Carlo PatrignaniIn questi giorni cade l’ottavo anniversario della scomparsa di Giovanna Baino, una penna molto conosciuta e altrettanto dimenticata nel suo mondo: quello dell'informazione o, meglio, della dis-informazione. Sembra che la ‘censura’ o comunque le violazioni contrattuali e con esse il malessere di chi ne è fatto oggetto riguardi solo una parte del mondo dell’informazione: vale a dire la Rai, e in particolare di questi tempi la redazione del TgUno oppure alcuni talk show come Ballarò o Annozero. Nel resto della categoria - quotidiani e soprattutto agenzie di stampa - invece si lavorerebbe in assoluta serenità a parte qualche piccola e insignificante scaramuccia. Ebbene, le cose non stanno per niente così e la Fnsi, con le sue strutture regionali, farebbe bene quanto prima a buttare gli occhi e tendere le orecchie oltre la sede di Saxa Rubra, in luoghi dove si consumano nel più assoluto silenzio e nell’omertà più crudele, misfatti che in confronto a quel che accade alla Rai sono distanti anni luce. Il dispiegamento di attenzione e di impegno di forze è da tempo e continua purtroppo ad esser concentrato solo da una parte, certamente importante e significativa ma non esaustiva dell’informazione. Così tra le vicende che riguardano il ‘direttorissimo’ del Tg1 Augusto Minzolini e la sua redazione o i ‘temutissimi’ Michele Santoro e Giovanni Floris, preferisco ricordare alla categoria una collega, un po’ radicale, un po’ socialista, amante dell’avventura, le piaceva andare in canoa, e della vita spensierata: Giovanna Baino, che conosceva benissimo il sindacato dei giornalisti, Fnsi, Asr e Usigrai. Sono passati ben otto anni da quel drammatico pomeriggio del 15 marzo 2003, un sabato pomeriggio cupo e triste, quando Giovanna arrivò al suo posto di lavoro. Un cappotto nero le copriva il corpo non esile ma neanche robusto, un paio d’occhiali scuri e il bavero rialzato, coprivano il volto provato. Era stata richiamata in sede, lei che da inviato speciale non sarebbe stata tenuta e peggio ancora le avevano comunicato che il giorno dopo non sarebbe più andata a Napoli per la visita di Vittorio Emanuele di Savoia. Un colpo basso! Ma non era il primo: la sequenza di prepotenze, angherie, dispetti scientificamente studiati e attuati era lunga e non riguardava solo lei: anche altri inviati speciali e graduati, subivano da tempo quel che si chiama ‘mobbing’. Entrare, gettare la borsa sul tavolo e riguadagnare l’uscita senza un saluto, fu tutt’uno. Poi il dramma, ormai consumato: l’igloo che dà luce ai seminterrati è in mille pezzi e sporco di sangue! Un volo di otto piani. L’ordine è perentorio: fare ‘silenzio’ sulla vicenda. Perché? Per la privacy. La versione corrente, Giovanna Baino “tragicamente scomparsa”. La cosa più assurda è che nel mondo del giornalismo su questa vicenda è calato un silenzio totale. Giovanna era nota nell’ambiente, Fnsi, Asr e Rai. E l’Asr insieme alla Rai le dedicò, nel 2004, il ‘Premio Giovanna Baino’. L’allora presidente della Rai, Lucia Annunziata, disse: “Vogliamo ricordare Giovanna dal punto di vista umano e professionale. Ci piace ricordare ancora il suo sorriso, un sorriso particolare, affettuoso, qualche volta amaro, ma di una persona che aveva una forte spinta sociale e che era disposta a discutere con chiunque senza tirarsi mai indietro per difendere le sue idee e quelle degli altri. E ricordando il suo sorriso vogliamo ricordare un’amica che sarà sempre con noi". Quanto sarebbe bello se la Lucia trovasse il coraggio di ricordarla nella sua trasmissione domenicale su Rai Tre! Paolo Serventi Longhi, allora segretario della Fnsi, la definì "onesta, trasparente, equilibrata, capace di rendere conto delle opinioni di tutti, anche di quelle contrapposte, rigorosissima e trasparente nei suoi resoconti". Il ‘Premio Giovanna Baino’, a cadenza annuale, consiste in una targa d’argento e in una borsa di studio di 5 mila euro. L’anno successivo, David Sassoli così la ricordò in un’intervista al sito web ‘Recensito’: “Credo che questo premio sia importante, perché pone l’attenzione sulla figura del giornalista di agenzia e, nello stesso tempo, ricorda una collega che, per tanti anni, ha seguito le questioni della televisione e della Rai. Oltre a essere il presidente della Stampa Romana sono un giornalista della televisione. E mi sento coinvolto, anche in questo. Giovanna ha seguito tante delle nostre vicende, specie negli ultimi 10 anni, quando era una delle giornaliste più accreditate. Il fatto che la Rai e tanti altri colleghi abbiano deciso di ricordarla fa onore all’azienda, perché Giovanna non è mai stata molto tenera nei confronti della Rai. Questo va a riconoscimento di un lavoro professionale che lei ha svolto e di cui sentiamo il ricordo.[…] Il lavoro di Giovanna è ancora un ricordo molto vivo”. Tutto questo potrebbe andar bene, ma perché non si è mai spesa una parola per dire la verità su Giovanna? Come sui redattori dell'Agi costretti a rivolgersi, a proprie spese, ad un legale per vedersi riconosciuti diritti sacrosanti al rispetto della loro qualifica, della loro loro mansione, acquisite e sancite dal contratto? Cosi' come e' accadutoda ultimo per alcune colleghe del Tg1? Quesiti che da otto anni attendono qualche giusta risposta.


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