Il tunisino Mohamed Talbi è un intellettuale musulmano di formazione araba e francese. E’ attualmente visiting professor presso l’Università Luiss di Roma.
Esiste ancora
un futuro per la
legge islamica, sfidata da
laicità e ateismo?
Il mondo arabo-musulmano reclama il ritorno all’applicazione in senso stretto della
sharia. Nel sermone del venerdì, gli Imam chiedono il ritorno alla legge islamica, all’integralismo e al fondamentalismo. In realtà, l’uso di questi termini nel contesto musulmano è improprio: il concetto di
integralismo appartiene infatti alla
teologia cattolica, mentre il fondamentalismo è
protestante.
Come queste
forme di Cristianesimo, i movimenti musulmani definiti integralisti e fondamentalisti sono
conservatori. Contrariamente al Cristianesimo, nell’Islam il problema non è teologico ma
giuridico: i musulmani chiedono infatti un ritorno alla società che aveva creato la
sharia e per la quale la
sharia era stata creata. In quanto legge organica che regola e modella la società musulmana nei minimi dettagli del culto, dell’etica, dell’economia e della vita giuridica, la
sharia prese forma fra l’VIII e il X secolo. Dopodiché, non ha più fatto un passo.
Come si è arrivati all’integralismo? Dominata dalle figure di
Afghani (1838 – 1897) e Abduh (m. 1905), la seconda metà del XIX secolo fu contrassegnata dal
pacifismo e da movimenti volti a istruire la popolazione e a riformare la società. In questa fase, nessuno mise seriamente in dubbio
i fondamenti della sharia. Le prese di posizione di
Abduh a proposito del
velo e della liceità del
tasso di interesse furono vaghe e ben presto ritrattate dal suo discepolo,
Rashid Ridha (m. 1935).
La crisi divenne più seria con il Presidente egiziano
Nasser (1952 – 1970) e la sconfitta degli eserciti arabi nel
1948 contro
Israele. In piena guerra fredda – e fino alla caduta del Muro di Berlino – nel mondo arabo-musulmano si diffusero e confrontarono due ideologie:
l’Islam politico sostenuto dall’Occidente e, in particolare, dagli Stati Uniti, e
il socialismo, metamorfosi araba del marxismo sovietico. Le due ideologie non erano separate in modo netto, tant’è che
Seyyed Qutb (1906 – 1966), il personaggio più rappresentativo dell’Islam radicale, aveva cominciato come
militante marxista.
La prima metà del XIX secolo era stata contrassegnata – ovunque nel mondo arabo-musulmano, ma in modo particolare nel vicino Oriente e in Egitto – da un’effervescenza intellettuale e politica sostenuta dalla diffusione della stampa. Si discuteva con passione delle idee di
Darwin, la cui opera fu subito tradotta in arabo. La si approvava e confutava. Libero pensiero, critica delle religioni, polemica nei confronti dell’Occidente, agnosticismo e ateismo riempivano le pagine dei giornali, delle riviste e dei libri.
Hasan al-Banna (m. 1949), il fondatore dei
Fratelli musulmani, è figlio di questa epoca. La sua importanza per la
sharia non sarà mai sottolineata a sufficienza. Non si trattava di un
ulema. Salvo qualche rara eccezione, i religiosi non sono mai stati uomini d’azione e ancora meno agitatori politici, ma piuttosto servi del potere.
Al-Banna era un insegnante, figlio di un orologiaio che, ferrato in materia di
hadith (detti del Profeta), svolgeva anche la funzione di Imam e guidava quindi la preghiera.
A ventitré anni,
Hassan al-Banna iniziò a militare per la reislamizzazione della società, minacciata dal libero pensiero e traumatizzata dall’abolizione del califfato ottomano nel
1924 da parte di
Ataturk, che trasformò
la Turchia in uno Stato laico. Nel
1929 fondò il movimento dei
Fratelli musulmani, il cui obiettivo era
il ritorno alla sharia codificata dalle quattro grandi scuole di diritto sunnita. Agli aderenti al movimento fu chiesto un impegno totale, fino al martirio:
“Dio è il nostro fine, il Suo Messaggero il nostro modello, il Corano la nostra Legge, il jihad la nostra vita, il martirio la nostra speranza”.
Agli integralisti si contrappongono i partigiani della laicità come unica soluzione per accedere alla modernità. Il loro precursore è
Ibn Khaldun (1332 – 1406), secondo cui lo
Stato teocratico sarebbe estraneo alla natura umana. Contrariamente a quanto credono in molti, per quanto
superiore allo Stato laico – privo della luce di Dio – lo Stato teocratico non è razionalmente necessario. Gran parte dell’umanità non ha mai conosciuto questa forma di governo e quei musulmani che hanno vissuto in uno
Stato teocratico non sono stati in grado di conservarlo in modo
puro e intatto. Per questo motivo, questa forma di governo è estranea alla natura umana.
Oggi i difensori della laicità sono molto numerosi. Si tratta soprattutto di musulmani che hanno abbandonato l’Islam. Contrariamente a ciò che molti pensano, l’ateismo si sta diffondendo tra le classi sociali di formazione moderna e occidentale, tra i dirigenti dei Paesi di tradizione musulmana, dove l’islamismo non è riuscito a imporsi veramente.
Per dare un futuro alla legge islamica bisogna andare
oltre la lettera del Corano e della Sunna (tradizione) ed esaminare l’intenzione soggiacente ai testi. Propongo una lettura del
Corano basata
sull’intenzione. La
sharia non si confonde – come vorrebbero gli integralisti – con il
corpus del fiqh, che è un’elaborazione umana in una determinata epoca non trasferibile al nostro secolo.
Dal punto di vista etimologico,
sharia significa
‘La Via’. La lettura che si fonda sull’intenzionalità
considera il Corano come una luce che rischiara questa via. In questo contesto, il
fiqh è frutto di una determinata epoca e, essendo il prodotto dell’uomo,
non merita alcuna sacralizzazione. La lettura del
Corano deve tenere conto del
contesto della Rivelazione.
Il Corano è guida. E non stagnazione, fossilizzazione e quiescenza. Il
Corano si iscrive nella tradizione delle
Antiche Scritture, superandole. Ne riprende alcune disposizioni, attenuandone le pene e incitando al perdono. Il
Corano si pone come
fini la
consolazione, la
misericordia e la
preservazione della vita.
Prodotto di un’epoca e di una certa mentalità, il
fiqh classico insiste invece sulla repressione, al punto da inventare pene che non esistono nel Corano, come la lapidazione per adulterio e la pena capitale in caso di apostasia.
Un giorno fui intervistato da una giornalista. Ad un certo punto
mi interruppe ed esclamò: “A sentirla parlare, sembrerebbe che lei abbia letto una versione del Corano diversa rispetto a Tourabi”! Ho una lettura diversa rispetto a questo
islamista sudanese. Una delle curiosità del
fiqh classico sta nel termine tecnico utilizzato per definire le severe
pene hudud, che prevedono per esempio il taglio della mano per il ladro ma
non trovano riscontro nel Corano.
Se il
Corano è tanto
liberale, perché
l’integralismo è così diffuso? A parer mio,
l’integralismo è il conforto dell’ignoranza e dell’imitazione servile. Perorare la causa dell’Islam moderno vuol dire aprire la porta all’angoscia e all’avventura. Dove si approderà? Con quali mezzi?
Oggi il problema principale dell’Islam non è teologico ma
giuridico. Tutti i movimenti islamici che destabilizzano il mondo musulmano reclamano il
ritorno alla sharia, un po’ come fanno
gli ebrei ortodossi chiedendo il ritorno alla halakha. L’Islam conservatore è molto ben organizzato, reclama la
sharia e rifiuta la laicità. Il modello a cui si ispira è il
wahhabismo salafita, al potere in Arabia Saudita dal XVIII secolo.
L’Islam liberale, invece, non è per nulla organizzato, vuole la modernità e la laicità ma non è in grado di fornire alcuna definizione precisa: si tratta forse di una
laicità militante e antireligiosa? Per il momento non esiste un pensiero musulmano alternativo e coerente di ispirazione moderna e liberale. Non esiste
alcuna scuola strutturata, nonostante siano numerose le ricerche in corso, peraltro disperse dal punto di vista geografico.
L’Islam europeo e, in generale, occidentale, potrebbe rappresentare una possibilità ma è troppo
frammentato e diviso da rivalità interne e obbedienze esterne per poter avere un ruolo significativo.
Gli integralisti, invece, vantano
istituzioni ben organizzate, radicate sia nei Paesi islamici, sia in numerose capitali europee. Paradossalmente,
il contesto liberale occidentale e i suoi potenti mezzi di comunicazione fanno comodo all’integralismo e non all’Islam moderno e liberale. Si potrebbe dire che
l’Occidente sostiene l’integralismo. A quale machiavellico fine? Ecco due esempi:
l’Arabia Saudita, dittatura che gode della protezione statunitense e la repubblica molto islamica dei
Talebani in Afghanistan, che ha spinto l’integralismo fino all’assurdo e al ridicolo.
L’Occidente, il Grande Satana in testa, ha riso, benedetto…bombardato, a seconda degli interessi del momento.
Come si spiega questo paradosso, che
danneggia l’Islam moderno e liberale? I grandi strateghi occidentali
non hanno fiducia. I potenti
mass media occidentali, i soli che possono
dare voce all’Islam moderno e liberale, non pensano di
trarne alcun profitto. Tutti, in fin dei conti, per ragioni diverse, sembrano
diffidare dell’Islam liberale, e questo non è gratificante.
Questo articolo è stato pubblicato dalla testata "Il Sole 24 Ore" il 21/04/2002.
Il testo e stato tradotto e riadattato da Seyed Farian Sabahi.