Vittorio CraxiUn califfato, quello di Gheddafi, che si protraeva da oltre quarant’anni non poteva che finire nel sangue. Mai come in questo momento si tocca con mano quanto la satrapia libica fosse isolata nel mondo arabo e quanto gli interessi economici internazionali avessero stretto il cappio attorno al leader di Tripoli. Non che fosse salda la sua leadership prima degli avvenimenti tunisini, ma certamente la crisi scoppiata dai suoi vicini a ovest e a est hanno reso meno timidi i propri oppositori e convinto le potenze internazionali presenti nell’area a investire nel “regime change”. E’ assai probabile che le prime mosse azzardate del leader e l’arresto dei suoi oppositori alla vigilia della giornata della collera abbiano accelerato la protesta contro il suo regime e aperto la strada a una guerra civile che, oggi, vede la comunità internazionale schierarsi apertamente contro di lui. Gli hanno voltato le spalle i turchi, l’intera Lega araba e i suoi amici occidentali, in testa Sarkòzy, desideroso di riguadagnare credibilità internazionale dopo le gaffes egiziane e tunisine, ansioso di difendere i pozzi Total (attivissimi collaboratori in denaro e armi dei cosiddetti “ribelli” libici) e livido di rabbia per le volgari avances che i figli scapestrati di Gheddafi avevano perpetrato all’indirizzo della moglie Carla quando non era ancora la “premiere dame” di Francia (un po’ di gossip non guasta mai…). La sproporzione delle forze in campo nell’attuazione della risoluzione delle Nazioni Unite conducono a pensare che soltanto un consistente sostegno alle forze degli oppositori di Gheddafi potranno portare a ragione il colonnello dimezzato, anche se appare evidente sin dall’inizio che la guerra tribale libica, senza delle reali leadership sul terreno, rischierà di protrarsi per un tempo indefinito. Difficile è pensare che questa vicenda avrebbe potuto svilupparsi altrimenti, la crisi di legittimità delle dittature arabe ha avuto due fonti apparentemente contrapposte ma unite nel sostenere la medesima esigenza: l’occidente atlantico post e neocoloniale al pari dei movimenti di radice islamica, fortemente sostenuti da Iran e dai Paesi del Golfo, desiderosi di affermare una nuova sfera d’influenza nel Mediterraneo. Un’eterogenesi dei fini che ha sbaragliato la velleitaria prospettiva da parte dei Rais del Nord Africa di perpetuare il loro potere all’infinito,  mantenendo un potere d’interdizione (Mubarak) e di ricatto economico (Gheddafi) sull’occidente (per Ben Ali sostengo una tesi diversa: una crisi interna che segnala la crescita e lo sviluppo di quel Paese, semmai è stata l’ottusità della guida a non promuovere coerentemente questo risultato acquisito, tra l’altro, grazie anche alla sua innegabile azione modernizzatrice). In questa mano politico-diplomatica, l’Italia esce con le ossa rotte, qualsiasi sarà l’esito: un misto di anchilosi politica unita certamente all’imprevedibilità e alla sfortuna. D’altronde, l’Italia non poteva certamente offrire a Gheddafi il proprio sostegno militare contro i rivoltosi interni, né poteva negare che l’ampia concessione di credito politico e amicizia corrispondesse a un’esigenza storica ed economica. Evitare che un Napoleone di ritorno faccia, con la scusa della difesa dei diritti umani, l’asso ‘pigliatutto’ sarà il compito più delicato dei prossimi mesi e anni. D’altronde, che il mare Mediterraneo sia comune è difficile negarlo. E che l’Italia ha bisogno del Mediterraneo quanto viceversa non bisogna mai dimenticarlo. Ma, in questa fase, le scelte decisive e impegnative per l’avvenire non dipendono da noi: è un fatto di cui bisogna tenere conto. E un male in politica può sempre trasformarsi in un bene, sempre che se ne sia all’altezza. Temo che i protagonisti di oggi, purtroppo, non lo siano.




(articolo tratto dal blog www.socialist.it)
Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio