Tutta la vicenda di Diego Anemone e degli appalti milionari concessi alle sue società da membri di primo piano della Pubblica Amministrazione induce a diverse riflessioni. Com’è stato possibile che si venisse a creare un sistema così ben congegnato, che garantiva l’assegnazione di appalti pubblici a un unico imprenditore il quale, all’interno del ‘perverso’ meccanismo contrattuale del do ut des, ricambiava il favore con ‘lavoretti’ di ristrutturazione e l’elargizione gratuita, talvolta segreta, di appartamenti milionari alle stesse persone che gli avevano agevolato l’attribuzione degli appalti? Lo spreco di risorse finanziarie pubbliche, lo scialo in ristrutturazioni e opere di miglioramento per immobili statali avvenuto negli ultimi anni pesano su ognuno di noi. Le belle parole con le quali il presidente del Consiglio e i suoi politici si sono sbracciati nelle ultime campagne elettorali, la solita riduzione delle tasse, l’abolizione dell’Ici sulla prima casa (e il conseguente innalzamento dell’Irpef e di altre imposte locali), il lavoro per tutti, la casa per tutti, la morigeratezza, la riduzione degli sprechi e l’allegria nelle case di tutti gli italiani hanno condotto solo al rimbambimento dei cittadini davanti a programmi televisivi nazional-popolari indecenti. La ricchezza per tutti: ecco il sogno e lo slogan vincente della classe politica attualmente al Governo. Il sogno della ricchezza, delle belle donne disponibili, delle belle macchine e delle regole che esistono solo per gli altri, per i poveri disgraziati oberati dalle frustrazioni di un lavoro precario e dalla cultura dei libri, del cinema, dei teatri e delle mostre. Tutta questa sciocca opulenza promessa e intenzionalmente mantenuta lontana alla massa stride profondamente con quanto sta emergendo dalle inchieste dei procuratori di Perugia e di Firenze: un sistema ben architettato di assegnazione di appalti pubblici attraverso la giustificazione governativa delle politiche di ‘emergenza’, che non prevede la logica della trasparenza delle assegnazioni (che avvengono per ‘chiamata’ e non tramite gara pubblica). D’altronde, lo ha detto qualche settimana fa a un quotidiano nazionale anche il sindaco leghista di un paesino piemontese: che senso ha indire una gara di appalto se si conosce già una società amica che lavora bene alla quale affidare il lavoro? Perché non dare da lavorare ai propri amici, piuttosto che a estranei che non si conoscono e che magari vengono da fuori? La logica non farebbe una grinza se agissimo in un’azienda privata, ma i lavori di ristrutturazione o di bonifica affidati ad Anemone riguardavano immobili della Pubblica Amministrazione, pagati con soldi pubblici, con il danaro di tutti i cittadini (esclusi gli evasori). E, purtroppo, si sa: la cosa pubblica differisce (o almeno dovrebbe) dalla cosa privata, gli interessi da salvaguardare sono molteplici e non riguardano esclusivamente un imprenditore e la sua famiglia, ma i cittadini di uno Stato e i servizi che quello Stato dovrebbe garantire loro. L’Italia cammina pericolosamente sull’orlo della bancarotta, il tasso di indebitamento è altissimo, la crisi economica esiste e si fa sentire, la consistente perdita di posti di lavoro di questi ultimi mesi ne sono una riprova inconfutabile, così come il tasso di disoccupazione raggiunto oggi, mai così alto. Un Governo coscienzioso e impegnato nella salvaguardia della ‘casa di tutti’ (metafora tratta dalla dottrina giuridica islamica) avrebbe probabilmente posto in primo piano delle riforme strutturali che garantissero la tutela dei posti di lavoro, la ripresa di un’economia debole con l’emanazione di progetti imprenditoriali e sociali ad ampio respiro, il finanziamento alla ricerca, all’istruzione, alla salute pubblica e non certamente quello che oggi si sta verificando nel nostro Paese, dove la sperequazione delle risorse sta creando una massa di cittadini deboli e impoveriti contro una piccolissima parte di individui che invece, frodando lo Stato, si garantisce ricchezze e favori milionari.