Vittorio Lussana

Siamo ormai nell’epoca delle minacce e dei ricatti, provenienti da logiche contrattualistiche 'paramafiose'. O, quanto meno, da una visione selvaggia e ottocentesca di liberalismo, che sa tanto di muffa e ragnatele. Stiamo parlando delle nuove tariffe che sono al vaglio del neo-ministro del commercio americano, Howard Lutnick. La strategia 'trumpiana' è sempre la stessa: minacciare tutti quanti, credendo di impressionare qualcuno. A cominciare dalla Cina, che alla fine ci farà la 'festa'. Ciò in quanto ai dazi, si risponde sempre con altri dazi: se c’è un modo per paralizzare i mercati, è esattamente questo. Se si pensa che prendendo a calci la 'scacchiera', i vari pezzi torneranno al loro posto, significa essersi persi almeno un secolo di evoluzione econometrica di misurazione dell’economia. La 'montagna' partorirà solamente un 'topolino'. Giusto per fare un po’ di propaganda e proporre agli elettori, al di qua e al di là dell’Atlantico, un’idea di politica economica imbastardita da una ridicola demagogia oligarchica e 'neofeudale'. In realtà, il sistema occidentale era già oligopolistico: si scopre solamente l’acqua calda, se adesso si sposa un modello 'neocon' che non c’entra assolutamente niente col sovranismo, utilizzato strumentalmente in campagna elettorale. Pertanto, l’ondata di tariffe che si va predisponendo con l’obiettivo di pareggiare i conti con i Paesi che impongono tasse sui beni americani, si riverserà sui consumatori, i quali risulteranno ancor più vessati di quanto già non lo siano. Votare Donald Trump è stata una scelta masochista, per l’americano medio. E molto presto se ne vedranno le conseguenze, sia in termini inflazionistici, sia di vera e propria paralisi dei mercati. Tutto questo proviene da un’idea scellerata di economia, che ogni tanto fa capolino anche qui da noi. E che si sintetizza nella frase: “L’economia è produzione di ricchezza, non solamente redistribuzione”. A parte il fatto che l’economia moderna contempla ambedue questi aspetti, cioè sia la produzione, sia la redistribuzione della ricchezza, tale frase corrisponde alla consueta mezza verità pubblicitaria del capitalismo più truffaldino e 'marchettaro'. Si faccia attenzione a chi pronuncia parole del genere: esse nascondono un’idea di economia ancor più antiquata e anacronistica della visione 'fordista'. E’ un ritorno al primo liberalismo in chiave tecnologica, che in realtà pone barriere d’entrata in ogni comparto e settore. La qual cosa equivale a confermare un modello composto da pochi, pochissimi ricchi, che tali vogliono rimanere. Anche a costo di impoverire i mercati, anziché favorirli. Lo stesso Henry Ford sapeva benissimo che non poteva produrre autovetture che i suoi stessi operai non potevano acquistare. Il primo Adam Smith era, infatti, incompleto. E anche la successiva scuola neo-classica lo era: lo si è visto palesemente con il crollo della borsa di Wall Street nel 1929. L’occidente vinse la sfida contro il socialismo 'reale' grazie al capitalismo 'keynesiano' e la sociologia etica di Max Weber. Cioè con l’elaborazione di un sistema 'misto', composto da tanti piccoli e medi operatori in grado di riequilibrare i prezzi, incentivando la concorrenza. Qui si sta facendo esattamente il contrario, con il rischio di 'estumulare' tutte le varie declinazioni di socialismo, compreso quello scientifico. In buona sostanza, si sta dando ragione a Luigi Pasinetti, pur di dar torto a Franco Modigliani. Perché poi, quando il privato fallisce e finisce in galera per bancarotta fraudolenta, è sempre lo Stato a dover intervenire per salvare impiegati e lavoratori, con i classici strumenti dell’assistenzialismo e della cassa integrazione. Siamo di fronte a un capitalismo di vecchi rimbambiti, invidiosi delle varie 'start up' di successo lanciate, in questi ultimi decenni, da tanti giovani neo-imprenditori. Non è solamente la democrazia a risultare troppo costosta per i 'super-ricchi': il capitalismo stesso lo è. Ed è esattamente per questo motivo, che si sta cercando di reagire restaurando il 'feudalesimo'. Con i prezzi troppo alti, i beni di consumo resteranno invenduti. Siamo di fronte al medesimo problema che aveva lo statalismo 'marxista': la determinazione del prezzo di equilibrio di beni e servizi, che in regime di monopolio é sempre più alto rispetto alla libera circolazione delle merci e dei capitali. In qualsiasi regime di monopolio, non soltanto in quello dello Stato. E quando si scoprirà che la 'mano invisibile' non esiste e che bisognerà ricorrere a correzioni su correzioni, per molti operatori sarà troppo tardi.




(articolo tratto dalla rubrica settimanale 'Giustappunto!' pubblicata su www.gaiaitalia.com)

 

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