Chiara Scattone“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”: così ammonisce un passaggio dei Vangeli cristiani. E proprio questo insegnamento appare oggi essere divenuto uno dei preferiti dai media italiani. La storica casa editrice di Bologna ‘il Mulino’ ha pubblicato recentemente, nella sua collana ‘Intersezioni’, una serie di libri dedicati ai ‘7 vizi capitali’. E il giovedì, in terza serata, su Raidue Monica Setta conduce dibattiti tra attori, politici, intellettuali e uomini e donne dello spettacolo sul medesimo tema. L’argomento, pertanto, merita una certa riflessione, anche perché l’attenzione mediatica rivolta in questi ultimi mesi ai vizi capitali cristiani è il probabile sintomo di un malessere sociale diffuso, di un atteggiamento sociale che caratterizza la nostra società. L’Italia, come altre volte abbiamo avuto modo di affermare, soffre di una specie di ‘malattia’, ben rappresentata nelle opere letterarie e cinematografiche di sempre, che ci induce a mettere il ‘naso’, o meglio, ad aguzzare la vista e a osservare dallo spioncino e dalle fessure delle serrature la vita del nostro prossimo. L’erba del vicino è sempre la più verde? No, il gossip è altra cosa: è un fenomeno culturale e sociale collettivo, che coinvolge tutti e che non si limita alle mura del parrucchiere o alle chiacchiere pomeridiane del bar, ma è divenuto strumento politico pericoloso, utilizzato dai ‘furbetti’ del marketing elettorale per spostare voti e interessi, per catalizzare l’attenzione dei cittadini verso determinati argomenti e avvenimenti, in maniera tale da distogliere il pubblico dalla realtà ‘reale’ e dalle ‘magagne’ commesse da chi ci rappresenta. Il gossip è divenuto elemento di conversazione costante non solo negli ambienti che ipocriticamente potremmo definire ‘poco intellettualizzati’: i salotti letterari (se ancora si possono definire tali) hanno ormai trasceso gli argomenti puramente teorici o ideali per spostare le proprio riflessioni su questioni più ‘umane’. Il pettegolezzo, se di ‘prima mano’ o se coinvolge personaggi pubblici, diviene più interessante e gustoso, lussurioso, morboso. È divenuto un gioco al quale tutti ci lasciamo andare con naturalezza, anche perché il fenomeno è ormai trasceso. E dalle patinate pagine di settimanali scandalistici è giunto sino alla carta dei quotidiani nazionali, che spesso conducono ‘duelli’ gli uni contro gli altri per pubblicare la foto di quel politico o di quell’attore in situazioni ‘anomale’ e così incrementare le vendite. Ma cosa c’entrano i 7 vizi capitali? Il ritorno alla religione (cattolica, ben inteso) dell’ultimo periodo e il crescente desiderio di ‘redenzione’ sociale, anche semplicemente apparente, sta alimentando dibattiti quotidiani durante i quali si fa spesso riferimento all’idea e al concetto di ‘pentimento pubblico’ che si palesa con la manifestazione mediatica dei propri vizi e delle proprie presunte virtù. È un ‘cane’ che, in un certo senso, si ‘morde la coda’. Su due piani differenti: quello dell’esposizione pubblica e quello della strumentalizzazione politica, per cui rendere pubbliche le proprie vergogne garantisce una sorta di giustificazione nazionale che ci induce a pensare: “Beh, se lo fa lui è perché forse così fanno tutti”. Et voilà: il vizio (o il reato) trova una giustificazione pubblica e nazionale nella visione sociale di tutti e quell’azione si trasforma da ‘proibita’ a ‘giustificata’. Chi, in queste ultime settimane, non ha mai sentito dire qualcuno, a proposito della vicenda dei preti pedofili, che si tratta di un fenomeno riscontrabile anche in altre comunità religiose o che è un’azione (vizio?) commesso anche in realtà non religiose? Ammettere pubblicamente i propri vizi (come quello di fare uso di sostanze stupefacenti da parte del cantante Morgan poco prima del festival nazionalpopolare per eccellenza, quello di Sanremo) espone sia alla ‘gogna’ mediatica, ma soprattutto al ‘giustificazionismo’ e al pubblico pentimento, con tanto di ‘pacche sulle spalle’ e di programmi televisivi creati ad hoc per spiegare, illuminare, saziare la morbosa curiosità degli ascoltatori, ingenerando persino dubbi sull’effettiva colpevolezza del soggetto in questione. La privacy, tutelata dalla legge, diventa un elemento accessorio sul quale trascendere per soddisfare la curiosità pubblica, perché è un dovere dei cittadini essere informati. Ma il cittadino dovrebbe essere informato circa i fatti che lo riguardano e che interessano la ‘cosa pubblica’, non sul colore dei calzini di un giudice, sulle foto osé di una giovane Veronica Lario o sul numero delle operazioni chirurgiche che quel deputato o quell’attrice ha deciso di infliggere al proprio corpo. I fatti, quelli sostanziali, quelli di cui tutti noi dovremmo essere resi partecipi, divengono secondari. E, allora, poco importa se la riforma dell’istruzione della Gelmini distruggerà la ricerca italiana e il futuro del nostro Paese (la concorrenzialità e l’evoluzione di uno Stato si basano sulla loro propensione alla ricerca scientifica e universitaria), poco importa se il precariato è un cancro che sta rovinando, oltre all’economia nazionale, anche la vita di migliaia di giovani e meno giovani, poco importa se le tasse vengono pagate sempre dai soliti pochi noti mentre il fenomeno dell’evasione fiscale indebolisce da decenni le casse statali, poco importa se si sta distruggendo l’ambiente costruendo schiere di villette e cementificando (abusivamente e con successivi e recidivi condoni) le nostre coste, poco importa se i trasporti non funzionano, se le infrastrutture sono simili a quelle di un Paese in via di sviluppo. Poco importa di tutto questo.


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Salvatore - Italia - Mail - domenica 16 maggio 2010 10.7
Bellissimo articolo fa riflettere. Ho sempre ritenuto che il "perdonare" sia il peggior vizio da cui ci si dovrebbe sottrarre se vogliamo veramente migliorare la nostra convivenza. Il concetto del perdono, di matrice cristiana, non è presente in altre culture. Si può perdonare un pedofilo, uno stupratore, un assassino? E per dire dei vizi dei nostri politici, francamente, non mi pare possa essere perdonato colui che per difendersi dall'accusa di essersi appropriato del denaro pubblico si giustifichi con il dire "così fan tutti"!


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