Per una parte di mondo, l'Africa, il nostro continente rappresenta non un sogno, ma 'il sogno': ciò per cui vale la pena giocarsi tutto, anche la vita, pur di darsi uno straccio di opportunità. La possibilità di raggiungere un qualsiasi Paese al di là del mare e poter lavorare, guadagnare, mangiare. Un mare, il Mediterraneo, che in una manciata di anni si è trasformato in una fossa comune nella quale migliaia di anime si sono 'perse'. Dal 1988 sono almeno 15.566 i giovani africani che sono morti tentando di espugnare la fortezza Europa. Questo è l'altro volto degli sbarchi clandestini, quello di cui si parla di meno o che si preferisce ignorare. Descritto efficacemente da Romuald Hazoumé, scultore e pittore beninese, nella sua Dreamer: una piroga costruita con materiali di recupero. Una struttura fragile, quasi evanescente quele metafora dell'assenza di sicurezza di chi si affida a un destino incerto. "Quando un africano decide di intraprendere il viaggio - spiega Hazoumé - Tutta la famiglia è d'accordo affinché uno solo parta per aiutare gli altri. Dopo la partenza, quando non arrivano notizie, tutti immaginano cosa è successo, ma non ne sono sicuri. Restano nel dubbio, non sanno se il loro familiare è morto. Come nella mia scultura, il battello che parte è così pieno di buchi che non andrà lontano. Chi parte porta con sé una testimonianza, ognuno racconta ciò che sente di dire prima di morire: le speranze, il sacrificio una madre che ha venduto tutti i suoi gioielli... una zia o uno zio hanno venduto tutto. Ecco, io ho voluto rappresentare tutto questo: il percorso intimo e umano di queste persone, l'ultima piroga che abbiamo per vivere e che ci ha abbandonati. Vi prego non lasciate altri andare in Europa". Nella scultura di Hazoumé le testimonianze di chi parte sono conservate nelle quattro bottiglie che formano le boe laterali della piroga. L'artista affida idealmente all'ultimo passeggero vivente, il compito di tagliare le quattro boe affinché almeno una ritorni sulle coste africane e 'racconti' la verità del viaggio. Un modo per dare 'un volto' alle migliaia di desaparecidos che hanno preso il mare alla volta dell'Italia. Una storia fatta non solo di barconi che arrivano a Lampedusa. Sì perché in questa realtà c'è molto di più. Come afferma Gabriele Del Grande, autore del blog Fortress Europe (l'osservatorio sulle vittime dell'emigrazione fondato nel 2006. Negli ultimi quattro anni, questo ventottenne di origini lucchesi, ha attraversato il Nordafrica per descrivere come sono le prigioni libiche finanziate dall'Italia e capire cosa c'è al di là della logica della disperazione (storie raccolte nel suo libro 'Il mare di mezzo', Infinito edizioni). Sono i temi trattati nella trasmissione "Respinti" di Riccardo Iacona, il 6 settembre 2009 su Rai 3 (seguita da un milione di italiani) e nel film documentario "Come un uomo sulla terra" (proiettato 500 volte in giro per l'Italia). Eppure la maggioranza degli italiani non sa niente. Si nutre di una narrazione completamente distorta del fenomeno. Per capirlo basta consultare gli approfondimenti proposti da fortresseurope.blogspot.com, dai respingimenti in Libia ai processi contro il salvataggio in mare, dallo sfruttamento dei lavoratori nelle campagne del sud Italia alla truffa dell'accoglienza, dai pestaggi della polizia italiana nei centri di identificazione e espulsione alle torture subite dai rimpatriati in Eritrea. E così scopriamo come lo stato di diritto, in Italia, inizi a perdere colpi proprio a partire dalle frontiere.