Marcello TamascoSull’asse geografico Napoli-Roma sono nati i più grandi talenti artistici del nostro panorama culturale, da Vittorio De Sica a Totò, da Alberto Sordi a Massimo Troisi, da Gigi Proietti a Massimo Ranieri, fino ai recenti successi teatrali di Enrico Brignano e Vincenzo Salemme. Quello tra la capitale e la metropoli partenopea, infatti, è un ‘gemellaggio’ che da sempre caratterizza la principale produzione artistica dell’Italia centro-meridionale, fino a rappresentare gli aspetti tradizionali e di costume più significativi del nostro Paese. In questi anni, un nuovo gruppo teatrale, la compagnia ‘Attori & company’ guidata dall’attore e regista napoletano Mario Antinolfi, si sta ponendo in netta evidenza per talento, bravura artistica e seguito di pubblico, fino a varcare la ristretta cerchia della consueta ‘nicchia’ di affezionati ed essere richiesto da un numero sempre maggiore di sale teatrali della capitale. Ecco perché, a partire dal prossimo 29 novembre, Mario Antinolfi ha deciso di portare in scena la commedia ‘La fortuna con l’effe maiuscola’ di Eduardo de Filippo e Armando Curcio, sia al ‘Teatro 7’ di Roma, sia sui palcoscenici del ‘Nino Manfredi’ di Ostia e del nuovo teatro capitolino ‘San Paolo’, ritrovandosi praticamente costretto a ‘spacchettare’ la stagione della propria compagnia teatrale. Si tratta di una divertentissima opera in tre atti pienamente immersa nell’alveo culturale della miglior tradizione partenopea. Abbiamo dunque incontrato il maestro Mario Antinolfi, al fine di parlare con lui di questi suoi successi e per riflettere sulla recente, ma sensibile, inversione di tendenza del mondo giovanile, improvvisamente desideroso di tornare a frequentare il mondo delle rappresentazioni teatrali.

Mario Antinolfi, può confermarci innanzitutto questa nostra impressione di un pubblico giovanile che torna a teatro? Si tratta di un effetto ‘momentaneo’, oppure lei ritiene che le nuove generazioni siano diffidenti nei confronti del consueto e, alla fin fine, deludente binomio ‘trasgressione/discoteca’?
“Devo dire che ho sempre avuto un particolare interesse verso i giovani: ho cercato in ogni modo, attraverso le mie commedie, di avvicinarli a questo meraviglioso mondo. Ci sono tanti modi di fare teatro, di proporre la nostra migliore cultura, di esprimere dei concetti, delle emozioni e dei valori, ma per arrivare al cuore degli spettatori, in special modo a quello dei giovani, devi saper catturare le loro menti già abbastanza distratte dalle ‘effimere cose’ che la nostra società offre. Devi saper stuzzicare il loro interesse facendoli divertire, dando loro l’opportunità di passare una serata diversa, all’insegna del buonumore, dando loro modo, al contempo, di conoscere grandi personaggi del mondo culturale, i ‘messaggi’ e i veri valori che fuoriescono dalle loro opere. Non posso dire se sono riuscito nell’intento di avvicinare questi giovani al teatro, posso solo affermare che, tra le varie fasce di età che seguono i miei spettacoli, sono felicissimo di notare molti giovani e, soprattutto, giovanissimi”.

Alla luce della sua ventennale esperienza in campo teatrale, lei ritiene che l’amore per il palcoscenico derivi dal bisogno di trovare se stessi o, come diceva Vittorio Gassmann, “dall’esigenza di discostarsene”?
“Il palcoscenico rappresenta sicuramente una parte del mio essere, mi ci ritrovo, mi dà modo di esprimere ciò che sono e che sento, ma mi dà anche l’opportunità di interpretare personaggi a me distanti, facendomi allontanare dal mio modo di essere, arricchendo la mia personalità”.

Come nasce l’idea di effettuare una determinata regia teatrale? Cosa la colpisce di più del teatro di Eduardo De Filippo?
“La regia teatrale, secondo me, varia a seconda dell’opera che si vuol rappresentare. Bisogna entrare nell’anima, nel cuore e nella mente dell’autore, mettere in evidenza i suoi concetti tenendoli bene a mente e non tradendoli, riportarli fedelmente così come sono stati ideati. Ogni regista ha di certo i suoi modi di interpretare un’opera e di vedere le cose, ma l’importante è non snaturare l’intenzione dell’autore. Il teatro di Eduardo è l’espressione di vite reali del tempo passato, ma con dei temi sempre attuali. Ciò che racconta Eduardo non muore mai, i valori morali che troviamo nelle sue opere non passano mai di moda e sono sempre di monito nei confronti del nostro vivere. Il mondo di Eduardo è l’espressione della ‘napoletanità’, un modo di essere a  me molto vicino e che mi ricorda molte fasi della mia vita”.

Con quale criterio lei seleziona il cast degli attori? Che tipo di preparazione richiede loro?
“Quando leggo un copione immagino già i personaggi, li visualizzo nella mia mente tenendo ben presente come dovranno risultare sulla scena, sia dal punto di vista fisico, sia caratteriale. Insomma, l’attore che scelgo deve rispondere a determinati requisiti, deve avere una certa versatilità e deve esprimere, con le proprie capacità interpretative e tenendo ben presente le indicazioni e le necessità registiche, il personaggio che ho pensato”.

In riferimento al fatto di sentirsi il mestiere ‘addosso’, essere un attore è un sentire con cui convive dalla nascita, oppure è un qualcosa che si è cucito su se stesso nel tempo?
“Attori si nasce. Certo, si possono perfezionare delle tecniche attraverso studi appropriati, ma il talento, secondo me, è innato. Non sono, però, una persona che recita nella vita”.

Il dialetto napoletano ha una vasta gamma di ‘registri’ linguistici: portare in scena un’opera teatrale pienamente partenopea traducendola in italiano non pensa possa tradirne il valore etnologico e culturale storicamente più autentico?
“Mi trova assolutamente d’accordo, tant’è che l’opera non è ‘tradotta’ in italiano, bensì resterà in dialetto, sebbene in forma non ‘strettissima’, in modo da rendere lo spettacolo il più fruibile possibile”.

Il grande Eduardo De Filippo disse che “fare teatro sul serio significa sacrificare una vita” e aggiunse che, nel suo caso, a causa di ciò si era ritrovato “con i figli grandi senza essersene neanche accorto…”: lei quanto sacrifica della sua vita al teatro?
“Tanto, ma nello stesso tempo tengo presenti i veri valori e gli impegni importanti della mia vita quotidiana. Il teatro va di pari passo con l’importanza dell’affetto di mia moglie e delle mie due figlie, cercando di non sottrarre loro troppo la mia presenza, sebbene non sia cosa facile”.

La sua è una commedia che non dimentica di narrare i problemi della vita quotidiana, ma cosa pensa del teatro politico impegnato?
“Sicuramente, è una forma artistica di tutto rispetto, ma lontana dalle mie ‘corde’…”.

Il teatro ha un grande valore anche da un punto di vista antropologico: in un clima di trasformazioni epocali come quello attuale, un attore può essere, a suo avviso, veicolo di cambiamento? In pratica, nel merito della divulgazione di nuove idee e spunti di riflessione, lei ritiene di svolgere una funzione sociale?
“Assolutamente sì: l’attore rappresenta sicuramente un veicolo di cambiamento, sensibilizzando e ponendo in evidenza le criticità della nostra società”.

È preoccupato per i tagli economici al comparto cultura? Qual è, a suo modo di vedere, il futuro del teatro?
“Sono preoccupato non tanto dal discorso dei ‘tagli’, poiché non ho mai percepito contributi pubblici, ma perché, logicamente, in un periodo di crisi economica come quello attuale, il settore culturale è uno di quelli maggiormente penalizzati”.

C’è qualcosa che lei teme di portare in scena? E quali sono i suoi progetti per il futuro?
“Non parlerei di timore, ma avrei delle preoccupazioni maggiori nel realizzare un musical: sarebbe di difficile attuazione, vuoi perché si ha bisogno di particolari capacità artistiche a 360 gradi, vuoi perché, anche dal punto di vista economico, sarebbe un impegno molto gravoso. Tuttavia: mai dire mai… Per il futuro, ho in mente diversi progetti, ma non ho ancora elaborato delle scelte definitive”.


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Marcello Tamasco - Italia - Mail - sabato 26 novembre 2011 19.22
Signora Angela esprima pure le sue opinioni personali. Nonostante il suo evidente livore, di cui non conosco le cause, non dimenticherò di esser gentile né con lei né con altri. Le domande son state direttamente formulate al regista senza concordarle, ed egli è stato semplicemente cortese nell'accoglierle. Le auguro maggiore serenità per il futuro...
Angela - Italia - Mail - domenica 20 novembre 2011 18.9
Definire "maestro" questo mentecatto è un oltraggio al teatro italiano. Questo articolo trasuda ipocrisia e puzza di parole concordate, ma almeno l'autore ha avuto il pudore di scrivere "maestro" con la m minuscola. Avete la benché minima idea di chi sia e come reciti questo signore? Un mediocre metodista e presuntuoso, che si permette, quale "pagliaccio di scena", di arrogarsi la preparazione teatrale dei grandi drammaturghi italiani?!?! Come si permette di parlare di talento, lui che ha già dimostrato da anni di non averne alcuno?!?! Il suo unico merito, se così vogliamo definirlo, è quello di sapersi circondare di un corollario di attori più o meno capaci che, un po' per fortuna, un po' per caso, un po' per necessità, alla fine ci lavorano insieme... Il risultato è scontato. Il cosiddetto "maestro" viene sempre oscurato dai suoi comprimari e la coralità, spesso, ne risente, così come egli stesso ne risente, eccome se ne risente!
Maestro?!?! Ma per favore!!!
Antonella - Roma - Mail - martedi 15 novembre 2011 15.7
Che bello, finalmente Mario Antinolfi torna a calcare le scene! Lo spettacolo dell'anno scorso è stato esilarante e sorprendente. Di certo questo non sarà da perdere.


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