Vittorio Lussana

Nel giugno del 2007, la Commissione europea ha approvato un Regolamento che ha rivisto in forma strutturale la normativa continentale in materia di produzione biologica. In pratica, il nuovo testo, entrato in vigore il 1° gennaio di quest’anno, ha abrogato il vecchio Regolamento Cee n. 2092 del 1991, che aveva avuto un ruolo non di second’ordine nella crescita delle produzioni agricole e dei mercati dell’ultimo decennio. Tra il 2007 e il 2009, inoltre, l’Unione europea ha approvato anche un’altra serie di norme le quali, di fatto, hanno inserito il cosiddetto ‘principio di convivenza’ tra produzione biologica e produzione geneticamente manipolata. In sintesi, l’Europa ha cercato di chiarire che i prodotti Ogm rientrano in una distinta categoria e che non possono e non debbono essere confusi con gli altri. Oltre a ciò, l’Ue ha imposto un rigido obbligo di etichettatura, al fine di permettere al consumatore di distinguere i prodotti geneticamente modificati da quelli biologici. Queste disposizioni hanno la finalità di regolare i possibili casi di contaminazione, accidentale o inevitabile, correlati alla convivenza tra la produzione biologica, quella convenzionale e quella geneticamente modificata. E, nel farlo, ha adottato la ‘soglia’ già utilizzata per gli altri prodotti convenzionali, pari allo 0,9%. L’Italia, insieme al Belgio, alla Grecia e all’Ungheria, manteneva, in materia, normative interne che limitavano fortemente la convivenza con la produzione transgenica, fermo restando il fatto che il nuovo regolamento europeo è un provvedimento teso a vietare il più possibile l’impiego degli Ogm e dei loro derivati in tutte le fasi della ‘filiera’ e del ciclo di produzione. Tuttavia, mantenendo il vecchio ‘paletto’ dello 0,1% l’Italia rischiava di non essere in grado di controllare l’effettivo utilizzo degli Ogm in agricoltura, poiché un limite così basso era al ‘confine’ della non rilevabilità. Questi fatti hanno naturalmente provocato un acceso dibattito in molti ambienti scientifici e culturali, riflessioni che hanno avuto un interessante riflesso, di recente, sul nuovo quotidiano diretto da Piero Sansonetti, ‘l’Altro’, di cui riportiamo, in questo numero, alcuni lucidissimi contributi. La tematica, ben introdotta e altrettanto bene affrontata da Sansonetti e i suoi amici, ci ha perciò indotto ad esprimere anche una nostra posizione, la quale, in materia di manipolazione genetica è favorevole all’introduzione di innovazioni biotecnologiche, purché vengano tenute presenti tutte le dovute cautele e i rischi del caso. In molti dibatti, infatti, viene regolarmente sottostimato il fatto che nell’arco dei prossimi 20 anni le possibilità di un approvvigionamento sufficiente delle derrate alimentari diventerà un problema gigantesco, di proporzioni addirittura planetarie. Ciò impone sin da oggi nuove forme di responsabilità pubbliche, anche e soprattutto di carattere internazionale, in grado di assumere decisioni in favore di un governo globale delle biotecnologie in quanto contributo ad una produzione sostenibile - ed in quantità sufficiente - di alimenti e prodotti agricoli. La comunità scientifica e il mondo delle comunicazioni hanno dunque il dovere di spiegare maggiormente, di analizzare e di approfondire questi argomenti. Accettando, nel far questo, anche le possibili critiche che possono o potranno essere avanzate dalla società civile o dai diversi comitati etici, poiché una conoscenza più diffusa dei fenomeni naturali è di cruciale importanza nella valutazione della produzione geneticamente manipolata. Tutti i Governi dovranno altresì decidersi a sostenere maggiormente la ricerca scientifica, proprio al fine di assicurare il più alto grado di ‘scientificità’ possibile a tutte le cosiddette ‘elaborazioni di previsione’. Naturalmente, ci appare oltremodo necessario richiamare il mondo dei ricercatori e di tutti i diretti interessati, pubblici o privati che siano, ad una valutazione e ad una gestione delle forme di manipolazione genetica che includano criteri di sicurezza e di ‘massima cura’: sia i rischi, sia benefici che gli Ogm sono suscettibili di far ‘discendere’ andranno analizzati senza pregiudizi, senza cioè ricorrere a categorizzazioni ‘universalistiche’, poiché essi possono variare nel tempo e a seconda delle diverse situazioni geografiche o climatiche. Ciò impone valutazioni di natura specifica e non di carattere ‘generalista’, poiché intorno a simili questioni tutte le variabili scientifiche divengono fondamentali, soprattutto se si intendono adottare strategie realmente efficaci per una gestione responsabile sia dei rischi, sia dei benefici medesimi. Infine, dal punto di vista squisitamente politico, l’esigenza di processi normativi in grado di garantire una più elevata credibilità impone una selezione ben più severa, in particolar modo in Italia, della classe politica e dirigenziale. Ciò che ci sta particolarmente a cuore, per quanto riguarda la situazione italiana, è soprattutto il tema di un effettivo cambio di mentalità: i cambiamenti introdotti in agricoltura solamente nell’ultimo secolo hanno saputo affrancare buona parte dell’umanità dalla fame, contribuendo ad un maggior rispetto della dignità umana. Pertanto, se la conoscenza dei rischi di insostenibilità della produzione agroalimentare diverrà effettivo elemento di analisi - e di preoccupazione – la questione potrà cominciare finalmente a porsi e, forse, iniziare a risolversi, proprio grazie al ricorso alle nuove possibilità fornite dallo sviluppo della biologia più avanzata, nella consapevolezza che queste debbano comunque essere giudicate conformi ad un’accezione non ‘astratta’ della ‘legge di natura’.




 

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