Un giorno di tanti anni fa, un pittore colombiano decise di eleggere il 'Chiantishire' come sua dimora preferita in Europa, anticipando la moda anglosassone di trasformare la Maremma in un'appendice coloniale britannica. Quel pittore non c'entrava ancora niente con queste mode: erano stati i suoi occhi a scegliere per lui il nostro Paese. Occhi che, probabilmente, trovavano nel cielo terso della Toscana l'eco della sua terra d'oltreoceano. E che, quasi certamente, si scaldavano alla vista dei dolci contorni delle colline versiliesi, punteggiate da ulivi e viti, così da scegliere di fermarsi, di restarvi, se non per sempre come succede nelle favole, sicuramente per molto: quel tanto da guadagnarsi il titolo di cittadino onorario di Pietrasanta. Quel pittore si chiama Fernando Botero. E seguendo uno strano rito del destino, ha percorso all'indietro il viaggio che un secolo prima avevano fatto i suoi antenati, partiti da Genova rincorrendo il miraggio dell'oro fino al di là dell'oceano. Egli, invece, in Italia ha rincorso il 'bronzo' o, meglio, le fonderie che sorgono numerose a Pietrasanta. E adesso, questa cittadina del lucchese ospita almeno tre mesi all'anno un artista nato nelle Alpi colombiane, che ama Picasso, Matisse e Mirò, oltre ai grandi del Rinascimento italiano, come Piero della Francesca, Andrea del Castagno, Tintoretto e Tiziano. Abbiamo dunque raggiunto Botero a Pietrasanta, in Versilia, dove ama rifugiarsi quando non è in giro per il mondo, tra Parigi e New York. In questo vivido centro di artigiani e scultori, dove soggiornò anche Michelangelo, il 'maestro', come lo chiamano con tutti gli onori da queste parti, ha ornato la chiesa di S. Antonio con due affreschi rappresentanti 'La porta dell'Inferno' e 'La porta del Paradiso'.
Maestro Botero, come mai ha scelto Pietrasanta come propria residenza in Italia?
"Sono venuto qui per la prima volta nel 1975, perché era morto un grande scultore che viveva da queste parti: si chiamava Lipchitz e io conoscevo la vedova. Così, per caso, ho trovato questa piccola città. Poi, ho scoperto che qui c'erano delle fonderie molto importanti, oltre a molte cave di marmo. E ho saputo che già tanti artisti prima di me avevano vissuto in questa cittadina per il loro lavoro. E' per questo che ho cominciato a venire a Pietrasanta. Ora, con mia moglie, abbiamo una casetta qui in collina. E ci vengo tutti gli anni per tre mesi".
Pietrasanta è infatti disseminata delle sue opere...
"Ci sono due affreschi e una scultura che ho regalato alla città".
Lei ha girato molto: torna mai nella sua città natale, Medellin?
"Si, io viaggio molto: vivo d'inverno tra New York e Parigi. Nel mio Paese torno una volta o due all'anno, ma sempre per poco tempo, perché là c'è un problema di sicurezza per me. Per questo motivo mi reco in Colombia solo per una settimana e poi riparto. Là sono molto conosciuto".
Però, fu in quel paesino delle Ande che è cominciata la sua carriera...
"Si. Ero un pittore di 17 anni e il giornale della città, che si chiamava 'El colombiano', aveva una sezione letteraria. Mi chiesero di fare dei disegni. E ho svolto quel compito per un anno. In seguito, da Medellin sono partito per la Spagna, poi ho migrato verso Parigi, l'Italia e New York".
Come è avvenuta la trasformazione da illustratore di giornali a pittore di figure, se mi passa il termine, extra-size?
"La verità è che sono venuto molto giovane qui in Italia, a Firenze, dove ho passato due anni e mezzo. Quel soggiorno fu molto importante nella mia vita: qui, nei musei e nelle chiese, ho studiato il Rinascimento, soprattutto il Quattrocento. E così è cominciata la trasformazione e ho iniziato a interessarmi al volume. Del resto, si tratta di un aspetto dell'arte, come il disegno, molto fiorentino. E ho imparato a esprimerlo in una forma molto personale".
Penso di raccogliere una curiosità di molti lettori: quasi tutti sanno riconoscere un suo quadro, ma in pochi sanno spiegarsi perché c'è una dilatazione della forma...
"Perché già la pittura fiorentina fa un'esaltazione della forma: Giotto, Masaccio, Michelangelo, tutti. Io seguo la stessa direzione, ma con una concezione moderna, contemporanea. A questa applico una visione più aggressiva, più estrema, ma la dilatazione della forma era una caratteristica già presente nell'arte fiorentina".
In ogni caso, le sue figure hanno un non so che di estraniante, sembrano non partecipare, non battere ciglio di fronte a quello che succede: perché?
"Ho avuto sempre grande ammirazione per questa impassibilità, che si vede già nell'arte egiziana e, poi, in Piero della Francesca. Sono personaggi dall'espressione enigmatica che, esteriormente, non mostrano né tristezza, né allegria. Se si prende una testa egizia, alla prima impressione sembra un oggetto inespressivo, ma poi, guardandola meglio, si scopre che in quella apparente mancanza di espressività c'è, invece, molta espressione...".
Questo vale anche per la scultura che ha cominciato a praticare in un secondo tempo?
"Ho cominciato a fare sculture negli anni '70, nel 1974/75. Da allora, ho lavorato molto in questo ambito. Anche in questo ambito amo le figure monumentali: come si riconosce un quadro di Botero si riconoscono pure le sculture. Io lavoro il bronzo, che segue procedimenti piuttosto lunghi. Dal momento in cui si comincia un'opera a quello in cui la si vede finita passano circa otto mesi. Se io lavoro quindici-venti giorni, il resto del tempo è impiegato dalla fonderia".
Quali sono i suoi canoni di bellezza e di armonia?
"Se si osserva tutta la mia produzione di opere, il canone della bellezza è riflesso nei miei quadri. Ho l'idea e la convinzione che i quadri nascano da una riflessione delle caratteristiche che si hanno in mente che, poi, diventano stile. L'armonia, invece, deve essere data dal colore, dal disegno e dalla composizione".
Il suo colore rappresenta un tratto caratteristico del suo stile. Lei dà larghe campiture di tinta in cui non c'é molto gioco di ombre: perché?
"In generale, utilizzo un colore piuttosto puro e non enfatizzo molto le parti non illuminate, perché l'ombra é nemica del colore: se ce ne sono troppe non c'é più colore. E io amo la pittura colorata. Uso tutte le tinte che si possono utilizzare. Tra i colori 'permanenti' e gli altri, che si chiamano 'fuggitivi', preferisco lavorare con quelli che tengono cento anni senza cambiare".