Ci sono giorni in cui è difficile vivere in Italia, sia che ci si ritrovi a Milano, a Roma o a Catania. Giorni maledetti nei quali rimani chiuso nel traffico di una tangenziale o di un raccordo e ti rendi conto che, se per poter andare a lavorare ci impieghi due ore al posto di venti minuti, le infrastrutture fanno schifo. Giorni infernali che sei disconnesso dal mondo, senza telefono e senza internet, perché il tuo operatore telefonico ha disconnesso un'intera città (e parliamo di una Vodafone che scollega gli utenti di Roma per oltre 8 ore) e capisci che i consumatori non sono tutelati, devono solo pagare. Se si lavora con colleghi su tutto il territorio nazionale basta un breve giro di telefonate per raccogliere le lacrime di un Paese alla deriva. L'Italia è bloccata e la colpa non è della crisi, come vorrebbero farci credere. Momenti così grigi nessuno li ricorda dai tempi del dopoguerra. Ma in quegli anni si investiva sulla ricostruzione. Oggi no. Le imprese sono al collasso, le banche aiutano sempre gli stessi e l'economia è paralizzata. Persino una nonna, con la sua misera pensione, vive meglio di un imprenditore o di un giovane precario. Che cosa si può dire di una nazione dove gli investimenti vanno solo in operazioni che hanno un ritorno di immagine per gli investitori e che coinvolgono solo pochi professionisti e di solito sempre gli stessi? Perché nessuno scende in piazza contro il decreto mille proroghe? Perché nessuno dei talkshow che ci ha ammorbato per settimane su Berlusconi ne parla? Persino i festeggiamenti per l'unità d'Italia hanno ricalcato il solito cliché clientelare: soldi stanziati per musei e manifestazioni che hanno coinvolto o coinvolgeranno pochissimi italiani rispetto al gran numero di cittadini che fa fatica a sopravvivere. Non manca neanche il solito sociologo opinionista pronto a lanciarsi nella polemica sul disinteresse e sull'allarmismo di un'Italia finita. Ma nessuno, proprio nessuno vuole rischiare nell'ammettere la verità: l'Italia è sfinita e con essa tutti quegli italiani che vi lavorano senza alcuna prospettiva non futura, ma presente. E scusate se è poco!
(articolo tratto dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)