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‘Residui di teatro’ nascono nel 2000. La compagnia, diretta da
Gregorio Amicuzzi, è uno dei gruppi teatrali italiani più attivi che opera, dal 2007, in Spagna, soprattutto a Madrid. Si tratta di un team di artisti che ha prodotto moltissimi spettacoli, con i quali hanno partecipato a diversi festival internazionali e a differenti progetti di cooperazione nei 'Campos de Refugiados Saharaui' in Argentina, Uruguay, Nicaragua ed El Salvador. Oggi, sono al loro decimo anno di vita e, dopo i sette passati in Italia, c’è da chiedersi perché una compagnia di teatro cosi valida si sia dovuta trasferire in Spagna in un periodo, tra l’altro - il 2007 - in cui ancora non esistevano le occupazioni dei teatri come ‘Il Valle’ e la cultura era ancora dignitosamente sostenuta. Abbiamo dunque voluto incontrarli, al fine di intavolare insieme a loro un piccolo ‘dibattito’ sulle motivazioni che li hanno indotti ad abbandonare il nostro Paese. I nostri interlocutori sono gli storici membri della compagnia: il direttore e attore
Gregorio Amicuzzi, l’attrice
Viviana Bovino, responsabile della formazione e
Ignazio Abbatepaolo, attore specializzato nella ‘clowneria’.
Gentilissimi, secondo voi l’Italia è un Paese ‘avaro’ nei confronti della cultura, in particolar modo di quella teatrale? O forse ritenete che sia proprio il ‘vostro’ stile recitativo a rappresentare un genere di difficile ‘digestione’ per una società culturalmente ‘appiattita’ dalla televisione come quella italiana?Viviana Bovino: “Con la premessa che credo più all’onestà della ‘lavatrice’ che a quella della televisione, che dire? La televisione crea un appiattimento e un istupidimento del genere umano, perché i programmi sono fatti per mantenerci incollati allo schermo e rimanere fermi dinanzi alla pubblicità. Quindi, la televisione serve a vendere i prodotti, non ad altro. L’Italia ha il problema che chi ha in mano le televisioni, o chi ha diretta influenza, attraverso il Governo, sull’emittenza, è anche premier. Se la televisione è stupida, il capo della televisione è dunque il leader degli stupidi? E se il capo degli stupidi sta a capo del Paese, ciò vuol dire che ci stiamo instupidendo? Sono disquisizioni che ci porterebbero lontano. Ad ogni modo, il nostro lavoro non è commerciale, gira su circuiti spesso ‘off’, più piccoli. E questo non facilita per niente il contatto con la gente, che non è abituata ad andare a teatro, che guarda la televisione o che non va a vedere spettacoli nei teatri più piccoli, quelli in cui non c’è bisogno di sfoggiare una ‘pelliccia’ per entrare. Se non si aiuta o o non si incoraggiano i circuiti piccoli e le compagnie indipendenti con una politica intelligente, in Italia le realtà come la nostra rimarranno sempre ai margini e non avranno visibilità. Non si potrà dire se erano o non erano bravi, ma solo: “Non li abbiamo visti”. Al contrario, la Spagna ci ha dato molte più possibilità e condizioni favorevoli per poter presentare i nostri lavori. In tutto questo, io sono molto speranzosa: da poco ho partecipato a un convegno in cui si parlava dei ‘neuroni specchio’ in rapporto al teatro. Finalmente, ci sono le basi scientifiche che dimostrano che il teatro (insieme ad altre arti) contribuisce allo sviluppo del genere umano. A questo punto, non ci resta che contribuire positivamente a questa evoluzione”.
Ignazio Abbatepaolo: “Io vorrei sottolineare che, in effetti, è stata proprio questa ‘avarizia’ di fondo dell’Italia che ci ha spinto a trasferirci all’estero, semplicemente per poter “vivere o morire” dell’arte di cui siamo innamorati. E tuttavia non credo che il nostro stile non sia ‘digeribile’ per il nostro Paese. Al contrario, abbiamo sempre riscontrato commenti e pareri positivi dopo ogni nostra rappresentazione. Il problema, mi dispiace dirlo, credo sia la ‘logica’ della politica, o l’illogicità della politica, che è riuscita a entrare in qualsiasi sfera e, naturalmente, anche in quella culturale e artistica: se non conosci nessuno o non scendi a compromessi, non arrivi da nessuna parte, in teatro come in qualsiasi altro settore… Ecco perché abbiamo preferito emigrare, lottare e resistere, invece di elemosinare contatti e passare metà delle nostre ore lavorative in vari uffici di circoscrizione o comunali cercando di spiegare, talvolta invano, il senso delle nostre attività”.
Gregorio Amicuzzi: “Anch’io non credo che il nostro teatro non sia ‘digeribile’ per l’Italia: non considero il nostro teatro né speciale, né particolarmente ‘difficile’. Ritengo, invece, che il ‘problema italiano’ sia profondamente legato alla ‘televisione-spazzatura’ che continuiamo a ingurgitare senza freno e, allo stesso tempo, alla stessa situazione teatrale italiana presa nel suo complesso. Purtroppo, il teatro, oltre a non avere una legislazione propria, un circuito trasparente e riconoscibile, non ha pubblico. Ormai, si è accumulata una distanza incredibile tra quello che succede nei laboratori, nelle scuole teatrali, nei centri di formazione e nei festival internazionali e la percezione che il pubblico riesce ad avere dal mondo del teatro. Un altro grande problema è la difficoltà di lavorare facendo ‘rete’: molte compagnie, artisti o teatri continuano a ragionare in maniera isolata, difendendo la “propria arte” e non “il nostro settore e la nostra arte”. Allo stesso modo, all’interno del settore teatrale non si sviluppano spazi di discussione tra i diversi anelli dello stesso ambiente: artisti, programmatori, direttori artistici, dirigenti culturali e pubblico non parlano tra di loro. Non esistono spazi di confronto, insomma. Infine, in Italia le logiche continuano a essere sempre le stesse: clientelismo, raccomandazioni, profonda mancanza di meritocrazia e di rispetto per il lavoro. Da quando siamo in Spagna, gli unici che non ci rispondono e che ci ignorano dopo infinite chiamate, mail e lettere sono gli istituti italiani e i festival cosiddetti ‘alternativi’ del nostro territorio! Ad agosto siamo stati in Messico e abbiamo creato laboratori di formazione e specializzazione oltre che in diverse scuole di teatro, anche negli istituti di cultura spagnola e in quello della cultura ellenica. L'istituto di cultura italiano non ci ha neanche risposto, perché chiaramente non conoscevamo nessuno. Amen…”.
Sono 10 anni che voi operate a livello internazionale: perché avete optato per una ‘doppia scelta’ tra il genere sperimentale e quello tradizionale?Gregorio Amicuzzi: In realtà, abbiamo seguito un po’ ciò che il teatro ci ha proposto. Voglio dire: non venendo da una formazione ‘accademica’, per noi è sempre stato molto importante l’incontro con i ‘maestri’ e il loro lavoro. La loro esperienza ha influenzato le nostre scelte. Non ci siamo mai chiesti se il nostro teatro è tradizionale o sperimentale, bensì abbiamo seguito semplicemente le nostre ‘inquietudini’, che ci hanno spinto a produrre uno spettacolo ispirato a ‘Aspettando Godot’, cosi come a ‘De babelica Generatione’, un’esperienza itinerante per 25 spettatori in un cilindro gigante di 7 piani nella periferia romana”.
Viviana Bovino: “In questi anni abbiamo utilizzato numerose tecniche, abbiamo spaziato attraverso vari generi. L’obiettivo è sempre stato quello di utilizzare ciò che era necessario per dire ciò che volevamo dire, nel modo che piú ci soddisfaceva e che più ritenevamo efficace”.
Ignazio Abbatepaolo: “In realtà, non abbiamo mai optato per una ‘doppia scelta’: è sempre stato uno ‘scoprire’ volta per volta il genere più indicato per esprimere nel migliore dei modi i messaggi e le emozioni contenute nei vari spettacoli. Per questo, le nostre messe in scena sono sempre state molto diverse”.
Il lavoro con il corpo è il vostro ‘principio-base’, secondo i vari corsi che avete organizzato di teatro físico, ‘clown actor’, presenza scenica e corpo elastico: ci potete spiegare perché risulta così determinante nella vostra formazione ed espressione artistica?Gregorio Amicuzzi: “A prescindere dal testo, l’estetica, lo stile o il genere, il corpo dell’attore rimane il centro della messa in scena. E’ il corpo dell’attore lo strumento di comunicazione con il pubblico: è lo strumento di creazione e d’espressione per lo stesso attore. Ciò non significa, necessariamente, lavorare senza testo, piuttosto che il lavoro, anche vocale o d’interpretazione, parte dal corpo. Il corpo è il motore primario della creazione: è lo strumento di lavoro dell’attore, inteso nella sua integrità psicofisica, emozionale e vocale”.
Viviana Bovino: “Sono d'accordo: l’attore in scena utilizza innanzitutto il proprio corpo. E’ per questo motivo che non si può prescindere dall’allenamento di quest’ultimo. Il corpo è uno strumento fondamentale e va allenato e affinato come fosse uno strumento musicale. Abbiamo scelto di studiare discipline distinte, che focalizzino l’attenzione sul corpo (danza contemporanea, ‘capoeira’, ‘feldenkrais’, ‘clown-actor’, acrobatica, corpo elastico) per non rimanere ‘ingabbiati’ in un’unica forma. Il nostro training è finalizzato a far sì che i nostri corpi siano pronti e disponibili a sostenere le inquietudini che le nostre anime vogliono ‘gridare’ o ‘sussurrare’ in scena”.
Ignazio Abbatepaolo: “Effettivamente, quello di mettere il corpo al centro del nostro lavoro è stata l’unica scelta di stile verso la quale abbiamo optato da sempre. Siamo convinti che è proprio il nostro corpo, inteso nel suo complesso psicofisico ed emozionale, a essere sia il motore della creazione, sia lo strumento che utilizziamo come mezzo per esprimerci sul palco. Proprio come un musicista accorda, pulisce e si allena con il suo rispettivo strumento musicale, cosi noi facciamo con il nostro corpo. E’ il nostro strumento”.
La scelta del nome della compagnia su quali valori fondanti si è basata?
Gregorio Amicuzzi: “Nel 2000 facemmo un’esperienza artistica diretta da Paolo Vignolo che è risultata assai significativa per le persone appartenenti al gruppo in quel momento. Sto parlando del ‘Corso di formazione sul trattamento dei residui analitici’, una performance itinerante per 12 spettatori, inspirato a ‘Testo di un taccuino’ di Julio Cortazar, che si sviluppava nel territorio romano con la metropolitana in quanto spazio scenico. Da quella esperienza decidemmo di portarci il nome ‘Residui’, che venne da noi utilizzato per la prima volta a Milano nell’ottobre del 2000. I ‘Residui’ sono, infatti, ciò che rimane: le minoranze, le speranze, i piccoli e insignificanti dettagli che possono stravolgere gli eventi. Insomma, le idee che non muoiono, le insospettabili piccole azioni che possono cambiare la storia personale, di un gruppo o di un popolo intero: le piccole cose per cui vale la pena vivere”.
Ignazio Abbatepaolo: “Confermo la ricostruzione di Gregorio: il nome del gruppo risale all’anno 2000 quando, dopo un laboratorio teatrale con Paolo Vignolo, nacque (a quei tempi, in realtà, io ancora non ero ancora un ‘Residuo’…) una performance itinerante nella metropolitana di Roma. Per tutti i partecipanti si trattò di un’esperienza così intensa ed emozionante che ci spinse a continuare la ‘sfida’ e a scegliere proprio la parola ‘residui’ come nome per il gruppo”.
Viviana Bovino: “Io vorrei spiegare meglio un cosa: nel mondo spettacolo un residuo è tutto ciò che si trasforma (i dettagli, le piccole cose o i sogni) e che cambia sotto gli occhi del pubblico, senza che la gente se ne renda conto. Questo è il concetto di fondo della nostra scelta: un nome che racchiude la ‘poetica’ della nostra compagnia”.
Quali generi preferite, vista la vastità del vostro repertorio?
Viviana Bovino: “Quelli che traducono efficacemente ciò che si vuole esprimere…”.
Gregorio Amicuzzi: “Per il nostro teatro, piuttosto che parlare di ‘genere’, è più corretto rispondere a delle esigenze, alle inquietudini che il gruppo vive nel preciso momento in cui sta affrontando una nuova creazione. E’ per questo che, se si guarda alle nostre produzioni passate, si trovano molte differenze ‘di genere’ tra un lavoro e un altro”.
Ignazio Abbatepaolo: “Personalmente, non ho un genere ‘preferito’: è lo spettacolo stesso che, da solo, ci suggerisce lo ‘stile’ più consono. Anche se, in realtà, debbo ammettere di favorire generi più fisici che ‘parlati’: tradurre ed esprimere emozioni ‘in movimento’ è di gran lunga il mio stile preferito”.
La vocazione verso i temi sociali e di lotta è la vostra caratteristica principale: ci fate un esempio di spettacolo basato su questi valori?
Gregorio Amicuzzi: “Praticamente, in tutti i nostri lavori tocchiamo tematiche sociali. Io credo che è responsabilità di qualsiasi artista affrontare tematiche d’interesse collettivo, lasciando l’intrattenimento ad altri mezzi d’espressione. Un esempio? ‘Racconti dal mondo’, uno spettacolo per bambini costruito a partire da esperienze di cooperazione nei Paesi del ‘Sud del pianeta’. Abbiamo cercato di raccontare ai bambini europei le situazioni che vivono, purtroppo, molti altri bambini: dai campi profughi Sahrawi ai piccoli paesini di montagna del Nicaragua”.
Viviana Bovino: “Tutti i nostri spettacoli partono da un’osservazione e dall’esigenza di comunicare un’inquietudine. Mi piace sempre fare una metafora: noi ci nutriamo di ‘mondo’, poi lo ‘digeriamo’, infine lo trasformiamo attraverso le tecniche e gli strumenti che abbiamo sviluppato nel tempo e lo ‘rimettiamo-al-mondo’ in forma del tutto nuova, trasformata. Questo processo cambia noi in quanto creatori, perché la ‘digestione’, in alcuni casi, è lunga, in altri addirittura ‘indigesta’, sopratutto quando i temi sono quelli della violazione dei diritti umani, dei soprusi, delle illegalità. Ciò cambia noi stessi, ma cambia anche le persone, spero, che assistono allo spettacolo. Per me è stata una grande esigenza quella di trasformare in spettacolo l’esperienza vissuta nei campi dei rifugiati Saharaui. Non potevo rimanere in silenzio: le immagini, i ricorsi, le persone conosciute durante il viaggio fatto nel Sahara erano ‘taglienti’. Allora mi sono appellata ai bambini. E con l’aiuto e il supporto dei miei compagni di lavoro, mi sono dedicata alla creazione dello spettacolo ‘Racconti dal mondo’. E’ nato, così, uno spettacolo che parla dei diritti dell'infanzia e delle condizioni di vita dei bambini in alcune zone del nostro pianeta”.
Ignazio Abbatepaolo: “Ogni nostro spettacolo ha, come base, tematiche sociali e di lotta: è il nostro punto di partenza per ogni tipo creazione e di messa in scena. Un esempio palese può essere il nostro spettacolo clown “00 Clown Missione disarmo”, che tocca, appunto, il tema del disarmo mondiale. Tutti i nostri ‘maestri clown’ ci hanno sconsigliato di sviluppare una tematica così delicata, per uno spettacolo clown, quindi leggero e divertente. Ma le nostre inquietudini contro le armi ci hanno permesso di mettere in scena uno spettacolo ‘fresco’ e di forte impatto sociale, utilizzando un linguaggio più convenzionale: quello, appunto, del clown”.
Attualmente, vi trovate in Colombia: in che veste? Siete protagonisti di uno spettacolo? I rapporti Italia, Spagna America latina sono il vostro ‘cavallo di battaglia’: ci piacerebbe conoscerne i dettagli.
Ignazio Abbatepaolo: “In Colombia siamo stati gli interpreti, insieme a un gruppo colombiano e a uno messicano, dello spettacolo ‘Correspondencias’, diretto da Marta Ruiz, nostra prima coreografa sin dal 2001. E’ stata un’esperienza molto intensa e costruttiva: creare uno spettacolo di teatro-danza in soli quaranta giorni con tre gruppi che, praticamente, non si conoscevano e che venivano da realtà differenti, sia artisticamente, sia socialmente. Non è stato facile, ma è stato molto ‘nutriente’ dal punto di vista formativo e artistico. In Messico, inoltre, coltiviamo costantemente un ‘gemellaggio’ con la compagnia ‘Cartaphilus teatro’ ormai da 10 anni. Lo scorso settembre, nel Districto Federal, siamo stati inoltre convocati in qualità di docenti di corsi specializzati in vari centri di formazione professionale, come l’Istituto culturale ellenico, l’Espacio abierto e il Taller Septimo arte…”.
Gregorio Amicuzzi: “Confermo quanto appena detto da Ignazio: siamo stati in Colombia per un progetto di coproduzione tra Spagna, Messico e, appunto, la Colombia. Abbiamo prodotto lo spettacolo di teatro-danza ‘Correspondencias’, diretto e coreografato da Marta Ruiz, dove io ho diretto il lavoro degli attori. I nostri principali maestri, infatti, sono latinoamericani. Quindi, sin dall’inizio della storia della compagnia abbiamo avuto rapporti strettissimi con l’America Latina. In particolare, con la coreografa Marta Ruiz, con la quale abbiamo una lunga ‘relazione artistica’ dal 2001, anno in cui ha diretto: ‘Occupazioni insolite’. Un’altra grande collaborazione è, appunto, quella con il maestro Luis Ibar e la Compagnia messicana ‘Cartaphilus teatro’, con la quale abbiamo montato, nel 2003, lo spettacolo ‘Pax’, tradotto in spagnolo e portato in tournée in tutto il Messico. Da allora, abbiamo continuato a lavorare con loro e a tessere reti con altri artisti e Paesi latinoamericani. Inoltre, per questioni di lingua, da quando siamo residenti in Spagna i rapporti con l’America Latina si sono intensificati”.
Viviana Bovino: “Infatti, noi viviamo a Madrid ormai da ormai 4 anni. I nostri contatti con maestri e compagnie di vari Paesi latino-americani sono iniziati 11 anni fa e la nostra amatissima Marta Ruiz è colombiana. Negli anni abbiamo stretto questo gemellaggio con la compagnia ‘Cartaphilus teatro’, a seguito di un meraviglioso progetto promosso insieme: “Un ponte tra due mondi”. Col tempo, i viaggi e una padronanza sempre migliore dello spagnolo, si è definitivamente creata una meravigliosa ‘rete’ di contatti latinoamericani. Quest’estate, per esempio, siamo stati in Colombia e in Messico, dove abbiamo presentato i nostri spettacoli, insegnato in molte scuole e partecipato a una ‘coproduzione’ di ‘danza-teatro’ insieme ad altre compagnie di Paesi dell’America centro-meridionale”.