La medicina moderna, ancorché tecnologica, non è infallibile: è bene che le persone lo sappiano. Ma spesso anche i medici dimenticano od omettono di discutere la possibilità che un intervento chirurgico possa avere esito negativo, lasciare degli esiti, non riuscire completamente, garantire un periodo di vita ma non la restituzione della salute. Parliamo qui, in particolare, dei medici americani, il cui comportamento è stato osservato e riportato nella rivista ‘Annals of Surgery’: i colleghi anglosassoni omettono di interrogare il paziente su eventuali direttive anticipate, le stesse individuate nel ‘testamento biologico’ e delegano poi a familiari gran parte delle decisioni. La dottoressa Schwarze dell’Università del Wisconsin ha sottoposto un questionario di 14 domande a 912 chirurghi che eseguono interventi rischiosi di routine su come discutono con i loro pazienti le direttive anticipate e su come le informazioni acquisite influiscano sulla propria decisione di operare. Quattro su cinque chiedono ai pazienti quale forma di supporto della vita desiderano sia loro applicata, ma meno della metà approfondiscono temi come l’alimentazione forzata o l’uso della ventilazione per mantenere l’organismo in vita in caso di mancanza di coscienza. La metà dei chirurghi, inoltre, dice che non vorrebbe operare soggetti che non accettino misure di sostegno della vita e che chiedono, quindi, di non essere rianimati in caso di eventi avversi. Molte persone, infatti, non accettano terapie di sostegno a seguito di interventi ad alto rischio e questi argomenti etici sono motivo di tensione tra curanti e malati. I cardiochirurghi sono più propensi a rinunciare all’intervento poiché sanno che possono insorgere complicazioni cerebrali che lascerebbero il paziente in uno stato vegetativo permanente. Ma non discutere questi aspetti non elimina il problema, lo rimanda solamente. Sarebbe invece opportuno coinvolgere il paziente e la sua famiglia in queste delicate decisioni, in modo che anche il chirurgo sia più sereno su cosa potrebbe accadere nel caso in cui l’intervento non vada completamente a buon fine. Purtroppo, però, la comunicazione ‘medico-paziente’, così importante in questo rapporto, è ancora la grande esclusa dai programmi di formazione universitaria.
(articolo tratto da www.news.liberoreporter.eu)