Francesca GalvagnoIl 16 marzo 1962, la Suprema Sacra Congregazione del Sant’Offizio (oggi Congregazione per il clero) editò Crimen sollicitationis, documento contenente un elenco dei delitti ritenuti più gravi dalla Santa Sede commessi sia contro la morale, sia nella celebrazione dei sacramenti e norme processuali speciali nel procedere a dichiarare o a infliggere sanzioni canoniche. In seguito, il 18 maggio 2001, l’allora cardinale Joseph Ratzinger scrisse una lettera a tutti i Vescovi cattolici nota come “De delictis gravioribus”, con la quale egli intese dare attuazione al documento “Sacramentorum sanctitatis tutela” emesso da Giovanni Paolo II e dove, nella stessa, vi erano contenute esplicite istruzioni volte ad aggiornare quanto già stabilito nel 1962. È noto che questa lettera causò l’accusa contro Ratzinger da parte della Corte distrettuale della Contea di Harris in Texas di “ostruzione alla giustizia” per l’appello alla riservatezza del quale si faceva portatrice. Una vera è propria politica di chiusura nei riguardi dei casi di pedofilia all’epoca emersi tra i sacerdoti di quello Stato. Ma, alla fine, il Dipartimento di Stato statunitense decise di bloccare il procedimento giudiziale e di accogliere la richiesta di concedere a Ratzinger, che nel frattempo era diventato Papa,  l’immunità diplomatica che si concede, in questi casi, ai capi di Stato. Oggi, compiendo un atto di grande coraggio o, forse, come un novello ‘Gattopardo’, giacché costretto dalle vicende delle cronache tra le fila ecclesiastiche, il Papa ha invece deciso di ritornare proprio sul documento che gli costò un’imputazione negli Stati Uniti, al fine di ribadirne e ampliarne i contenuti. In particolare, il testo si sofferma a perfezionare la normativa che regolamenta il procedimento processuale, pur mantenendone le caratteristiche di confidenzialità a tutela della dignità di tutte le persone coinvolte ed escludendo, come al solito, le autorità civili. Inoltre, sempre riferendosi ai delitti, il documento introduce, tra quelli ritenuti “più gravi”: l’eresia, l’apostasia e lo scisma; il tentare di impartire l’assoluzione sacramentale non potendo darla validamente; l’ascoltare la confessione sacramentale; la violazione anche indiretta del sigillo sacramentale, la captazione e la divulgazione commessa maliziosamente, delle confessioni sacramentali. Appare, tra questi, anche il reato di pedopornografia e di abusi sessuali commessi anche su maggiorenni con minorazioni mentali. Per ultimo, ma non in ordine di importanza, si legge come nuova introduzione anche la fattispecie penale dell’attentata ordinazione sacra di una donna. Insomma, a cadere sotto la scure del Tribunale ecclesiastico ci sono eretici, pedofili e donne. Questo documento, che apparentemente segna un passo in avanti compiuto dalla Chiesa verso l’apertura alla realtà contemporanea, di fatto la trascina tre passi indietro, riproponendo con forza e determinazione l’assoluta contrarietà da parte della dottrina ecclesiastica dell’ordinazione sacerdotale femminile, annoverandola addirittura tra i reati considerati più gravi. Suona davvero come una sentenza offensiva per tutte le donne che sentano o no la vocazione: infatti, per l’ennesima volta e in maniera neanche troppo celata, emerge, da parte della Santa Sede, quanto essa tenga assai poco in considerazione il diritto della donna alla vocazione sacerdotale. La chiamata del Signore a compiere la missione sacerdotale appare, a questo punto, non essere appannaggio delle donne. Anzi, si vuol far credere che lo stesso Gesù Cristo non abbia mai avuto intenzione di chiamare al servizio sacerdotale una donna. E’ evidente la pessima considerazione in cui è tenuta la donna nel momento in cui chiede di poter entrare a far parte del clero come sacerdote, al punto di classificarla alla stregua di eretici e pedofili. Dunque, l’equazione è presto fatta: una vocazione femminile per la Chiesa ha lo stesso valore di un prete che commette un abuso sessuale su un minore. Amara, ma inevitabilmente reale, la lettura dell’aggiornato “De delictis gravioribus” col quale il Vaticano perde la sua ulteriore possibilità di dimostrare che un cambiamento vero, al suo interno, stia avvenendo. Molti giornali, all’uscita del documento, hanno titolato “Giro di vite in vaticano”, oppure “Chiesa: tolleranza zero verso la pedofilia” quasi a registrarne il raggiungimento di un grande traguardo, una svolta epocale che, in realtà, non è avvenuta. Anzi, se di svolta si può parlare è in direzione del passato più oscurantista. Ma per quale motivo la dottrina cattolica esclude questa possibilità per le donne e, addirittura, la menziona tra i delitti più gravi? Le motivazioni del Magistero suonano in sintesi così: l’esempio di Cristo fu che egli scelse soltanto uomini tra i suoi apostoli. Da allora, la Chiesa ha sempre imitato Cristo nello scegliere soltanto gli uomini, riconducendo ciò a una esplicita volontà di Dio verso l’esclusione femminile al sacerdozio. Su queste affermazioni c’è da fare qualche puntualizzazione: circa la pratica consolidata nei secoli da parte della Chiesa sull’esclusione dal sacerdozio delle donne sono stati condotti numerosi e approfonditi studi sulla storia dell’antichità cristiana che hanno portato al ritrovamento di numerosi documenti che testimoniano l’esistenza di donne sacerdoti. Una fra tutte, citiamo la ricerca di Giorgio Otranto, professore di storia del cristianesimo antico presso la facoltà di Lettere di Bari, che ha scritto un interessantissimo contributo dal titolo “Il sacerdozio femminile nell’antichità cristiana” nel quale, appunto, si trova un’ampia documentazione che riferisce della passata esistenza di donne ordinate a sacerdote. Per questo, riesce assai difficile comprendere come, ancora oggi, si possano ritenere valide le motivazioni addotte in senso contrario al sacerdozio femminile. È ovvio che, all’epoca in cui visse Gesù, Egli non aveva alternativa nello scegliersi degli “assistenti” esclusivamente uomini: non possiamo dimenticare, infatti, che la legge ebraica, secondo l’interpretazione dei Farisei, dava ben poco spazio alle donne. E che la loro considerazione nella società giudaica dell’epoca fosse prossima allo zero. La donna, per esempio, durante il ciclo mestruale era considerata impura e non poteva avere alcun tipo di contatto. Le donne non mangiavano con gli uomini, non partecipavano alle discussioni in pubblico, uscivano soltanto per andare a lavorare nei campi o per prendere l’acqua, dovendo portare il velo. Non potevano testimoniare ai processi e potevano essere ripudiate anche per futili motivi. Come poteva dunque Gesù compiere la sua missione di portare la ‘Lieta Novella’ chiamando delle donne al proprio seguito? Chi mai l’avrebbe potuto seguire se non le donne ripudiate ed emarginate dalla società. È più che evidente che Egli non potesse agire in maniera difforme dalle usanze del suo tempo per poter avere ascolto e seguito nel condurre la propria missione evangelizzatrice. Lo stesso catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna che  il Figlio di Dio scelse di venire al mondo come uno di noi, ma dal momento della sua nascita fino all’età di trent’anni, quando iniziò le sue predicazioni, egli visse come un uomo qualsiasi, in una famiglia umile e rappresentativa di quella che era la società ‘zelota’ dell’epoca. Niente effetti speciali, niente ingressi scenografici e, soprattutto, niente donne tra i suoi discepoli: non dovevano essere le sue azioni a creare scandalo, ma le sue parole. E, infatti, a leggere ciò che i Vangeli ci riferiscono circa le sue predicazioni, il Messia fu sempre dalla parte delle donne, i suoi insegnamenti andavano nella direzione atta a sfumare le distinzioni tra maschile e femminile, conducendo più un’opera di convincimento che di imposizione per modificare la mentalità chiusa e maschilista del suo tempo. Eppure, i tempi sono cambiati: oggi, grazie alle conquiste ottenute, le donne godono pienamente dell’uguaglianza giuridica rispetto agli uomini. Tuttavia, ciò non significa che il percorso sia concluso: le sfide che oggi la donna deve affrontare e vincere sono forse ancor più difficili, perché travalicano il piano strettamente giuridico e investono la società, la cultura, la mentalità, poiché il maschilismo e la discriminazione tra i sessi è ben lungi dall’essere sconfitta. La dottrina della Chiesa Cattolica ha una chiara e fondamentale responsabilità nel mantenimento di questa mentalità retrograda che genera atteggiamenti discriminatori verso la donna, in quanto è essa stessa intrisa di maschilismo e differenziazione contro la figura femminile. La Chiesa non mai smesso di esercitare la sua ingerenza sulla donna e il suo corpo, pensa di poter decidere per lei parlando di aborto, contraccezione e verginità facendo credere ai più di parlare per la vita, mentre in realtà causa la loro morte morale e psicologica. Un’istituzione, questa, di grave stampo misogino, che contribuisce a mantenere la donna in una condizione di inferiorità rispetto all’uomo pensando, erroneamente, di seguire l’esempio di Cristo perpetuando una situazione di ingiustizia non più tollerabile. Il vero riscatto della donna arriverà in un millennio che non è stato ancora pensato dagli uomini, poiché ciò avverrà soltanto, purtroppo, proprio dall’interno della Chiesa Cattolica nel momento in cui le istituzioni ecclesiastiche finalmente ammetteranno il proprio sbaglio, ponendo rimedio a una vera è propria identità segregazionista. Il giorno in cui per una donna decidere per sé, per la propria vita e per il proprio corpo non sarà più un tabù per la Santa Sede, ma un diritto naturale riconosciuto all’interno della dottrina cattolica anche in nome di Cristo, finalmente nessuno potrà più alzare il suo pugno contro una donna e la comunità tutta tornerà a riempire i banchi oggi ormai vuoti delle chiese durante le funzioni religiose. Le donne stesse avranno maggior voglia e speranza di mettere al mondo i loro figli, perché avranno la certezza di riuscire a regalare loro un sorriso in più. La religione  cattolica  non è altro che un vascello che serve a navigare nel mare della verità verso Dio. Il problema è che, spesso, proprio gli uomini della chiesa si innamorano del vascello dimenticando la mèta.


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Andy - Roma - Mail - venerdi 30 luglio 2010 9.46
Cara francesca, siamo nel pieno della misoginia ecclesiastica. Alcune religioni infatti sono state considerate da molti come caratterizzate da elementi misogini, che in taluni casi sono stati peraltro riconosciuti dai loro stessi seguaci che ne hanno fatto pubblica ammenda. Ad esempio, il 10 luglio 1995 papa Giovanni Paolo II in una lettera destinata «ad ogni donna», chiedeva perdono per le ingiustizie compiute verso le donne nel nome di Cristo, per la violazione dei diritti femminili e per la denigrazione storica delle donne. Un concetto che ripeté durante il giubileo del 2000 quando, tra le sette categorie di peccati commessi nel passato dalla chiesa e per i quali faceva pubblica ammenda, nominò anche quelli contro la dignità delle donne e delle minoranze. Detto questo,complimenti per il coraggio giornalistico e per l'analisi dettagliata della vicenda. Certo e che Ratzinger sembra ignorare perfino la profonda e articolata riflessione della teologia femminista sulla differenza sessuale, e vorrebbe ricondurre i soggetti femminili nella tradizionale collocazione biologica e naturale, certo, molto piu' rassicurante, sia per il potere maschile, che per quello clericale''.




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