‘Un inverno con Baudelaire’, edito da ‘Elliot - collana Scatti’, è un bellissimo libro di Harold Cobert, già autore di romanzi a carattere storico, in corso di traduzione in numerosi Paesi del mondo. Quattro cose concorrono a farci amare questo romanzo: l’ambientazione a Parigi; la dimensione onirica; il co-protagonsita, un cane di nome, per l’appunto, Baudelaire, da cui il libro prende il titolo; e lo stesso Baudelaire, l’amato poeta che ne ha ispirato la storia. Ma cosa rende ‘Un inverno con Baudelaire’ un libro tanto speciale? Il cuore, poiché c’è una differenza abissale tra una storia scritta con il cuore rispetto a un mero esercizio di stile improntato alla costruzione di un best seller. La delicatezza, la poesia, la speranza con cui Cobert tratta un tema difficile come quello dei senzatetto è, infatti, un balsamo per l’anima. Philippe, un giovane impiegato dell’ufficio vendite di un’azienda di Parigi, si trova da un giorno all’altro senza lavoro. Il suo matrimonio è appena andato a rotoli e la moglie lo ha messo alla porta. L’unica persona che ancora dà un senso alla vita di Philippe è la piccola Claire, sua figlia. Per lei, per continuare a vederla almeno ogni tanto, cerca di mantenere un’apparenza decorosa, nonostante nel giro di poco tempo non riesca più a permettersi neanche una semplice stanza d’albergo e resistere diventi sempre più duro, in un mondo che non perdona chi fallisce. Eppure, un giorno, in mezzo ai tanti sguardi che non lo vedono e all’indifferenza delle persone normali, nel suo girovagare per la città, incrocia un cane solo e randagio come lui: Baudelaire. Il cane ‘adotta’ Philippe come proprio padrone, restando caparbiamente al suo fianco come un autentico angelo custode, fino a restituirgli la gioia di vivere e nuova fiducia in un domani migliore. Philippe è un protagonista che fa riflettere e che commuove, un giovane uomo come tanti. Un lavoro e una vita normale, finché sua moglie non lo mette alla porta. Caratteri incompatibili, differenza di status sociale: Sandrine è infatti figlia di borghesi benestanti, mentre Philippe viene da una famiglia modesta. Eppure, hanno una figlia, Claire, che Philippe adora e che chiama “Principessa”, come quella della favola che lei ama farsi leggere ogni sera prima di addormentarsi. La storia si apre proprio così: con il fruscio di un libro di favole, un bacio e una promessa: quella che padre e figlia saranno sempre insieme e, ogni sera, leggeranno la stessa favola. Eppure, le parole di Sandrine calano come un colpo d’ascia sulle loro vite. Philippe deve andarsene da casa, la valigia lo aspetta già fuori della porta. E, soprattutto, non dovrà più vedere Claire. Comincia così la nuova vita di Philippe: le notti in squallidi motel, i pranzi da McDonald’s, il lavoro di venditore che non decolla. In una dimensione sempre più alienata e alienante. E con il cuore infranto per la mancanza di Claire. Cobert tratta questa prima parte con lo stile di un diario, calandosi nelle emozioni di Philippe, riuscendo a trasmettere ogni sfumatura delle emozioni umane, dalla paura, allo smarrimento, all’incredulità. Non è che l’inizio di una discesa all’inferno: la perdita del lavoro getta Philippe in uno stato di depressione e poi, senza ormai più un soldo, a vivere in strada. L’immondizia è il suo cibo, i bocchettoni d’aria calda della metropolitana il suo riparo. E’ inverno e Parigi trema sotto il gelo. Philippe non molla: “Dignità, sopravvivere, mangiare” è il mantra che ripete ogni giorno per non lasciarsi risucchiare nell’abisso della disperazione, in attesa di rivedere Claire, la sua bambina. E’ il pensiero di Claire che lo mantiene in vita, che gli dà la forza di andare avanti, di non considerarsi mai “un barbone” e di continuare a camminare a testa alta tra la gente che non vede quelli come lui. Eppure, proprio una notte in cui la città è serrata nel freddo più impietoso, Philippe viene portato da alcuni volontari in un rifugio per senzatetto. Lì, tra parassiti, lordume e miseria umana, capisce di aver toccato il fondo. Tornato in strada, non riesce nemmeno più a trovare un rifugio per la notte. Non ha che pochi spiccioli per mangiare, né una coperta. Ma è proprio in una di queste notti in cui la tristezza si annoda alla fame, che incontra quello che sarà il suo angelo custode: un cane randagio di nome Baudelaire. Baudelaire cambia la vita di Philippe, introducendolo in un mondo di poesia fatta di piccole cose quotidiane. Non deve essere un caso che Cobert abbia deciso di chiamare il cane con il nome del famoso poeta francese: guidato da Baudelaire, Philippe riscopre la speranza, la gioia di vivere, la bontà e l’altruismo degli uomini in Bébère, il proprietario di un piccolo ristorante appassionato delle poesie del grande poeta. Come una girandola di colori, anche Parigi assume un aspetto non più ostile, ma magico. Philippe e Baudelaire diventano inseparabili, anime speculari, due solitudini che, insieme, fanno un’unica felicità, fino a che il cerchio non si chiuderà e Philippe capirà, allora, che mai nulla è per caso nella vita e che ognuno di noi è legato a doppio filo alle ali di un angelo. Se volete sognare, commuovervi, sperare e riscoprire la poesia nella vita di tutti i giorni non potete non leggere il libro di questo giovane autore. Fidatevi, non vi deluderà.
(recensione tratta dal blog www.diariodipensieripersi.com)