Maria Grazia d'ErricoPaolo Villaggio, recentemente premiato con il David di Donatello alla carriera, non è solo un istrionico attore. Certamente, Fantozzi ha rappresentato il suo più grande successo, culminato con l’inaspettata ‘chiamata’ di Federico Fellini, che gli ha sconvolto la carriera. Ma questo straordinario artista è soprattutto un dissacrante scrittore: ha scritto più di dieci libri, molti dei quali tradotti in diverse lingue. In questi giorni, è di nuovo in libreria con il divertente e cinico ‘Storie di donne straordinarie’, edito da Mondadori.

Paolo Villaggio, il tema di questo suo nuovo libro sono le mamme e le mogli di personaggi importanti del passato che si muovono quasi all’ombra dei loro uomini: un omaggio a tutto il ‘gentil sesso’?
“Non è un omaggio alle donne, chiariamoci, ma una gag. Si tratta di storie inventate: ho solo voluto scrivere un libro divertente. Spesso, quando rileggo i libri che ho scritto, rimango deluso. Questo, invece, lo consiglio davvero, perché trovo che faccia veramente ridere”.

Si parte da Eva, divisa tra ‘costola e mela’ nel giardino dell’Eden, per poi andare a ‘svalutare’ personaggi straordinari come Gesù, Dante e Beethoven: avvalora la tesi che dietro ogni grande uomo ci sia sempre una grande donna?
“Certamente: parto proprio da questo assunto per raccontare le storie di donne rimaste nell’ombra dai tempi di Adamo ed Eva, che iniziano ad ‘annusarsi’ e a cercar di scoprire a cosa serva quel ‘pirulino’ che sporge dal corpo di Adamo, a Marie Curie, che rinuncia alla gloria per dare tutti i meriti al marito, sino ad arrivare alla mamma di Hitler e a quella di Proust. E poi: Maria di Nazareth, la mamma di Dante, persino la zia di Beethoven e quella gran donna che, credo, sia stata Eva Braun, la moglie di Hitler”.

Com’è diventato uno scrittore?
“Pochi mi considerano uno scrittore, eppure io nasco tale. Avevo scritto ‘Fantozzi’, ma il produttore non trovava nessuno che volesse impersonarlo al cinema. Allora ‘Frizzi padre’ mi chiese se volevo ‘sacrificarmi’ io. In questo modo, sono passato da scrittore alla categoria ‘inferiore’ di comico…”.

Sa che è un po' ‘colpa’ sua se esistono gli scrittori umoristici? Perché non è ben visto dai colleghi?
“Nella nostra cultura ‘bacchettona’, il comico viene considerato di serie ‘B’ e beatificato, eventualmente, solo dopo la morte, com’è successo con Totò. Quelli della ‘casta’ li ho incontrati poche volte: sì, perché esiste anche quella degli scrittori… Ogni volta mi guardano come un ‘rettile’, come un intruso, perché sono un comico e i comici sono considerati attori di seconda categoria. Solo se si fanno film di un certo ‘tipo’ si viene premiati. Il mio penultimo libro, ‘Storia della libertà di pensiero’, che ha venduto 70 mila copie, ha ricevuto il ‘premio Flaiano’ a Pescara, ma quelli della ‘casta’ non mi hanno neppure stretto la mano: eppure, ancora non c’era la ‘febbre suina’…”.

Gli italiani leggono troppo poco, si sa: lei, invece, che libri predilige?
“Kafka, ‘Delitto e Castigo’, Proust e gli ‘Scritti corsari’ di Pasolini. Tra questi ultimi, in particolare, quello riguardante la televisione, che ha cercato veramente di sollevare il nostro livello culturale nazionale. Quando feci un viaggio in America, mi colpì molto l’omologazione del pensiero, il giudizio politico ‘piatto’. La ‘dittatura televisiva’ è insidiosissima, perché non usa la violenza, ma costringe all’omologazione. Sono testi ‘profetici’ che non solo leggo, ma che consulto regolarmente e si trovano sempre sul mio comodino o in bagno. Nulla arricchisce più dei classici: li consiglio a tutti i giovani che non hanno fiducia nella cultura e che hanno perso ogni orientamento, perché noi, per lo meno, avevamo il famoso ‘ricordo dei bei tempi’, loro no. Noi avevamo certezze: anche Fantozzi, paradossalmente...”.

Un’ultima domanda: che ricordi ha del suo grande amico Fabrizio De André?
“Lo conoscevo sin da quando era un ragazzino con i pantaloni corti. Da quando è morto, di lui è stata fornita un’immagine dimessa e anarchica, invece è stato un uomo che ha fatto delle cose incredibili. Aveva una conoscenza assoluta dell’erotismo femminile. Insieme, abbiamo condiviso belle esperienze e abbiamo visto film intellettuali bulgari e cecoslovacchi: una ‘roba’ impensabile. Ha avuto la fortuna di morire giovane: è un grande ‘vantaggio’. Uno dei ricordi più vivi: io che lo vado a trovare in ospedale. Lui, ormai, era irriconoscibile. Io, allora, ‘indosso’ la mia ‘maschera’, ma lui subito me la toglie, perché aveva già capito tutto della sua malattia. E mi ha detto: “Se in pubblico parlerai di me, dovrai dire che non sono stato un menestrello o un cantastorie, ma un grande poeta”.


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MARCO ZEROUNDICI - Torino (Italia) - Mail - venerdi 15 maggio 2009 17.7
Una bella intervista per uno degli attori che più ho apprezzato in vita mia.. Comico, attore e mimo eccezionale nei racconti surreali di Fantozzi e Fracchia, dove il gusto amaro della vita appariva dopo l'ennesima umiliazione. E' stato in quei frangenti un genio, ideatore di quei personaggi unici, copiati e stracopiati e ormai divenuti parte del linguaggio corrente (fare la figura di Fantozzi). Difficile dire cosa apprezzassi di più di lui se la verve comica o quella da consumato mimo..E' stato (uso il passato perchè mi riferisco ai film di allora) eccezionale e ancora oggi rido a crepapelle per le sue gag..Genio!
Compllimenti Mary per l'intervista..
Marco 011


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