La globalizzazione in atto è sicuramente un fenomeno dirompente. E’ di tutta evidenza che - per ora - non solo non produce un nuovo ordine mondiale ma, anzi, è il prodotto e al contempo il produttore di un disordine che travolge lo status quo.
Secondo i
catastrofisti antiglobal ciò aprirà lo spazio ad una sorta di guerra, anch’essa globale e permanente, in cui i Paesi più deboli soccomberanno all’imperialismo delle multinazionali. Secondo i
realisti riformatori questa sorta di ‘distruzione creatrice’ di schumpeteriana memoria è al contempo una opportunità di sviluppo per le nazioni più arretrate e una
scommessa sulla democrazia e sulla libertà per intere popolazioni che oggi ne sono prive. E’ in questo quadro che si pone la sfida per la democratizzazione dei Paesi mediorientali.
Tra i tanti aspetti da trattare mi pare che due siano quelli salienti:
denaro e idealità o per meglio dire petrolio e religione.
Per quanto concerne il petrolio non si può non osservare che, nonostante molti dei Paesi produttori siano entrati da un pezzo nel circuito del capitalismo internazionale, la stragrande maggioranza della popolazione continua a vivere in uno stato di estrema
povertà ed emarginazione sociale. Ciò è potuto avvenire proprio perché, mancando la democrazia politica, i vantaggi di questi commerci sono stati esclusivo appannaggio dei governanti tiranni e dei loro famigli. Può apparire paradossale ma questo è uno dei fattori che più alimentano il fondamentalismo oltranzista che si oppone alla contaminazione con l’occidente e quindi, a ben vedere, alla democrazia.
L’islamismo oggi, come il marxismo ieri, catalizza i rancori, la rabbia, le speranze degli oppressi e dei disperati di tutto il mondo e fa sì che la guerra di religione diventi, nel vissuto collettivo, una sorta di lotta di classe a livello planetario. Così come il marxismo ieri, l’islamismo oggi fa aggio su disagi veri e ingiustizie pesanti, ma oggi come ieri
le risposte offerte non solo non risolvono i problemi ma li aggravano negando al contempo libertà e dignità agli esseri umani.
Il commercio petrolifero può essere un buon alleato dell’approccio democratico perchè la ricchezza gestita in regime di libertà, nonostante ciò che pensano i collettivisti ed i dirigisti di ogni genia, porta rapidamente risposte concrete alla miseria e contrappone fatti agli idealismi astratti e agli odi dogmatici. Alla povertà e alla subordinazione imposta con la violenza si sostituisce così un circuito virtuso che alimenta benessere e opportunità di vita, tutte cose che accrescono la voglia di libertà e la costruiscono la consapevolezza che questa non è una elargizione benevola di un padrone ma diritto di ogni essere umano.
Il discorso è più complicato per quanto concerne la religione.
Se, come sostiene lo storico britannico
Bernard Lewis, guardiamo il loro curriculum l’islam e il cristianesimo non sono poi così diversi. Entrambe le religioni monoteiste, per esempio, hanno avuto guerre sante e se si parla di persecuzioni quelle dei cristiani sono peggiori di tutte le altre.
L’occidente ha però creato le condizioni per le libertà individuali che caratterizzano la modernità sin dal 1265 quando, con la riunione del primo parlamento inglese, viene approvato un diritto laico - la Common Law - che sottrae ai precetti religiosi - il diritto canonico - le libertà dei cittadini dando vita così allo Stato laico. Ciò non è ancora avvenuto nell’Islam dove la religione - a differenza di quella cristiana che si è sviluppata all’interno del sistema statuale romano che le preesisteva e che non conosceva un Dio unico - è stata elemento unificante per gli arabi che vivevano divisi in tribù nomadi senza alcuno Stato.
La scommessa sta tutta qui, nella
divisione tra Stato e religione nel mondo islamico.
Non abbiamo alcuna indicazione su come finirà ma, in compenso abbiamo
due certezze: la prima è che
l’occidente non deve imporre la propria via democratica all’Islam, perchè per sua natura la democrazia è un fattore di autoemancipazione, la seconda certezza è che tutto induce a pensare che
i tempi siano
finalmente maturi perché ciò accada.
Vale forse la pena di riflettere sul fatto che, con l’ingresso della Turchia, l’Europa avrà al proprio interno un Paese islamico e che a tutt’oggi, Turchia esclusa, ci sono non meno di 15 milioni di musulmani che vivono stabilmente in Europa. Anche se non appare,
la presenza dei musulmani in Europa è - e con la presenza della Turchia in futuro sarà ancor più - un fattore di trasformazione del pensiero islamico. Come ha spiegato
Khaled Fouad Allam, i musulmani che vivono in occidente non abbandonano la propria religione ma, essendo orfani del territorio di appartenenza e dei condizionamenti comunitari, la riscelgono nuovamente a titolo individuale. Così facendo la religione islamica viene relazionata ad un tipo di Stato che ha fatto della religione una questione privata. I musulmani che stanno in Europa quindi vivono, nei fatti, il sentimento religioso in modo non molto diverso da come gli occidentali vivono il proprio.
La comunicazione diffusa del ‘villaggio globale’ è molto più pervasiva e persuasiva di quanto si creda: ecco perchè l’Europa può fare molto per il diffondersi della democrazia nell’Islam. Se
l'Europa, che sta scrivendo la propria Costituzione, non sarà concepita esclusivamente come un ‘club cristiano’, ma come il continente tollerante che riconosce
la libertà di tutte le religioni e la supremazia politica di nessuna, forse anche l’Islam potrà finalmente vedere nella democrazia non un nemico da abbattere o una camicia di forza da subire, ma un riferimento cui liberamente ispirarsi.