Chiara Scattone“Al giorno d’oggi, per una buona parte della gente, il diritto e la libertà di coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscienza, nell’ignorare il Legislatore e il Giudice, nell’essere indipendenti da obblighi che non si vedono. [...] La coscienza è una severa consigliera, ma in questo secolo è stata rimpiazzata da una sua contraffazione, di cui i diciotto secoli passati non avevano mai sentito parlare o dalla quale, se ne avessero sentito, non si sarebbero mai lasciati ingannare: è il diritto ad agire a proprio piacimento” (Lettera al Duca di Norfolk, Milano 1999). Sono queste le parole con le quali il cardinale Bagnasco, nel suo intervento durante l’assemblea dei vescovi riunitisi ad Ancona il 24 gennaio scorso, ha dato avvio a quello che a molti è apparso come uno ‘schiaffo’ nei confronti del presidente Berlusconi, mentre probabilmente è stato solamente un ‘buffetto’ da padre confessore. Il cattolicesimo, si sa, insegna il perdono e la remissione dei peccati. Il cardinale Bagnasco lo sa bene e ha scelto proprio la via del perdono e della ‘ramanzina’ che son soliti fare i confessori dopo aver ascoltato le ‘marachelle’ commesse dai giovani fedeli. È vero che nel discorso non sono mancati attacchi, neanche troppo dissimulati, al capo del Governo: la citazione di Newman, probabilmente, ne è un esempio, così come il riferimento, tanto piaciuto ai critici, al “mercimonio di sé” e al “disastro antropologico” che si sta compiendo a danno dei giovani, di coloro che sono ancora in fase di formazione (culturale, intellettuale, sociale, politica, umana). Insomma, la condanna c’è stata. E non era rivolta, come si sono affrettati ad affermare gli ammiratori e i sostenitori a oltranza di Berlusconi, verso tutti. Bagnasco è stato chiaro e preciso: ha citato l’art. 54 della Costituzione – “chiunque accetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta” – e ha ‘suggerito’ al capo del Governo italiano di fare chiarezza “in modo sollecito e pacato, e nelle sedi appropriate”, per rispondere alla richiesta di un Paese che appare quanto mai stordito e confuso di fronte a questa serie di scandali a luci rosse che macchiano la credibilità dell’intera nazione nel mondo. E forse non tutti i cittadini si sono resi conto della gravità della situazione perché, oramai coinvolti e ubriachi dall’idea ‘balzana’ della vita – così come l'ha definita Bagnasco – secondo la quale “tutto è a portata di mano”, per quale motivo cercare di ostacolarne il sopravanzare: per il bene della società tutta? La nostra democrazia, come ha suggerito il capo della Cei, “si compone di delicati e necessari equilibri”, i quali poggiano sul principio secondo il quale ogni individuo deve necessariamente sforzarsi di compiere una sorta di autolimitazione delle proprie egoistiche esigenze. Il bene comune è passato in secondo piano, lasciando campo libero alla prevaricazione e alla convinzione che si possa raggiungere la ricchezza materiale mediante comportamenti pericolosamente lontani dall’onestà e dal dovere. L’umanità, in particolar modo i cittadini italiani, sta vivendo un periodo di disagio e di disillusione che la crisi economica ha accentuato e l’assenza delle riforme tante auspicate ha totalmente consolidato. Sono mancate, finora, tutte quelle azioni necessarie per il rafforzamento di una società che sta precipitando verso il baratro della povertà materiale, ideale e politica. Le decantate riforme, della giustizia, della famiglia, della sanità, hanno lasciato il posto – tranne quella della scuola e dell’università che però, invece di agevolare la ricerca e la formazione culturale, ha danneggiato sia gli studenti, sia i ricercatori, gli insegnanti, i professori, gli amministrativi e tutti coloro che di scuola vivono – al bisogno individuale ed egoistico di uno solo. L’uso personale della ‘cosa pubblica’, nonché il disprezzo per le istituzioni, è questione risaputa. E Bagnasco ha rincarato la dose, mostrando la sua duplice anima, quella di saggio prelato e quella di uomo di Stato, ribadendo la necessità di rispettare le regole dello Stato e quelle dettate dalla morale e dall’etica cattolica, nonché pronunciando un avvertimento verso la diffusione di modelli mentali e comportamenti “radicalmente faziosi” che l’azione di delegittimazione portata avanti da qualcuno può contribuire a generare un turbamento comune. Il cambio di timbro del presidente della Cei avviene in maniera disinibita: è probabilmente un cambio di tono sostenuto dalla nuova proposta di riforma federalista promossa dal Governo, che apportando una lieve modifica al progetto iniziale, ha stabilito – contrariamente a quanto auspicato dall’Ocse – l’esenzione dei contributi Imu (imposta comunale sugli immobili) per i beni di proprietà della Santa Sede. Lo Stato laico italiano condiziona in questa maniera e per l’ennesima volta l’emanazione delle proprie norme e delle proprie regole che, se da un lato condizionano e sottomettono tutti i cittadini – tranne, forse, proprio il suo Legislatore – al rispetto delle stesse, dall’altro garantiscono privilegi e concessioni a uno Stato estero. E Bagnasco, nel suo discorso, ha sottolineato proprio il rapporto di fiducia che intercorre con i governanti italiani, auspicando –  allo stesso tempo ammonendo gli stessi ‘vertici laici’ italiani – una maggiore inclinazione dello Stato italiano alle questioni che sono tanto care alla Santa Sede, come quella che concerne la libertà religiosa che pone al suo vertice il dibattito sulla presenza dei crocifissi nelle scuole e nelle aule della pubblica amministrazione nazionale. Perché, avverte Bagnasco, “la libertà religiosa è un perno essenziale e delicatissimo, compromesso il quale è l’intero meccanismo sociale a risentirne”, per cui l’argomentare sulla neutralità dello Stato si rivela “capzioso”, soprattutto quando lascia spazio all’aggressività “laicista”, nella quale il presidente della Cei vede “certe ossessioni ideologiche che ci eravamo lasciati alle spalle senza rimpianti”. Chi ha buone orecchie per intendere, intenda. Il monito è chiaro: la Chiesa può chiudere un occhio sulle vicende personali del premier, ma solo in cambio di una maggiore attenzione per quelle questioni che le stanno maggiormente a cuore. Berlusconi è avvertito, gli italiani sono avvertiti: la laicità dello Stato è solo un dettaglio che non deve tralasciare il vincolo imposto dalla parola di Dio.


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