Quattrocentomila i sacerdoti della Chiesa di Roma in tutto il mondo, quindicimila quelli presenti in San Pietro l’11 giugno 2010, in occasione della conclusione dell’anno sacerdotale. Una cerimonia che, per strano parallelismo, coincide con quella di chiusura dell’anno scolastico dei nostri figli. Una casualità? Forse, ma alle casualità non credono poi in molti. Noi ci abbiamo visto un segnale, o meglio un monito, soprattutto quando Papa Benedetto XVI si è espresso contro quegli atti che nella Chiesa hanno messo a repentaglio proprio l’incolumità dei giovani, quelli che i telegiornali hanno mostrato, felici e goliardici, intenti a scagliarsi ‘gavettoni’ di acqua e farina per affermare il loro diritto alla vita, alla gioia e alla spensieratezza. Una gioventù che non per tutti ha lo stesso sapore, come ricordano le scuse pubbliche della Chiesa per gli atti di pedofilia o di violenza sessuale commessi da alcuni suoi sacerdoti. Ampia l’eco, all’indomani, sulle pagine dei quotidiani, profonda l’amarezza e lo sconcerto, per fedeli e non. Onestamente, noi non capiamo le polemiche, ma soprattutto l’incoerenza di un finto dialogo, che esorta alla fiducia e alla fede e, contemporaneamente, frustra l’intelligenza e il buonsenso. Quel che è successo non è una novità, perché che i preti siano stati la rovina per più di una generazione di giovani non ci appare come un luogo comune. Che il Papa si esprima in un tardivo “mea culpa”, ci sembra faccia parte della solita strategia di marketing comunicazionale con cui ci si rivolge ai cittadini. Ormai, l’outing è una moda, se non uno show dedicato all’autodenuncia con riserva di autoassoluzione. Nella fattispecie, il ping pong mediatico si centra sull’apertura dell’attuale Papa rispetto al suo predecessore, attualmente meglio ‘piazzato’ lungo il percorso di santità. Ma qui il prestigio personale del Papa, purtroppo, c’entra poco: nel 1908, Leone X si rivolgeva al clero cattolico ricordando che “L'avvenire della Chiesa dipende dalla qualità degli ecclesiastici”. Mentre oggi il Papa ci dice che quella qualità non può garantirla, così come i suoi predecessori e che farà il possibile. Molti vedono la sua posizione come un segnale di apertura indice di un cambiamento della Chiesa verso la società moderna. E solo per avere finalmente ammesso ciò che tutti sapevano. Siamo di fronte a un cambiamento? Non mi sembra. E a scriverlo è una pluridivorziata che, suo malgrado, non può fare la Comunione da oltre vent’anni (a dimostrazione di come un atto di pura sopravvivenza dell’era moderna – il divorzio – possa essere il preludio della scomunica). Di quale apertura stiamo discutendo? Il Pontefice chiede scusa e, subito dopo, attribuisce le “colpe” a Satana, nemico di Dio, che si insinua fra le sue greggi per minare le vocazioni del sacerdozio. Eh già, la tentazione del male arriva sempre dall’esterno. Ammettere che, dopotutto, siamo umani, con le nostre ignobili debolezze e che nessuno è al di sopra di un altro, è troppo difficile? Assistiamo a ciò ogni giorno e in ogni campo: maestre che picchiano gli alunni, vigili urbani che truffano lo Stato, politici che perseguono il proprio interesse personale. Certo, non sono tutti così e non si deve fare di ogni ‘erba’ un ‘fascio’. Ma la percentuale dei ‘cattivi’, purtroppo, si sente. E qui il Maligno c’entra ben poco. Si tratta, piuttosto, di un’assenza dilagante di valori e di morale. Ed è questo il vero fallimento dell’opera papale e sacerdotale: nel clericalismo che ha voluto tacere, fuorviare e reinterpretare. Un tragico varco nelle coscienze dei fedeli (ai quali si chiede amore, sacrificio, impegno, onestà e si impone la penitenza come espiazione dei propri errori e delle proprie umane debolezze) nel quale si insinua l’idea che la colpa non sia uguale per tutti e che sia solo una questione di punti di vista. Questa è la società moderna, la morale imperante, quella de “il fine che giustifica i mezzi”. E’ una società forgiata in tal senso anche, se non soprattutto, dalla Chiesa, che oggi ne piange le conseguenze. Sono momenti di grande confusione, per tutti: non c’è nulla che vada bene e nessuno vuole ammetterlo. Abbiamo bisogno di punti di riferimento e non ce ne sono, mentre l’esortazione papale non si priva di “proteggere la fede contro i falsificatori, contro orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti”. Ecco, questa mi piace: è bene proteggersi dai falsificatori, da coloro che ci fanno credere che esistono gli uomini normali, alcuni più normali degli altri, quelli con la vocazione che, però, sono attaccabili dal diavolo. E proprio perché voglio proteggermi e proteggere i miei figli voglio dir loro di stare attenti a tutti in generale e all’uomo ‘nero’ in particolare: anche a quello che porta una tonaca.