Secondo un sondaggio Ipsos-Sole 24 Ore, dal novembre 2009 la preoccupazione degli italiani per la crisi economica è cresciuta del 6%, mentre da febbraio a oggi la fiducia nei confronti di Berlusconi e del suo esecutivo è in calo del 3%. Swg per Federutility, invece, ha appurato che il 61% degli italiani probabilmente acquisterebbe un’automobile elettrica. E ancora: l’80% degli italiani è contro la caccia (sondaggio ”Le opinioni degli italiani sulla caccia”, realizzato da Ipsos per conto di Enpa, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf Italia), mentre nel vecchio continente è l’Italia il Paese più ambizioso, con il maggior numero di dipendenti pronti a migliorarsi attraverso nuove responsabilità e mansioni (sondaggio “Workmonitor”, realizzato da Randstad sui lavoratori dipendenti in 25 distinti Paesi tra Europa, Americhe e Asia, secondo player al mondo nel mercato dei servizi per le risorse umane). È l’informazione dei numeri, quelli che ci segmentano e ci definiscono ormai in quasi tutto quello che facciamo o pensiamo. Così, giorno per giorno, i media ci guidano per mano alla scoperta di noi stessi, statistiche alla mano, cercando di tracciare un’identità che effettivamente appare piuttosto fumosa. Radiografati dalle ricerche (sociologiche o di marketing ha ben poca importanza) diventiamo, nostro malgrado, oggetto di studio e di analisi e pecchiamo del difetto di autocompiacerci nel riconoscerci in una determinata classificazione. Sì, perché nella generale superficialità collettiva sono in pochi a ribellarsi a questa suddivisione in categorie, nella quale il limite fra analisi e manipolazione è sempre più labile. In tal senso, non è la veridicità del dato che si vuole contestare: possiamo esser certi che i numeri non mentono. Ci riferiamo, piuttosto, alle domande che vengono poste nei sondaggi e alla scelta, strategica, del momento della diffusione dei dati in rapporto agli eventi di politica interna del Paese. Quasi che tutto ciò, in molti casi, tendesse a volerci indicare un percorso già tracciato ‘a monte’, nel quale ci convincono a credere ciò in cui vogliono farci credere. Un po’ come nei film polizieschi nei quali, per “incastrare” il colpevole, gli si pone la domanda in maniera talmente scientifica da determinarne la risposta. E non siamo forse anche noi italiani un poco ‘incastrati’ in un sistema nel quale nulla funziona, tutti sono ugualmente scontenti e tristemente pigri e qualunquisti, almeno quel tanto che basta per offuscare anche solo il minimo accenno di quella lucidità critica, dissacrante e rivoluzionaria che ci vorrebbe per determinare un qualche reale cambiamento? Purtroppo, la risposta la conosciamo già: non siamo un popolo che ama i cambiamenti, perché lo status quo è più rassicurante. Nell’angosciante paura di ciò che potrebbe essere, preferiamo tenerci quel che è e quel che è sempre stato. Tanto, in un modo o nell’altro, ce la caveremo, come sempre è avvenuto. E su una cosa siamo tutti d’accordo, lo dice anche la Tv: anche quest’anno preferiamo il mare alla montagna, ma massimo per due settimane, perché a settembre dobbiamo comprare zaini e diari ai bambini e le bollette aumentano tutte.