“I magistrati hanno usato una procedura irrituale e violenta […] indegna di uno Stato di diritto, che non può rimanere senza un’adeguata punizione”. Questo uno dei passaggi nel videomessaggio rilasciato dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il 19 gennaio scorso, il secondo nell’arco di due giorni. Si può leggere ancora, dal discorso del 19: “Vorrei andare dai giudici, ma non posso presentarmi: non hanno competenza, né funzionale, né territoriale (come se la competenza o meno della magistratura fosse materia opzionale dell’inquisito) e vogliono utilizzare la vicenda per una lotta politica”. L’obiettivo del presidente del Consiglio è chiaro. E’ lui stesso a indicarcelo: rifiutare l’autorità della magistratura, attaccare e distruggere (“un’adeguata punizione”) chi ostacola la realizzazione della sua libertà. Perché la libertà non è uguale per tutti. E la libertà cui auspica il premier è ciò che qualcuno ha definito “piacere”. L’eversione, neanche troppo celata, in questo secondo discorso, dovrebbe preoccupare e stimolare una risposta politica e sociale vigorosa. L’attacco è diretto, la minaccia plateale nei confronti di una magistratura considerata nemica (perché limita la ‘libertà’ dell’autorità del premier) e pertanto giustificatamente perseguibile mediante un’adeguata punizione crea, nell’immaginario collettivo, l’immagine di un sovrano scontento per l’attacco subito, per la mancata abnegazione dimostrata da una parte dei sudditi che, per questa loro insubordinazione, meritano una giusta punizione. Ma la punizione che invoca Berlusconi, viene da chiedersi, sarà fisica? O comporterà azioni puramente amministrative? Perché quando si parla di ‘adeguata punizione’ l’immagine vola lontano, verso Stati autocrati e dittatoriali, in cui il dissenso politico e sociale viene punito mediante violazioni fisiche. Se così fosse, l’attacco verbale potrebbe comportare, quale conseguenza, un attacco reale contro le istituzioni che garantiscono la democrazia, causando la caduta dello Stato di diritto e la nascita di una autocrazia in cui la libertà diverrebbe subordinata ai desiderata del capo. La visione è drammatica e, speriamo, solo fantasiosa. Ma l’attacco portato ai danni della struttura istituzionale e democratica è reale, probabilmente solo il frutto delle manie persecutorie di un uomo in seria difficoltà, che sta costruendo intorno a sé uno schermo che possa proteggerlo dalla vita reale. Purtroppo, però, vi è un fatto certo: le parole pronunciate manifestano sentimenti di aggressività che possono istigare alla violenza dei fatti. Il premier ha messo in piedi un’operazione ben complessa, che si pone quale obiettivo quello di salvaguardare se stesso oltre che dal punto di vista giudiziario, anche da quello dell’immagine istituzionale e sociale. L’accusa di aver fatto sesso con una minorenne dietro corresponsione di denaro è un’aberrazione che probabilmente in pochi hanno realmente compreso. Le risposte che hanno rilasciato alcuni uomini ai giornalisti che chiedevano loro un commento su tale ipotesi di reato hanno dimostrato, probabilmente, una certa ingenuità, ma una totale incapacità di comprendere l’accusa mossa. Fare sesso con una minorenne che, seppur consenziente, lo è a soli fini di lucro, significa violare il corpo di una ragazza non ancora completamente matura mentalmente, anche se apparentemente adulta sotto l’aspetto fisico. La prostituzione minorile è tra i reati per i quali la recente modifica al codice penale ha imposto il carcere o la detenzione domiciliare, senza possibilità di riduzione della pena. Probabilmente, il premier è consapevole di tutto questo ed è proprio per evitare un’infamia simile che si sta giocando tutte le carte a sua disposizione, anche quella del conflitto istituzionale. L’apparizione di una Ruby dimessa e facile alle lacrime davanti alle telecamere del canale di punta del gruppo Mediaset, ospite del ‘regista’ di famiglia Signorini, è stata una mossa apparentemente efficace, ma che nei fatti ha dimostrato la sua totale inconsistenza. La vera protagonista di questo scandalo, già dedita al ripensamento e alla contrattazione delle proprie dichiarazioni, nell’alcova discreta della scenografia del programma ‘più politico’ di Mediaset ha sciorinato una sua nuova versione dei fatti, che ha ribaltato in buona parte quanto dichiarato da lei stessa fino a quel momento (e smentito dalle prove raccolte dai magistrati), ribadendo la sua totale innocenza – per fortuna ha risparmiato al pubblico l’uso del termine ‘illibatezza’, che aveva fatto sorridere i lettori di ‘Chi’ nel ‘caso Letizia’ – nonché l’innocenza del premier, che ne esce con un’immagine pulita di benefattore delle fanciulle indivise e maltrattate da una vita ingiusta e da una famiglia violenta e ignorante (Ruby ha mostrato la cicatrice che il padre, che smentisce tutto, le avrebbe causato versandole addosso dell’olio bollente perché aveva deciso di convertirsi al cristianesimo). Le bugie hanno le gambe corte. E l’ennesima parte interpretata dall’ormai diciottenne marocchina rischia di confermare quanto dalla stessa Ruby dichiarato in più occasioni ad alcuni amici e parenti: “Spara cazzate, ma non devi raccontare la verità, mi ha detto: ti dò tutti i soldi che vuoi, li copro in oro, però non dire niente”. I soldi promessi sembrano essere 5 milioni di euro. E, probabilmente, rappresentano una sufficiente giustificazione per una ragazzina in cerca di denaro e notorietà per pronunciare mezze verità o menzogne ben congeniate. Ma la verità, si sa, non è mai una sola. E di certo, anche il nostro premier quando, convinto e grintoso, afferma che i giudici stanno cercando di sovvertire l’ordine costituito e che meritano per questo una ‘degna punizione’, è convinto realmente in quello che dice. Una convinzione talmente profonda da fargli credere di essere realmente innocente e vittima di un inganno politico di cui lui, purtroppo, è il solo artefice.