Nel dibattito senza fine su
Islam, democrazia e modernità, il fatto nuovo è l'aver preso atto che la presenza dei musulmani in Europa è un fattore di
trasformazione del pensiero islamico. Due libri recenti lo dimostrano in modo diverso.
“Vers un Islam européen”, composto di articoli pubblicati di recente da
Olivier Roy sulla rivista
“Esprit”, è incentrato sull'idea di una
secolarizzazione effettiva del mondo musulmano, provocata secondo l'autore da tre fenomeni convergenti:
l'Islam politico, il neofondamentalismo radicale e l'affermazione religiosa dei musulmani emigrati.
Roy sottolinea il ruolo paradossale dell'Islam politico, che tende a ratificare piuttosto che a sopprimere l'eteronomia dell'ordine religioso e politico. Descrive anche i movimenti che mettono
la sharia al centro sia della pratica individuale che della rivendicazione culturale e sociale; organizzazioni comunque caratterizzate da un elemento di indifferenza rispetto allo Stato e alla politica. Ma ha ragione
Roy nel ritenere questi movimenti come
fattori di "deculturizzazione"? Questa interpretazione appare discutibile. Infatti, anziché una scomparsa delle culture nazionali sotto gli attacchi di una cultura islamica omogenea, che impone ovunque gli stessi codici alimentari, di abbigliamento o morali, l'incontro tra il discorso islamico normativo universale e società diverse può anche
generare nuove culture.
A questo proposito il caso dei musulmani immigrati in Europa, esaminato nella parte conclusiva del libro, è estremamente significativo. Non sorprende che il discorso islamico universale rappresenti una forte attrattiva per molti ragazzi musulmani figli di immigrati, in quanto questa corrente fa dell'individuo
il punto centrale della sharia: il richiamo all'individuo corrisponde alle caratteristiche della minoranza musulmana
meglio delle forme di Islam più nazionalistiche dei loro genitori marocchini, algerini, tunisini, asiatici o africani.
Così, il ricorso alla norma islamica permette ad alcuni ragazzi musulmani di
sfuggire alla destrutturazione culturale del loro ambiente familiare e sociale, provocata dalla marginalità o dall'esclusione. Con il discorso islamico universale questi ragazzi creano le condizioni non della deculturalizzazione, bensì del
manifestarsi di un'altra cultura islamica europea nata dall'incontro fra il messaggio religioso e il contesto francese, inglese o tedesco. Il discorso teologico islamico in Europa, come nota
Roy, è ancora lontano dal prendere atto di queste innovazioni. E' tuttavia possibile osservare gli esordi di un
rinnovamento della riflessione teologica suscitato dalla presenza dell'Islam in Europa.
L'ultimo libro di
Tariq Ramadan: “Tre musulman européen”, ne rappresenta una testimonianza. Quest'opera costituisce il primo tentativo originale di
riflettere sulla condizione minoritaria dei musulmani in Europa. Tutte le risorse della tradizione islamica vengono qui usate per spiegare e legittimare il nuovo ambiente. L'obiettivo principale è chiarire un certo numero di questioni di giurisprudenza, dimostrando che
alcune forme di coesistenza sono realizzabili ed evitando così i due estremi rappresentati dall'assimilazione e dal separatismo.
Distante dalle teorie conservatrici, che fanno dell'Islam un punto di riferimento centrale - posizioni che
Roy definirebbe neofondamentaliste, mentre
Ramadan preferisce chiamarle tradizionaliste salafi -, il libro dimostra brillantemente che
un approccio flessibile e contestualizzato all'eredità musulmana è possibile. A questo scopo l'autore si inserisce nella tradizione dei
pensatori riformisti nata alla fine dell'Ottocento e illustrata da
Jamal Al-Din Al-Afghani, Mohamed Abduh, Rashid Ridë e Hassan al-Banna.
La parte più innovativa del libro è dedicata alle modalità concrete di adozione di questo
sforzo di interpretazione.
L'autore rinuncia così alla
famosa opposizione fra Dar El Harb (mondo della guerra) e Dar El Islam (mondo dell'Islam), che non permette di descrivere la realtà musulmana in Europa, e preferisce considerare che
un musulmano si sente ovunque a casa sua non appena è in grado di rispettare i propri doveri religiosi fondamentali.
Il presente articolo è tratto dalla rivista "Le monde diplomatique", che lo ha pubblicato nel numero di aprile del 2000.