L’emergenza nucleare in Giappone ha acceso il dibattito sull’intenzione del Governo, anche in vista del referendum di giugno, di costruire nuovi centrali nel nostro Paese. Nei numerosissimi confronti fra chi è a favore e chi no emerge un dato costante: soluzioni a impatto zero in realtà non ne esistono. L’eolico deturpa il paesaggio, il solare costa molto a fronte di ciò che realmente produce (e probabilmente, prima o poi, qualcuno parlerà di come si smaltiscono i pannelli). L’unica argomentazione in Italia che può considerarsi realmente a impatto zero è la protesta. I giovani scendono in piazza e salgono sui tetti contro la riforma universitaria e i tagli della finanziaria, ma il ministro Gelmini procede nel suo intento. Le donne si rivoltano in massa contro gli usi e costumi del presidente del Consiglio, ma la ‘maggioranza’ del parlamento continua ad appoggiarlo. Inutile ogni forma di critica, tanto nulla cambia. Ne scrive anche Curzio Maltese sul ‘Venerdì’ di ‘Repubblica’ ricordando che “in Italia, la politica non discute mai di faccende serie”. È tutto ciò è vero a tal punto che la questione nucleare è già definita e risolta prima ancora del voto referendario. Perché sulle vere questioni dell’Italia non c’è reale confronto. O, quantomeno, c’è fra eccellenti incompetenti. In un seminario di qualche giorno fa ho avuto modo di ascoltare un commento di Marco Taradash sull’assenza di impegno politico da parte dei giovani. Già, chissà perché? Un’efficace risposta arriva da Andrea Danelli, giovane penna di www.lospaziodellapolitica.com, che in un articolo dal titolo significativo, ‘C'erano una volta i giovani’, afferma: “Faccio parte di una generazione in via d’estinzione: i nati tra il 1970 e il 1990 sono ora la parte più debole della società, faticano a trovare lavoro, faticano a comprare casa, a rendersi autonomi. Sono sostanzialmente inascoltati e assenti in ogni programma politico vincente. (…) I giovani soffrono da tempo di un disincanto totale. Iscriversi in massa ai Partiti e portare una ventata di novità? È onestamente difficile, perché i giovani oggi non hanno tempo. Lavorano molto perché sono pagati poco, e faticano ad abbandonare quel poco per gettarsi anima e corpo negli ideali. Dovrebbero diventare élite per essere rappresentati: ma a quel punto sarebbe inutile”. Insomma, in un quadro ben delineato, non privo di autocritica (…“Il benessere in cui siamo cresciuti ci ha spinto a pensare che non è possibile studiare e lavorare insieme. Il nostro concetto di sacrificio è molto relativo: stare a casa una sera, o non andare al cinema un’altra ci sembrano gravi attentati alla libertà di divertimento; saltare il viaggio estivo a Sharm sembra una punizione”…) ciò che emerge è un sistema gerontocratico, dal mondo della politica a quello delle istituzioni in genere, sino alla famiglia dove i nonni, ancor più dei genitori, fanno da ammortizzatori sociali. Una soluzione prospettata potrebbe essere “qualche anno di duro lavoro in cambio di un futuro”. Ma non il sacrificio che è stato imposto ai padri di famiglia che lavorano in Fiat, bensì una richiesta di progetti reali. Ma le ‘menti’ della politica probabilmente sono troppo vecchie e ben poco coraggiose per guardare al futuro e generare un ‘nuovo presente’.
(articolo tratto dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)