L’asilo che frequentava mia nipote a Londra qualche tempo fa aveva promosso la creazione di un laboratorio infantile dove sviluppare e realizzare dei progetti artistici. La sponsorizzazione e la coltivazione delle arti sono sempre stati cari al mondo anglosassone, così come l’organizzazione di progetti dedicati esclusivamente ai bambini, capaci di stimolare la curiosità dei singoli e l’interazione all’interno del gruppo. Anche l’Italia non è da meno: da diversi anni sono nati associazioni e gruppi che organizzano, studiano, progettano percorsi artistici, laboratori teatrali e creativi dedicati al mondo dell'infanzia. Il fenomeno probabilmente comincia a prendere vita sull’onda del nuovo modello educativo sorto negli anni Settanta. La liberazione dal giogo patriarcale, la rivoluzione dei costumi e della sessualità hanno condizionato l’idea di essere genitore. L’obiettivo era biunivoco: se, da un lato, si riteneva essenziale educare il proprio figlio attraverso modelli di libertà e indipendenza che rompessero totalmente gli schemi della precedente educazione patriarcale e ‘oscurantista’, dall’altro, le regole erano precise e severe e l’obiettivo del genitore era chiaro: cercare di stimolare il più possibile il bambino, impegnandolo in attività ludiche e intellettuali al contempo. Il teatro si fa creativo, l’interazione con lo spettatore bambino diventa il perno su cui ruota la narrazione. Il bambino all’interno della sua cerchia è un soggetto attivo, il protagonista principale: la sua giornata si infittisce di attività, sportive e culturali, i genitori cominciano poco a poco a pensare di voler realizzare i propri sogni attraverso lo ‘specchio’ filiale. Ma l’atmosfera politica e politicizzata in cui si comincia a intravedere questo fenomeno è ancora molto viva, i genitori riescono a mantenere i propri spazi e a dividere i due mondi: quello infantile, fatto di violino e piscina, e quello degli adulti, composto di chiacchiere e di cene con gli amici. In quei momenti privati del mondo adulto, il bambino è partecipe e invisibile, ancora non accentra tutte le attenzioni su di sé e può svicolare tra i discorsi degli adulti non visto e sereno. È facile ricordarsi momenti di questo genere, serate con gli adulti in cui, talvolta annoiati, talvolta eccitati, noi bambini giravamo tra tavoli e poltrone, tra i fumi delle sigarette e i bicchieri di vino. Era un momento di normalità, nel quale il bimbo era un soggetto partecipe, ma non direttamente attivo: un osservatore. Quando sono cambiate le cose? Quando è stato il momento in cui l’adulto ha perso il controllo e la riservatezza del proprio mondo? In un articolo uscito nell’aprile del 2009 sul New York Times, una giornalista si è posta una questione piuttosto rilevante: è vero che i genitori sono mediamente più infelici delle persone che non hanno avuto figli? È stata colpa delle crisi economica che da qualche anno ci assilla o è un fenomeno che si accompagna al desiderio di controllo totalizzante sui figli? Se dagli anni Settanta abbiamo assistito a un maggior desiderio di pianificazione della vita della prole, con un’organizzazione che ancora non era totalmente sistematica della giornata dei fanciulli, da qualche tempo si sta assistendo a un profondo cambiamento del modello educativo. I genitori di oggi, quegli stessi bambini cresciuti tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta hanno maturato una sorta di paura, di insicurezza per il futuro che li spinge a dedicare la maggior parte delle proprie energie a totale disposizione dei figli. È una crescente attenzione nei confronti della prole che si manifesta attraverso la realizzazione di una sorta di piano, di progetto per il futuro che prende vita al momento del concepimento, se non talvolta prima, e che si articola attraverso tutta una serie di ‘espedienti’ tali da evitare al bambino i ‘traumi’ della vita odierna. Il desiderio di maggior protezione dei genitori si accompagna molto spesso con la realizzazione di un maggior controllo sui figli; un maggior controllo che poi sempre più spesso può essere interpretato come una sorta di proiezione dei desideri e delle realizzazioni mancate dei genitori sui figli. Sempre nel 2009 è uscito un altro articolo sul New York Times che annunciava: per i bambini è salutare essere sporchi. I bambini spesso lo sanno: essere liberi di giocare anche nel fango, nelle pozzanghere e nella terra può solo stimolarli e aiutarli a crescere forti. Costruire per la prole un mondo ‘ovattato’, ricco di svaghi voluti dagli adulti e lontani dai desideri più concreti dei bambini, non può certo esser di giovamento per una crescita sana ed equilibrata. La realtà, seppur spesso difficile e complicata da raccontare e da vivere, è probabilmente la strada migliore da seguire se si vuole fare del bambino di oggi un adulto concreto domani.
(articolo tratto dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)