Giorgio PrinziIl Comitato italiano per il rilancio del nucleare (Cirn) richiama l’attenzione sul fatto che il settore nucleare, nonostante la criminalizzazione che ne viene fatta, è quello che si dimostra più attento e sensibile ai problemi della sicurezza nel senso più ampio del termine. Di fronte alla crescente minaccia del rischio di proliferazione di armi di distruzione di massa a portata di organizzazione terroristica strutturata, principalmente con armi di natura chimica e batteriologica e, in misura minore, radiologica, mediante frammistione di materiale radiatico in ordigni classici con funzione di polluzione del medesimo a seguito di detonazione tradizionale, è stato proprio il settore nucleare a mobilitarsi e a prendere un’iniziativa di sensibilizzazione al problema, passata purtroppo sotto quasi generale silenzio. La materia su cui si richiama l’attenzione è un Protocollo aggiuntivo al Trattato di non proliferazione integrato da una normativa europea, che ha di fatto introdotto l’obbligo della tracciabilità e del controllo sull’uso finale effettivo dei prodotti a uso bivalente (Dual use, nella definizione inglese), che possono venire indifferentemente usati sia per usi pacifici e persino umanitari, che per usi bellici devastanti, quali la realizzazione di armi di distruzione di massa. La relativa documentazione, dalla normativa internazionale e nazionale italiana, sino alla modulistica per gli adempimenti, è scaricabile dal sito del ministero per lo Sviluppo alla pagina web http://www.mincomes.it/dualuse/dualuse.htm. L’evento da cui prendiamo spunto è stato il Convegno internazionale sugli “Impegni nazionali per il rispetto del Protocollo aggiuntivo all’accordo di verifica, il controllo dei materiali dual-use e materiali radioattivi”, svoltosi presso il Centro ricerche Enea della Casaccia, i cui lavori sono stati aperti dall’ingegner Giovanni Lelli, Commissario di Enea. La conferma di quanto l’allarme su una potenziale recrudescenza del terrorismo sia reale e avvertito, a livello mondiale, è la ratifica di un “Protocollo aggiuntivo” al Trattato di non proliferazione nucleare, integrato da un specifica normativa dell’Unione europea, che estende i controlli sugli usi finali di prodotti con impiego potenzialmente bivalente (sia pacifico, sia bellico) sinora in libero commercio e senza restrizioni per l’esportazione. L’Ente su cui impernia, nel nostro Paese, la nuova normativa è il ministero dello Sviluppo economico, sul cui sito, alla pagina web http://www.mincomes.it/dualuse/dualuse.htm, si possono trovare tutte le informazioni al riguardo e persino scaricare i moduli relativi alle pratiche da seguire. Per una visione più divulgativa e non istituzionale della materia si consiglia di consultare anche il sito http://www.exportstrategico.org/. Rientrano nella nuova normativa prodotti di ampia commercializzazione, per i quali, proprio per il diffuso impiego di uso comune, se non addirittura con finalità sanitarie e umanitarie, sinora non erano state introdotte limitazioni o imposta alcuna tracciabilità sugli usi finali effettivi. L’innalzamento del livello di allarme ha portato a redigere una nuova normativa, che prevede sanzioni anche di natura penale, di cui sembra, in Italia, le aziende produttrici e gli esportatori non abbiano preso affatto coscienza. Su questo aspetto ha richiamato l’attenzione la dottoressa Myriam Ramella del ministero dello Sviluppo economico, che nella sua relazione al convegno sull’argomento svoltosi martedì 18 ottobre presso il Centro ricerche Enea della Casaccia, ha reso noto come la lettera specifica al riguardo, inviata a tutte le aziende interessate, non abbia avuto risposta da parte di nessuna di essa, nonostante le dichiarate intenzioni del ministero, responsabile per la concessione delle autorizzazioni all’esportazione, di svolgere una funzione di guida e di supporto e non sanzionatoria e tanto meno repressiva. In realtà, a fini terroristici, per realizzare armi di distruzione di massa a basso o bassissimo costo non sono sensibili le tecnologie nucleari classiche, ma principalmente quelle che si basano sull’utilizzo a fini bellici ad ampio effetto sulla popolazione ‘bersaglio’, derivanti dall’uso distorto di normali e diffusi prodotti chimici, alcuni persino di impiego corrente in campo sanitario, agricolo, alimentare. Per esempio, al Qaeda sarebbe in grado di estrarre dai semi di ricino, una pianta diffusissima dai cui semi, con spremitura a freddo, si ricava l’olio di ‘fascista memoria’. Ebbene, con un processo mediante opportuno solvente e laboratorio chimico adatto al trattamento di sostanze particolarmente pericolose, dai semi di ricino si può estrarre una proteina, la ricina, contenuta nella cuticola interna del rivestimento legnoso dei semi (fagioli di ricino, per la somiglianza al noto legume), contro cui non è conosciuto alcun rimedio e che ha effetto sia inalata, sia ingerita, o per semplice contatto. I sintomi si manifestano nell’arco di 24 ore. La morte sopravviene tra i 3 e i 15 giorni. La dose mortale è quella estraibile da una decina di semi. Come appare chiaro da questo esempio, è indispensabile rendere ‘tracciabili’ tutti i prodotti che possano avere uso duale, bivalente sia di pace che di guerra, onde evitare che sofisticate apparecchiature destinate a combattere malattie pericolose vengano acquistate sotto questa copertura e utilizzate invece per produrre economicissime armi di distruzione di massa, le cosiddette “atomiche dei poveri”. Di ancora maggiore importanza è la tracciabilità e l’uso finale di composti chimici, nel caso in questione quel solvente, che magari risulta di comune impiego per processi industriali utili e produttivi, o di composti chimici, precursori (una sorta di mattoni) ad esempio per produrre fertilizzanti, ma anche “mattoni” utilizzabili per realizzare altrettanto economiche sostanze mortali e per questo impiegabili su larga scala da organizzazione terroristiche strutturate. In realtà, come dicevamo, non è il settore nucleare, anche se le notizie che in queste ore giungono dalla Libia focalizzano ancora una volta l’attenzione su di esso, a risultare da questo punto di vista il più sensibile, perché una bomba atomica non la si costruisce in cantina e soprattutto non la si realizza con oneri economici estremamente contenuti. Il settore nucleare è tuttavia il “nervo scoperto” del dibattito sulla sicurezza e forse proprio per questo è stato il primo a mobilitarsi e a fare il punto sull’argomento. L’iniziativa è stata presa da Enea, con un convegno internazionale svoltosi presso il Centro Ricerche della Casaccia sul tema “Impegni nazionali per il rispetto del Protocollo aggiuntivo all’Accordo di verifica, il controllo dei materiali dual-use e materiali radioattivi”, che ha visto l’Ente impegnato al più alto livello con la partecipazione diretta ai lavori dell’ingegner Giovanni Lelli, Commissario Enea. Le due sessioni in cui si sono svolti i lavori sono state organizzate e presiedute dal fisico dottor Francesco Troiani del Centro Enea di Saluggia,Presidente di Nucleco, e dall’ingegner Massimo Sepielli del Centro Enea della Casaccia, Responsabile del settore nucleare dell’Ente e delle attività adesso connesse. Erano presenti rappresentanti di Iaea, l’agenzia internazionale delle Nazioni Unite che ha compitidi sorveglianza in materia, e di Euratom, che ha integrato le nuove normative nell’ottica europea. Questi relatori hanno illustrato il nuovo quadro normativo e dei controlli internazionali per la sua effettiva applicazione. Molto pragmatiche e avvincenti (qualcuno dei presenti ha parlato di tecnica espositiva da romanzo giallo) le relazioni di Troiani e di Sepielli, dalle quali, proprio per il riferimento narrativo a casi reali tra cui uno finito con denunzia penale da parte della competente Procura che aveva sottoposto il caso alla perizia tecnica di Enea, sono risultati estremamente chiari i compiti affidati all’Ente e l’approccio con cui vengono esplicati. Nel caso riferito dal dottor Troiani si trattava di componenti “misteriosi”, poi risultati essere flange di immissione per turbine a gas “dual use”, la cui esportazione con procedure che avevano attirato l’attenzione dell’Agenzia delle Dogane, era stata all’origine del sequestro e dell’indagine giudiziaria conclusasi con l’incriminazione. L’ingegner Sepielli ha fatto riferimento specifico a contesti pregressi in cui in un quadro normativo molto più elastico ed aperto alla circolazione delle conoscenze dell’attuale, quello che all’epoca rientrava nelle normali relazioni tra le comunità scientifiche di vari paesi, ha finito con il favorire la proliferazione nucleare. Anche in base a queste esperienze, sono state varate le nuove norme internazionali, che sono e devono essere intese finalizzate alla sicurezza ed al mantenimento della pace, o, almeno, al contenimento del rischio della proliferazione di armi di distruzione di massa. Le notizie di queste ore dalla Libia enfatizzano la portata di questo specifico aspetto. In realtà, l’embargo totale di tecnologia ambivalente riguarda solo due Paesi, l’Iran e la Corea del Nord, per gli altri le nuove normative si limitano alla garanzia della non elusione dell’uso finale. I criteri adottati per classificare i vari prodotti è stata illustrata dall’ingegner Giorgio Giorgiantoni di Enea Casaccia, che guida il gruppo specifico che si occupa dell’argomento. La classificazione in libera esportazione e con esportazione vincolata ad autorizzazione dipendono spesso da poche caratteristiche che differenziano le tipologie in catalogo, quali la temperatura di esercizio, i consumi specifici, la caratteristica di resistere ad alcuni tipi di corrosione od altro. Queste informazioni vengono inserite nei codici che contrassegnano i prodotti ai fini fiscali per l’esportazione, per cui il non adempiere alla richiesta preventiva per i prodotti classificati a uso bivalente può portare all’immediato blocco della partita e a sanzioni nei casi meno gravi, a procedimenti penali in quelli più gravi, sino al coinvolgimento in responsabilità di terrorismo internazionale qualora l’omessa tracciabilità sugli usi finali comporti un uso criminale del prodotto esportato. Al convegno erano presenti con relazioni che hanno illustrato i compiti specifici sia l’Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale, che i Vigili del Fuoco, i quali svolgono rispettivamente compiti di tutela ambientale e di protezione civile, soprattutto in riferimento alle cosiddette “fonti orfane”, materiale radioattivo di provenienza ignota disperso nell’ambiente. Di recente tali fonti orfane sono state rinvenute tra i rifiuti urbani di Napoli, utilizzati allo scopo improprio di smaltire materiale radioattivo. In una mostra organizzata nell’ambito del convegno erano in esposizione le strumentazioni utilizzate, compreso un laboratorio mobile avanzatissimo dei Vigili del Fuoco. Una relazione sugli aspetti e le implicazioni militari è stata tenuta dal maggiore Massimiliano Russo del Cisam, Centro Interforze Studi Applicazioni Militari del Ministero della Difesa. Erano quindi presenti al convegno tutti gli Enti interessati, tecnici, giuridici, autorizzativi, di prevenzione, militari. Brillava l’assenza più volte stigmatizzata, dei rappresentanti di categoria delle aziende e degli esportatori, che possono andare incontro a seguito di comportamenti omissivi a gravi conseguenze secondo precise responsabilità, alcune introdotte proprie con le recenti norme. Per questo sono stato pregato, in considerazione della mia duplice veste di tecnico grazie alla quale ho partecipato al convegno e di operatore dell’informazione, di svolgere opera di sensibilizzazione cercando di fare recepire la questione alle rappresentanze di categoria, in primis Confindustria, perché svolgano azione di sensibilizzazione nei confronti dei propri iscritti. Nel corso della sua relazione la dottoressa Ramella ha più volte ribadito che il ministero dello Sviluppo Economico intende svolgere una funzione di supporto e, nei limiti del consentito, di aiuto alle aziende e dall’esportazione, non un’azione di viscosità burocratica e tanto meno sanzionatoria e repressiva. Questo richiede che gli interessati prendano visione (lo ripetiamo: si trova tutto alla pagina web http://www.mincomes.it/dualuse/dualuse.htm) delle nuove normative internazionali e si adeguino ad esse. La legge non ammette ignoranza o deroghe in un campo estremamente sensibile, quale quello delle tecnologie ambivalenti e dei rischi di un uso finale diverso delle medesime. Nei mesi scorsi e non solo nelle ultime ore, a seguito della ‘crisi’ libica, sono tornati d’attualità coinvolgimenti passati dell’Italia in ‘intrighi’ internazionali tra i più gravi, tra i quali l’addestramento nel nostro Paese di Abdul Khan, padre della bomba atomica pachistana e, successivamente, ‘signore’ del traffico clandestino di tecnologie nucleari militari. Secondo quanto rivelato nei mesi scorsi dalla stampa statunitense, la definitiva uscita da questo genere di coinvolgimenti ebbe come luogo simbolo Taranto, dove nell’ottobre del 2003 venne dirottato il mercantile tedesco ‘Bbc China’. Trasportava, tra le altre cose, cinque casse piene, invece che delle dichiarate pompe idrauliche, di componenti per realizzare centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Si scoprì che il traffico aveva centro in Sud Africa, dove al largo delle coste la nave fece naufragio nell’ottobre dell’anno successivo. Sarà un caso, ma la Germania, ritenuta avere fornito all’Iran importanti apparecchiature laser utilizzabili in avanzatissime tecnologie militari nucleari, pianifica oggi di uscire, sia pure non da subito, dal nucleare. Germania e Francia, pilastri economici in Europa, sono oggi Paesi in piena crisi. Ambedue, per motivi diversi, ma magari solo perché “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. E i motivi del “vuolsi” potrebbero essere gli stessi per entrambi. La ricerca su internet deve essere fatta in inglese, ma si trovano riscontri in rapporti di Enti qualificati e attendibili. Fantapolitica? Dietrologia? Pochi ricordano in tema la dirompente intervista del 18 agosto 1986 concessa al settimanale ‘Panorama’ dal generale Ambrogio Viviani, Capo del controspionaggio militare dal 1970 al 1974, in cui affermava che ‘Argo 16’, un aereo militare che per ordine del Governo italiano aveva restituito al mandante dei terroristi che intendevano abbattere con un missile lanciato da un terrazzo di Ostia un aereo di linea israeliano in fase di decollo da Fiumicino, sarebbe stato fatto brillare per rappresaglia dal Mossad sui cieli di Tessera, con a bordo lo stesso equipaggio che aveva fatto da vettore per i terroristi impuniti. Nel 1999, la Corte d'Assise di Venezia sentenziò che la caduta dell'aereo doveva essere imputata a un incidente. Strana coincidenza, fa naufragio, sia pure dopo un decennio, anche la nave da crociera ‘Achille Lauro’, sequestrata da un gruppo terroristico palestinese che si macchiò dell’abominevole uccisione del turista statunitense invalido di origine ebraica Leon Klinghoffer. Vi fu il seguito di Sigonella e del ‘Dear Bettino’, che poi ebbe alcune traversie, ovviamente non correlate. E ancora, sembra essere stato fatto brillare da una bomba, come illustrato da una per me convincente perizia tecnica, il DC-9 ‘Itavia’ precipitato al largo di Ustica. L’inchiesta giudiziaria parla ancora di abbattimento da parte di un missile, anche se il ‘testimone’, come in gergo viene chiamato il simulacro ricostruito con i pezzi recuperati, non presenta traccia di impatto e di scoppio di questo tipo. Secondo la citata documentata perizia, l’ordigno sarebbe stato allocato nel vano porta salviette della toilette. In quel punto, i tubi presentano le classiche caratteristiche di tranciamento per sublimazione, plastificazione e schiacciamento a forte pressione tipiche di uno scoppio. Tra le varie ipotesi formulate per la ‘caduta’ si è parlato di traffici di materiali nucleari con la Libia, quindi di un’altra ipotetica rappresaglia in differita da un non sinora definito mandante. Con questi precedenti ben si comprende la sensibilità verso il problema del Governo e degli operatori del settore a seguito della ratifica di un ‘Protocollo aggiuntivo’ al Trattato di non Proliferazione Nucleare, integrato da una specifica normativa dell’Unione 3uropea, che estende i controlli sugli usi finali di prodotti con i mpiego potenzialmente bivalente (sia pacifico che bellico) sinora in libero commercio e senza restrizioni per l’esportazione. Cosa ha spinto a queste restrizioni? Una possibile chiave di lettura viene da valutazioni di intelligence su una presunta riorganizzazione di al Qaeda e su un suo presunto cambio di strategia operativa, forse la reale occulta ragione della scomparsa fisica del suo fondatore e capo carismatico. Osama bin Laden viveva in un’area considerata “impenetrabile” protetto da rigide misure di sicurezza quale quella che il corriere che lo contattava disattivava il cellulare a un centinaio di chilometri di distanza proprio per non lasciare la minima traccia. Si era persino diffusa la convinzione che fosse morto, in quanto non appariva più in video solo forse per non lasciare flebili tracce, ma cruciali per gli specialisti, utili a individuare il luogo presumibile di rifugio. In base a queste considerazioni, in un articolo in cui si parlava, tra l’altro, del cambio di strategia di al Qaeda (http://www.agenziaradicale.com/index.php?option=com_content&task=view&id=12742&Itemid=50), veniva presa in considerazione l’ipotesi che l’eliminazione di bin Laden potesse essere stata favorita da una fuga di notizie pilotata dall’interno della stessa organizzazione terroristica per liberarsi del vecchio leader carismatico divenuto un ingombro se non un freno alla svolta modernista alla quale facevo cenno nell’articolo citato, che è a mia firma. Sul fatto se vi sia stato o meno un ‘aiutino’ dall’interno volto a favorire il ricambio al vertice si rimane nel campo delle ipotesi, della dietrologia, della fantapolitica, delle teorie del complotto, dizioni omologhe tipiche di contesti culturali diversi, ma sostanzialmente dizioni interpreti dello stesso significato: non è possibile affermarlo ne smentirlo a priori. La chiave corretta di lettura al riguardo potrebbe essere la fuga dal carcere, in cui avrebbe dovuto scontare l’ergastolo, di Ramzi Mahmoud al-Mowafi, ex medico di Osama bin Laden ai tempi della guerra in Afghanistan, evasione resa possibile, se non intenzionalmente favorita, grazie al caos provocato dalla rivolta contro Mubarak. Secondo quanto asserisce Abdel Rahim Ali, Direttore del Centro arabo di ricerche e studi ed esperto di antiterrorismo, al Mowafi si nasconderebbe nelle alture del Sinai da dove lo scorso 2 agosto sarebbe stato l’ispiratore di un comunicato con il quale veniva annunziata la nascita di una cellula di al Qaida nella Penisola del Sinai. Secondo lo studioso che ha tenuto una relazione su “Il fenomeno delle nuove generazioni di al Queda e i loro orientamenti” in un convegno (http://www.ikhwanweb.com/article.php?id=23185) organizzato dal “Centro internazionale di studi strategici e sul futuro” e svoltosi al Cairo il 27 gennaio 2010 sul tema “L’evoluzione delle generazioni di al Qaeda di diffusione regionale del terrorismo radicato a livello regionale e suoi metodi di azione”, la rete terroristica si sarebbe apprestata a una fase riorganizzativa in grado di governarla in maniera più razionale e funzionale. In particolare, le nuove generazioni sarebbero state meglio formate e più adatte al moderno contesto tecnologico, militare e comunicativo. A tal punto, l’eliminazione di bin Laden da parte di reparti speciali statunitensi potrebbe ipotizzarsi come intenzionalmente favorita, magari solo con una pilotata fuga di notizie, da parte di chi era interessato a questa svolta nella strategia e nella tattica dell’organizzazione, in prospettiva ad un ricambio nel controllo della medesima. Ma se questa nostra chiave di lettura è corretta, o solamente non è del tutto ipotetica, il rischio di una recrudescenza del terrorismo internazionale di matrice islamica risulta reale e immanente. L’evoluzione di quella che è stata con troppo entusiastico ottimismo definita la ‘primavera araba’ sembra infatti, ora, sempre più caratterizzarsi come un ‘cupo autunno’ se non un ‘tempestoso e tenebroso inverno’. Forse è il caso che ci si renda conto della necessità di alzare la guardia e non considerare gli obblighi del Protocollo aggiuntivo come un ulteriore aggravio di burocrazia e ‘scartoffie’, ma come una misura indispensabile a contenere con accresciuti controlli un rischio potenziale, che in molti riteniamo affatto peregrino.




Segretario nazionale del Comitato italiano per il rilancio del nucleare (Cirn)
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