Il Comitato italiano per il rilancio del nucleare (Cirn) si chiede, perplesso e stupito, se la presenza di Italia dei Valori nella coalizione di opposizione sia per essa una risorsa o una pericolosa mina vagante. Questo alla luce dell’effetto giuridico del risultato referendario in materia di energia del 12 e 13 giugno 2011, che cancellando una abrogazione ha espresso una approvazione. In particolare, con l’abrogazione del comma 1, il popolo sovrano si è plebiscitariamente espresso per proseguire in tutti gli aspetti e i modi delle attività nucleari; la norma pregnante cancellata è stata infatti il “...non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare”, essendo del tutto inessenziali le considerazioni che motivavano la decisione governativa del non procedere, abrogata appunto per corale volontà popolare. Ancora più incisive le conseguenze dell’abrogazione del comma 8 che ha, nella sostanza, cancellato quanto la Corte Costituzionale aveva con più sentenze affermato in materia di rapporti tra potere centrale e poteri locali, dando interpretazione al riformulato “Titolo V” della Costituzione. Ci sono ora alcune considerazioni da fare: sulle modifiche costituzionali è previsto che il popolo si esprima mediante referendum, senza sbarramento del quorum. La Corte Costituzionale, dichiarando ammissibile sottoporre a referendum il comma 8, ha di fatto rimesso al giudizio quanto normato in base alle sue sentenze. Il popolo sovrano si è plebiscitariamente espresso, abrogando la norma. La domanda che mi pongo e pongo ai giuristi è quella se ora la Corte Costituzionale potrà continuare a chiedere al Governo di attenersi a quelle sue sentenze nella sostanza plebiscitariamente abrogate dal risultato del referendum in materia del 12 e 13 giungo 2011. Antonio Di Pietro, leader di Italia dei Valori, è un fine giurista con un passato da magistrato di punta: possibile non si sia accorto del ‘paradosso’? Sia pure con diverse motivazioni, è stata proprio Italia dei Valori, nella memoria presentata alla Corte di Cassazione al fine di avere la traslazione del referendum alla nuova normativa, a fare esplicito e argomentato riferimento ai commi 1 e 8. Credo utile, pertanto, che il diretto interessato si esprima. Sinora dobbiamo registrare sulla nostra interpretazione del risultato referendario un imbarazzato silenzio assenso. Ne prendiamo atto e rinnoviamo con ancora maggior vigore e convinzione al Governo la richiesta di un pronto riavvio del nucleare, come peraltro i commenti riportati dalla stampa sulle dimissioni del professor Umberto Veronesi da presidente dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare sembrano confermare. Stefano Saglia, sottosegretario al ministero dello Sviluppo Economico con delega all'Energia, ha poi puntualizzato che l'Agenzia “è fondamentale”. Anzi, dovrebbe avere più voce nelle discussioni europee nel merito degli stress test che verranno fatti nelle altre centrali dell'Europa, in quanto al di là delle Alpi ci sono almeno quattro centrali nucleari della stessa generazione di Fukushima. Altro passo delle dichiarazione del sottosegretario Saglia che il Comitato italiano per il rilancio del nucleare considera fondamentale, è quello in cui afferma: “I rallentamenti che si sono verificati nella costituzione dell'Agenzia, sono legati alla difficile situazione congiunturale che stiamo affrontando e non a una negligenza del Governo, che ha sempre creduto nel nucleare come un'opportunità per il nostro Paese”. Queste dichiarazioni sono rese possibili dalle paradossali conseguenze giuridiche del recente referendum, tanto che il Cirn ha preso in considerazione l’ipotesi che possa essersi trattata di una orchestrata diabolica ‘beffa’, nella quale Italia dei Valori è stata la prima vittima. Per questo, sollecita ancora una volta e con maggior forza una presa di posizione al riguardo del suo leader, Antonio Di Pietro. Sinora, alle dichiarazioni del sottosegretario Saglia ha fatto eco il presidente dei Verdi Angelo Bonelli, che evidentemente non ancora avendo letto, come gli avevamo consigliato di fare, il testo delle norme abrogate, è convinto che l’esito referendario significhi uno stop al processo di rilancio in Italia dell’opzione nucleare. Mi trovo stranamente in sintonia, peraltro, con le dichiarazioni rese al riguardo del direttore esecutivo di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio, laddove afferma: “Ora attendiamo di sapere quali competenze verranno attivate per garantire ai cittadini un controllo serio ed efficace”. Nel confermare stima e simpatia al professor Umberto Veronesi, auspicando un ripensamento, rammentiamo che a suo tempo il Comitato italiano per il rilancio del nucleare aveva ipotizzato più nominativi come candidati alla Presidenza dell’Agenzia, soffermandosi in particolare su uno per le sue caratteristiche di competenza specifica, capacità comunicative e grinta a sostegno dell’opzione. I giochi ora si riaprono. La stampa omologata, a cominciare dagli eredi dell’Agenzia Stefani, censura le prese di posizione del Cirn, nonostante le sue iniziative e le sue valutazioni finiscano poi con avere eco persino a livello di Governo. Qualche attivista antinucleare ha posto l’enfasi su un presunto significato politico del referendum, non tenendo conto del pesante significato politico che, proprio per le sue implicazioni, ha l’aspetto giuridico della questione. Ma poi, è davvero possibile che i 25.643.652 elettori che hanno votato per l’abrogazione delle norme che impedivano di procedere oltre con il nucleare lo abbiano fatto senza neppure leggere il testo dei quesiti referendari? Il voto è stato democratico e responsabile: sostenere il contrario equivale ad affermare che siamo un popolo di ‘pirla’. Questo lo rifiutiamo senza mezzi termini: chi ha votato era consapevole delle sue scelte.