paese nei prossimi anni. In un mondo che ormai vive di immagini, di forma più che di sostanza, questo genere di riflessioni sono importanti almeno quanto quelle relative alle riforme strutturali e istituzionali di cui necessita il Paese. Sotto il profilo della sobrietà, la negatività del ciclo ‘berlusconiano’ appare, infatti, nella sua pienezza come una forma di ‘ipercomunicazione’ tendente a saturare i problemi prima ancora di affrontarli. Massimo D’Alema e Gianfranco Fini, capitati quasi per caso a dover gestire il ‘frangente’, sono solo riusciti a limitare i danni di questo ‘ultrapropagandismo’, apparendo tuttavia troppo ‘professionisti’, sfortunati eredi degli strascichi ideologici di un altro secolo. Perché sobri o lo si è, o non lo si è. E quando la sobrietà viene evocata, essa diventa ricatto o, addirittura, terrorismo psicologico. Se la politica italiana intende veramente rinnovare se stessa e tornare a convincere i cittadini delle proprie ragioni, essa dovrebbe invece diventare, al contempo, più umanista e più umana: più umanista nella propria cultura di fondo; più umana nel modo di proporre le decisioni da prendere. E’ un nuovo linguaggio quel che serve veramente. Bene: inventiamolo allora, senza gli ‘sbrodolamenti’ alla Nichi Vendola o le volgari forzature di Umberto Bossi. Nella prima Repubblica, un buon linguaggio politico era quello rappresentato dal qualunquismo ‘colto’ di Giulio Andreotti: “A pensar male si fa peccato, ma raramente si sbaglia…”; “in Italia, tutto si aggiusta…”; “il potere logora chi non ce l’ha…”. Questi ‘adagi’ hanno rappresentato, per interi decenni, frasi e modi di dire spiritosi e, al medesimo tempo, illuminanti: come mai non riesce a emergere un’intelligenza di questo tipo tra i ‘marosi’ della politica italiana? Semplice: per l’evidente mancanza di una cultura umanista. Oggi, tutti si rivolgono alla tecnologia e allo sviluppo di messaggi che, per propria natura, sono eccessivamente tecnici, quasi criptici nella loro sintesi estremizzata: non serve saper ‘twittare’ in 140 caratteri uno slogan, poiché in tal modo si finisce col replicare i medesimi errori del ’68, allorquando si creò un ‘sinistrese’ che era solito utilizzare i cosiddetti ‘paroloni’ come dei semplici ‘gusci vuoti’. Paradossalmente, tutto ciò può solo complicare ulteriormente le cose. Resta pur vero che anche le ‘freddure’ di Andreotti oggi risulterebbero alquanto obsolete. Così come, alla fine, è stato per la stessa pseudo-modernità seduttiva del ‘berlusconismo’, che ha perfino costretto un ministro donna, nel corso di una trasmissione televisiva, a riflettere circa “l’entità” del ‘sorcio’ ritrovato ‘in bocca’ a un esponente della propria maggioranza. In questo caso, ci siamo ritrovati di fronte all’eccesso opposto rispetto al cinico qualunquismo ‘andreottiano’, cioè in un territorio linguistico ‘scivoloso’, se non addirittura ridicolo sin quasi all’oscenità. L’Italia ha bisogno di nuovi leader, non di nuovi comici. Ma in politica, i leader sorgono sulla base delle diverse forze che essi riescono ad aggregare attorno a se stessi. E se, oltre alle vetuste ideologie, né il denaro, né gli interessi materiali e neanche il sesso riescono, allo stato attuale, a giustificare una leadership, il ‘collante’ di un nuovo linguaggio politico può sorgere solamente sulla base di innovativi elementi di umanità. Un leader umano non è un politico ‘buono’ o ‘buonista’, come ha sostenuto in passato Walter Veltroni. Un leader umano è quel personaggio politico capace di ammettere di aver sbagliato allorquando ciò si rende necessario. Oppure, è quell’esponente capace di far comprendere che un ridimensionamento di stipendi, privilegi e prebende per i politici potrebbe essere apprezzato dal popolo, in tempi di ristrettezze. Non certo imponendolo ‘per imperio’, ma discutendolo con insistenza, con fermezza, con caparbietà. Nel mondo del cinema italiano, queste ‘corde’ erano tipiche di un attore come Gian Maria Volontè. Le sue interpretazioni di Enrico Mattei o del magistrato della pubblica accusa nel film ‘Porte aperte’, tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, rappresenterebbero le caratteristiche che andiamo cercando. Ma dove lo troviamo un politico con una ‘faccia’ così? Ricco, anzi ricchissimo, di elementi umanistici era anche il modo di esprimersi del compianto Aldo Moro: alludere senza dire, connotare senza ferire, distinguere senza dividere. Ma anche qui: dove lo troviamo un politico del genere? Ce l’abbiamo un Aldo Moro in circolazione, una sorta di ‘ipnotizzatore’ dei dibattiti politici? Precedentemente alla drammatica tragedia che lo investì nei primi mesi del 1978, Moro veniva deriso dalla satira non tanto per il proprio ‘illusionismo’, bensì come vero e proprio ‘addormentatore’ di ogni confronto, in quanto esponente dotato di un linguaggio talmente irto di complessità sintattiche da riuscire a svelenire il clima per raggiunta noia degli ascoltatori, anche quelli più pazienti e concentrati. In politica, infatti, la noia ha sempre svolto una funzione specifica: quella della più solida alleata della comprensione sostanziale dei contenuti, poiché ci costringeva tutti quanti a leggere e a rileggere, a pensare e a capire fino in fondo. In questo modo, la politica poteva fare dei passi lenti e tuttavia decisivi. Non era limitata in una logica da annuncio, da ‘spot’ pubblicitario. Il problema è che, tra i personaggi politici di oggi, non ce n’è nemmeno uno che ami ‘annoiare’: al contrario, sembrano tutti posseduti da un ‘demone logorroico’ che li porta a ragionare in fretta e furia, a straparlare goffamente, nell’incredibile ansia di dover risultare simpatici a tutti i costi. Vogliono tutti esprimersi con il linguaggio della “gente comune”, finendo col comunicare ‘un po’ troppo’ come la gente comune. Chiedersi dove ‘caspita’ i Partiti siano andati a prendere certi esponenti di oggi rimane una questione che mantiene una propria legittimità. Ma a parte questo problema, dove andiamo a selezionare i nuovi leader, se nemmeno le vecchie scuole di Partito esistono più? Un tempo, il Pci preparava i propri dirigenti alle Frattocchie; per entrare nel Psi bisognava essere presentati innanzi alla Direzione nazionale del Partito da almeno due tesserati di lunga data; nella Dc, se non si dimostravano effettive aderenze in Vaticano o non si apparteneva a una precisa ‘corrente’ di riferimento, col ‘cavolo’ che si riusciva a emergere in mezzo a un branco di autentici ‘squali’. E oggi? Nel Pdl ci sono una serie di associazioni culturali abbastanza interessanti e dai nomi spesso evocativi. Nel Pd, viceversa, un certo ‘fottìo anarchico’, legittimato dal morboso meccanismo delle primarie, sembra essere il metodo prescelto per la selezione della nuova classe dirigente. Sì, forse una via d’uscita dalla propria profondissima crisi la politica italiana la sta pure cercando. In modi più pazzeschi che fuorvianti. Ma di sobrietà nemmeno a parlarne: non serve a granché, trattandosi di un accessorio assolutamente secondario di un dibattito, purtroppo, totalmente marginale.


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Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - giovedi 2 febbraio 2012 19.28
RISPOSTA AD ARBOR: gentilissimo lettore, perché non completare le sue informazioni con quanto accaduto anche negli anni successivi a queste sentenze da lei citate? Nel 2002, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha infatti emesso una sentenza che ha condannato la giustizia italiana per la violazione dell’articolo 6 - paragrafi 1 e 3, lettera d (il comma relativo al diritto di interrogare o far interrogare i testimoni) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in ragione dell’impossibilità di poter “contestare le dichiarazioni che hanno costituito la base legale della condanna”, formulata “esclusivamente sulla base delle dichiarazioni pronunciate prima del processo da coimputati (Cusani, Molino e Ligresti) che si sono astenuti dal testimoniare e di una persona poi morta (Cagliari)”. Quella stessa Corte ha inoltre emesso una seconda sentenza nel luglio del 2003 per violazione dell’articolo 8 della Convenzione già citata, nel merito del diritto al rispetto della vita privata di Bettino Craxi. La Corte ha infatti sentenziato che “lo Stato italiano non ha assicurato la custodia dei verbali delle conversazioni telefoniche, né condotto in seguito una indagine effettiva sulla maniera in cui queste comunicazioni private sono state rese pubbliche sulla stampa” e che “le autorità italiane non hanno rispettato le procedure legali prima della lettura dei verbali delle conversazioni telefoniche intercettate”. Si tratta di un paio di decisioni giuridiche che dovrebbero stimolare un ragionamento più articolato e approfondito nel merito dei delicatissimi meccanismi che delimitano, o che dovrebbero delimitare, vicendevolmente, il potere politico e quello giudiziario, aiutandola a formulare un giudizio più equo sul contesto storico-politico complessivo che è stato definito ‘delle Mani Pulite’. Le sottolineo inoltre come, nell’articolo a mia firma da lei commentato, io abbia chiaramente espresso una serie di considerazioni limitate all’analisi politica, non a quella guiridico-peneale: evidentemente, conviene ancora a molti 'spostare' la questione della bassissima qualità politica della nostra attuale classe dirigente su altri fatti, al fine di continuare abilmente a confondere le modalità con cui si autofinanziava – e si autofinanzia tutt’oggi - il sistema politico italiano nel suo complesso, anziché proporre un’idea, quanto meno vaga, sulle finalità che si dovrebbero effettivamente realizzare per trasformare veramente le cose. Come in uno ‘Stato di polizia’: non è così? Cordiali saluti. VL
ARBOR - MILANO - Mail - venerdi 20 gennaio 2012 18.18
Ma sbaglia anche Wikipedia ? Per quanto tempo dovremo sorbirci i "santini" degli ex psi che rifiutano di accettare quanto in un Stato di Diritto dovrebbe essere la regola per qualsiasi malfattore ?

Craxi è stato condannato con sentenza passata in giudicato a:

5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo Eni-Sai il 12 novembre 1996[93];
4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le mazzette della metropolitana milanese il 20 aprile 1999[94].

Per tutti gli altri processi in cui era imputato (alcuni dei quali in secondo o in terzo grado di giudizio), è stata pronunciata sentenza di estinzione del reato a causa del decesso dell'imputato.

Fino a quel momento Craxi era stato condannato a:

4 anni e una multa di 20 miliardi di lire in primo grado per il caso All Iberian il 13 luglio 1998[95], pena poi prescritta in appello il 26 ottobre 1999[96].
5 anni e 5 mesi in primo grado per tangenti Enel il 22 gennaio 1999[97];
5 anni e 9 mesi in appello per il conto protezione, sentenza poi annullata dalla Cassazione con rinvio il 15 giugno 1999[98];
3 anni in appello bis per il caso Enimont il 1º ottobre 1999[99];

Craxi fu anche rinviato a giudizio il 25 marzo 1998 per i fondi neri Montedison[100] e il 30 novembre 1998 per i fondi neri Eni[101].
Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - martedi 17 gennaio 2012 18.59
RISPOSTA A SIMONE: l'eredità economica di cui parli, Simone, non è intestabile a Craxi, bensì ai democristiani. Il fatto che si scelga sempre Craxi come 'parafulmine' la dice lunga intorno a un modo di vedere le cose a dir poco demonizzante. La crescita della spesa pubblica fu una scelta dettata dal tentativo di creare un sistema di welfare che assicurasse una globalizzazione verso l'alto della società italiana. Ma questo venne stabilito prima, sin dagli anni '60. Il deficit dell'erario e i titoli del debito pubblico furono coperti attraverso la Banca d'Italia, che stampò carta moneta fino al 1981 al fine di soccorrere il Tesoro. Il divorzio tra ministero del Tesoro e Banca d'Italia, deciso dal Governo Forlani, causò l'esigenza di dover contabilizzare il debito con precisione. Cosa che fu fatta proprio dal Governo Craxi attraverso un'apposita commissione parlamentare. Il sistema di welfare che abbiamo è stato dunque creato attraverso il debito. Ma noi non abbiamo oggi le Usl, poi divenute Asl (tanto per dirne una...) dal 1984, bensì dalle riforme degli anni 1973- '79, che comunque posero fine alla selva di mutue, tipo l'Inam, che già s'erano mangiate un'iradiddio di danaro. Questa è la Storia. La prima razionalizzazione della spesa e i primi tentativi di riassestare gli enti dello Stato in base a una riorganizzazione di tipo manageriale fu proprio la politica economica scelta da Craxi e da Rino Formica. Chi la racconta in maniera diversa sbaglia da almeno venti anni, scaricando tutto quanto sempre sullo stesso personaggio politico. VL
Simone - Italia - Mail - martedi 17 gennaio 2012 18.53
L'eredità economica di Craxi è pesantissima. Ci ha lasciato una spesa pubblica altissima, tasse altissime e un debito pubblico altissimo. L'alto debito, e la scelta della casta di non abbassare e razionalizzare la spesa pubblica, ha causato l'aumento delle tasse anche nei decenni successivi. L'alto livello di tassazione e la bassa efficienza della spesa pubblica sono probabilmente le principali ragioni del basso tasso di crescita dell'Italia. Inoltre le sue politiche demenziali e irresponsabili furono possibili solo grazie alla complicità dell'intera classe dirigente dell'epoca. Essa abdicò completamente alle proprie responsabilità mettendo l'Italia su un sentiero di insolvenza. E' vero: non c'era solo Craxi, c'erano de Mita e Forlani, Andreotti e Formica, De Michelis e Merloni ed Altissimo e Longo ... e la CGIL-CISL-UIL. Alla fine del periodo comparve anche Giulio Tremonti. Non è cambiato nulla... oggi con i vari mezzi di comunicazione il teatrino e + amplificato ma la sostanza è sempre la stessa... con tutti....
Cristina - Milano - Mail - martedi 17 gennaio 2012 16.57
Molto bella questa riflessione... Ogni parola in più sarebbe superflua, tranne il sorgere di un dubbio: ma la storia non insegna mai nulla? Non si riesce mai ad imparare dal passato?
Angela - Catania - Mail - martedi 17 gennaio 2012 14.8
Io credo che la politica non persegue piu' il bene per il popolo ma il bene proprio. E' questo il risultato di un'Italia allo sbando...
Vittorio Lussana - Roma/Milano/Bergamo - Mail - martedi 17 gennaio 2012 12.42
RISPOSTA A RENATO: carissimo, ti ringrazio delle indicazioni, ma di Mazzini ho letto quasi tutto essendo da sempre un appassionato di Storia risorgimentale (compreso qualche articolo della Repubblica romana del '49, in particolare quelli che hanno sostanzialmente ispirato la nostra Carta costituzionale), mentre accolgo invece con piacere l'invito alla lettura di Melchiorre Gioia. Ti abbraccio fraternamente. VL
Renato Traquandi - Arezzo Italia - Mail Web Site - martedi 17 gennaio 2012 12.21
Vittorio, siamo in tanti a sapere che questa esercitata in Italia da almeno tre lustri non è: "Politica".
Non sto a fare l'elenco dei mestieranti perchè sarebbe troppo lungo.
Ti voglio dare un consiglio; se trovi il tempo necessario per farlo ti consiglio due letture.
La prima è di Melchiorre Gioia: "Quale dei governi liberi meglio convenga al popolo italiano"; la seconda è Diritti e Doveri di
Giuseppe Mazzini.
Se ti avanza qualche minuto leggiti anche gli articoli della Repubblica Romana del 1849.
Sappimi dire................
Un abbracico

Renato Traquandi
VITTORIO LUSSANA - Roma/Milano/Bergamo - Mail - martedi 17 gennaio 2012 11.19
RISPOSTA PER IL SIG. LEO: gentile lettore, io non ho affatto scritto che Bettino fosse sobrio - anzi, in tutto l'articolo critico fortemente la richiesta di tale qualità, che non può essere un atteggiamento indotto, scarsamente spontaneo, imposto per motivazioni moralistiche - bensì che era un personaggio carismatico. Un carisma derivante, come ho specificato, da una indubbia capacità intuitiva e di riflessione. Non era un politico costretto a studiarsi a memoria le 'pappardelle' o le direttive di Partito, come invece fanno, oggi, molti esponenti, ma un uomo dotato di una profonda cultura umanista personale. Che è quanto intendevo dimostrare. Cordiali saluti. VL
Leo - Gallipoli - Mail - martedi 17 gennaio 2012 11.11
Sobrio Bettino? E tutta la sua corte allora? E i fasti dei congressi dell'arch. Ponseca ?
Potrà dire che era un politico lucido e di sicuro spessore, ma sobrio proprio no.


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