Lo scorso 22 aprile, la Siria ha vissuto il giorno più sanguinoso di questi ultimi anni. Il regime di Bashir al-Assad ha annunciato l’abolizione dello stato di emergenza in vigore da quarantotto anni, da quando cioè il Partito Ba’ath prese il potere. La polizia siriana ha sparato indiscriminatamente sulla folla. Le manifestazioni si sono svolte in gran parte delle città del Paese, ma il movimento non sembra avere ancora le dimensioni di quelli appena trascorsi del nord Africa. Bashir non cederà il suo posto rapidamente e non si vedrà a breve la risoluzione delle violenze. I ministri degli Esteri degli Stati Uniti, della Francia e dell’Inghilterra hanno esternato la loro preoccupazione, reagendo immediatamente al bagno di sangue del “venerdì santo” siriano. I tre ministri hanno fatto sapere di essere molto inquieti per la situazione nel Paese e per le politiche poste in atto dal presidente leader e hanno richiesto un intervento serio e concreto per fermare le violenze e sostenere con fatti concreti l’abolizione dello stato di emergenza. In questo coro di voci ne manca uno: l’Italia. Le nostre preoccupazioni appaiono ben più interiori, le nostre inquietudini si possono tradurre con poche parole: immigrati e giustizia. Gli immigrati tunisini, descritti come l’orda ‘barbarica’ in arrivo sulle coste lampedusane, hanno ottenuto per lo più il permesso transitorio, ma inquietano ancora perché i nostri governanti non riescono a scaricarne il peso sulla Francia. Il duello con Sarkozy e con tutto il Governo d’oltralpe sta rinvigorendo gli animi dei nostri più arditi sostenitori dell’inutilità dell’Unione Europea. La Lega e parte del Pdl stanno mostrando la loro anima più cruda: o vi prendete gli immigrati, o noi usciamo dall’Unione. Una minaccia? Per lo più una barzelletta o, forse, un grosso favore alla stessa Unione, che vedrebbe l’uscita di scena di un Paese oramai divenuto scomodo, un ‘fardello’ pieno di debiti e politicamente insussistente. L’Italia fuori dall’Europa? È il sogno di tanti nel centrodestra, che accusano l’Unione e l’euro di aver rovinato l’economia nostrana, di aver vincolato le politiche nazionali alle altrui decisioni, di aver in qualche maniera permesso questo ‘scempio’ dell’immigrazione. Probabilmente, De Gasperi o anche Spinelli sono morti una seconda volta, per il dolore o la vergogna di vedere un’Italia trasformarsi in ‘un’Italietta’, poco assennata e priva di lungimiranza. Il nostro problema è ormai il nostro provincialismo, il nostro campanilismo e l’accentramento dell’attenzione intorno ai bisogni di uno o di pochi. L’altra inquietudine, ben manifesta da più di quindici anni, è la giustizia, che ora più che mai appare come un’idra a più teste, tutte ferocemente fameliche di una giustizia che non è più giusta, non è più equa, perché non risponde alle esigenze del ‘primus super partes’. Il problema italiano, oggi, è un ordinamento giudiziario che giudica secondo le leggi e non secondo le apparenti volontà di qualcuno. Una giustizia vituperata, cui ultimamente qualcuno ha associato la ferocia delle Brigate Rosse, l’illegalità e l’ingiustizia di un movimento violento e sovversivo che i giudici li uccideva, perché giudicavano anche loro secondo le leggi. La nostra Italia da operetta, comica e tragicamente malinconica dei nostri governanti, ha completamente perso il senso della realtà, ha scelto di escludersi dalla vita dei suoi cittadini per rintanarsi nella propria ‘cittadella’, dove tutto deve, o almeno dovrebbe seguire, i desiderata del suo maggiore protagonista. La speranza è che questa commedia abbia un epilogo meno funesto di quello delle più conosciute tragedie greche.