Maria Grazia d'Errico

Con la violenza, l’inganno e la colpevole collaborazione di uomini delle istituzioni, le “quattro mafie” (Cosa Nostra, Camorra, 'Ndrangheta e Sacra Corona Unita) sono cresciute fino a stringere in una morsa d'acciaio l'Italia meridionale e l'intera penisola. Il giornalista e scrittore Bruno De Stefano nel suo libro “La Penisola dei mafiosi, l’Italia del pizzo e delle mazzette”, pubblicato per i tipi della Newton Compton, con prosa coinvolgente e implacabile utilizza le armi del giornalismo investigativo per raccontare la verità sui rapporti tra lo Stato e questa ‘holding della violenza’, il cui potere di corruzione è praticamente illimitato, facendo emergere il ritratto sommerso di un Paese assediato, nel quale chi prova a ostacolare le cosche viene minacciato e costretto al silenzio.

Bruno De Stefano, un settimanale tedesco, ‘Der Spiegel’, in passato ci ha definito “Mafia land italian”, ovvero il Paese della mafia: siamo davvero una penisola brutalizzata dalla criminalità organizzata?
“Penso proprio di sì: se si escludono alcune zone del nord est, nel resto del Paese c’è una presenza capillare delle quattro mafie: 'Cosa Nostra', Camorra, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita. Dalla Val d’Aosta sino alla Sicilia c’è un esercito di criminali che conquista fette di territorio sostituendosi allo Stato. Purtroppo, al di là delle dichiarazioni rassicuranti dei rappresentanti delle istituzioni, siamo di fronte ad un fenomeno sempre più forte e radicato. Oggi, le mafie hanno un giro d’affari da cento miliardi di euro, è una holding che al sud spara e uccide e che, al centro e al nord, ricicla montagne di soldi ‘sporchi’. A tutto questo bisogna poi aggiungere un altro dato: è in crescita anche la presenza delle mafie straniere: Russi, Maghrebini e Nigeriani vengono tutti in Italia, perché sanno che hanno grosse probabilità di delinquere e di farla franca”.

Il suo viaggio inizia dalla Lombardia, considerata la quarta regione ad alta densità mafiosa dopo Sicilia, Calabria e Campania, per la diffusione del male più oscuro, chiamato 'Ndrangheta: un’invasione devastante iniziata nel 1976, con quattrocento delinquenti provenienti dal sud e favorita da un clamoroso autogol dello Stato. Che differenze ci sono rispetto al passato? Dove e come agiscono le n'drine?
“Beh, rispetto al passato la differenza è diventata sostanziale: se prima in Lombardia arrivavano pregiudicati alla spicciolata, oggi siamo di fronte alla presenza di consistenti gruppi criminali, che hanno esportato, soprattutto nella provincia di Milano, usi e costumi delle regioni di provenienza. Nell’hinterland milanese, ad esempio, si registra un’occupazione del territorio da parte di diverse ‘famiglie’ calabresi, che gestiscono affari leciti e illeciti. Chi ha provato a lanciare l’allarme sull’invasione della ‘Ndrangheta è stato bollato come “allarmista”. E, alla fine, il silenzio ha finito col fare il gioco dei mafiosi, sempre più ricchi e potenti”.

Le infiltrazioni nel mondo della politica attualmente rappresentano il fenomeno più preoccupante. La ‘Ndrangheta si è mostrata assai più disinvolta di ‘Cosa Nostra’. Così come disinvolti si sono mostrati i politici che hanno aperto le porte all’illegalita. A Milano, nel 2008, la bocciatura sull’eventualità di istituire una commissione antimafia incaricata di vigilare sugli appalti e subappalti, soprattutto in vista del fiume di denaro che si dovrà spendere per l’Expo del 2015, è stata “un favore concesso a chi vuole che le mafie procedano indisturbate”: “ofelè fa el tò mester”, ciascuno faccia il suo mestiere?
“Penso che una parte della politica non possa più fare a meno dei mafiosi: i boss assicurano appoggi elettorali senza i quali difficilmente molti farebbero carriera. Ma poi, con i boss si fanno anche buoni affari. Oramai, in molti casi mafie e politica sono due facce della stessa medaglia. Detto questo, per quanto riguarda la bocciatura della Commissione sull’Expo di Milano, ho il sospetto che si sia trattato di un clamoroso caso di sottovalutazione. E’ ancora molto forte il convincimento che le mafie siano un problema dell’ Italia meridionale e in tanti non hanno alcuna intenzione di accettare l’idea che pure la Lombardia è infestata dalle organizzazioni malavitose”.

Negare e minimizzare: per molti anni sono state queste le parole d’ordine di chi sosteneva che, al di là di qualche transitoria presenza di delinquenti in soggiorno obbligato, nel Lazio le mafie non avevano mai messo piede. Eppure, una delle organizzazioni più aggressive e sanguinarie della Storia del nostro Paese, la banda della Magliana, stipulò precisi ‘patti’ con la mafia fin dagli anni settanta. Quali sono le ‘piaghe’ del Lazio oggi?
“Anche nel Lazio, come in Lombardia, il fronte dei ‘negazionisti’ è stato sempre piuttosto affollato. Negli anni più recenti, però, sostenere che la regione è fuori dai circuiti malavitosi è diventato molto difficile. I segnali dell’invasione della Camorra campana, ad esempio, sono stati piuttosto evidenti, soprattutto nella provincia di Latina. A Roma, poi, c’è un vero e proprio assedio, perché la città dei 7 colli è ideale per riciclare i capitali ‘sporchi’. Tant’è che la mafia russa investe fior di quattrini in attività commerciali e immobiliari. Ovviamente, quasi nessuno ne parla, perché probabilmente non è bello far sapere che anche la capitale del nostro Paese è contaminata dalle mafie. Invece la contaminazione c’è, eccome. E, a dimostrarlo, c’è appunto la banda della Magliana, che con le organizzazioni mafiose ha storicamente avuto rapporti”.

Lei, nel suo libro, dichiara che in almeno quattro regioni le mafie non sono più l’antistato, ma sono “lo Stato”, come in Campania, regione in cui una vera “confederazione criminale è capace di condizionare l'economia, la politica e la vita quotidiana dei cittadini”. Da napoletano come vive il rapporto con la sua città?
“In molte aree della Campania comanda l’antistato: i camorristi gestiscono il territorio, hanno in mano buona parte dell’economia e mantengono rapporti consolidati con la politica. Io detesto il campanilismo, soprattutto quello che fa da ‘foglia di fico’ alle cose che non vanno. Per cui, non ho alcuna difficoltà a definire Napoli una città invivibile e senza speranza. Io ci abito soltanto, ma a me non piace. E, tanto per esser chiari, non mi piacciono più neppure i napoletani. E’ colpa loro se una città così bella è diventata un immenso ‘pantano’…”.

La crisi sta causando una drammatica carenza di liquidità sui mercati finanziari legali e le mafie stanno cominciando ad agire come ‘banche informali’ in diversi Paesi europei, aumentando le attività di usura: hanno addirittura iniziato a produrre Euro falsi. Un’inchiesta conclusa a Napoli ha dimostrato che la Camorra avesse contatti diretti con la zecca del Belgio per ottenere le matrici delle banconote. Com’è possibile che questo fenomeno riesca a contaminare segmenti assolutamente legali?
“Dobbiamo renderci conto che le mafie non sono solo droga, morte e violenza: oggi sono soprattutto affari e ricchezza ed hanno talmente denaro da poter corrompere tutto e tutti. Con un’economia che va ‘a rotoli’, gli unici in grado di portare in dote denaro contante sono solo i mafiosi. E si sa che chiunque disponga di banconote fruscianti è bene accetto e che chi è in difficoltà non ha alcuna intenzione di chiedersi da dove arrivino certi capitali. Intendiamoci, però: i mafiosi che stanno aggredendo l’economia ‘sana’ non indossano la coppola, né imbracciano la lupara, ma hanno il volto rassicurante del manager ‘rampante’...”.

Leonardo Sciascia affermò che “la sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini”. Quello che si avverte è un generale contesto di disattenzione, perché al cittadino poco interessa che sorte abbia il capitale mafioso attraverso il riciclaggio, o in quali circuiti economici finisca e vuole solamente vedere il problema della propria sicurezza. A una mafia invisibile si è contrapposto uno Stato invisibile?
“La disattenzione c’è e purtroppo rende il lavoro più facile ai mafiosi. La gente è distratta da tante cose e oggi pensa quasi esclusivamente ad arrivare alla fine del mese. Dico questo perché sono convinto che dal cittadino comune non si può pretendere che si preoccupi del come e del perché le mafie siano in espansione: un operaio che guadagna mille euro al mese ha ben altre cose per la testa. E così anche i milioni di lavoratori precari. E’ evidente che, in una condizione di generale insicurezza, il pensiero sia concentrato, per lo più, sull’evitare di farsi rapinare o di farsi svaligiare l’appartamento. Lo Stato, più che invisibile, è intermittente: qualche volta si fa vedere, molte volte si inabissa. E non è un caso: è un modo per non combattere una guerra contro un sistema, quello mafioso, dal quale molti traggono consistenti vantaggi”.

Il giudice calabrese Francesco Macrì ha descritto la Calabria come “un Vietnam italiano. Lo Stato qui fa parte della Croce Rossa: soccorre i feriti, tiene il conto dei morti, avvisa le famiglie”: a chi appartiene veramente la Calabria?
“Non me ne vogliano i calabresi, ma la risposta è facile e rapida: la Calabria appartiene alla ‘Ndrangheta”.

Secondo una indagine dell'Eurispes, nel 2007 il fatturato della mafia calabrese è stato di 44 miliardi d euro, pari al 2,9 per cento del prodotto interno lordo italiano: dove finiscono le responsabilità della magistratura e dove iniziano quelle dello Stato?
“Ci sono responsabilità a tutti i livelli, questo è certo. La questione, lo ribadisco, è un’altra: lo Stato, nel suo complesso, vuole davvero sconfiggere le mafie? Per me la risposta è: no, non lo vuole, perché le mafie fanno parte del sistema”.

I servizi segreti segnalano che in Sicilia, anche se quasi tutti i ‘superlatitanti’ sono da tempo in carcere, a parte il trapanese Matteo Messina Denaro, la situazione non sia più ‘rosea’. Ma la mafia non ha solamente una sua ‘ala militare’, non è solo gente che spara: esiste anche la cosiddetta zona ‘grigia’ dei ‘colletti bianchi’. Qual è l’identikit dei nuovi ‘padrini’?
“Oggi, la mafia uccide meno che in passato, perché il suo vero punto di forza non è la violenza, ma la capacità di intavolare rapporti con ‘pezzi’ delle istituzioni, dell’economia, della società civile. I boss sono quasi tutti in galera, ma i clan sono sempre più forti, perché a gestire gli affari ci pensano gli imprenditori collusi e i politici compiacenti. I nuovi ‘padrini’ sono dunque questo tipo di soggetti, all’apparenza irreprensibili ma, nei fatti, organici ad un sistema complessivamente mafioso”.

Il ‘pizzo’ è una ferita che fa male, ma per chi lo impone è un affare colossale, da dieci miliardi all’anno. Uno straordinario mezzo per arricchirsi, perché non solo controlla il territorio, ma risolve controversie ed elargisce raccomandazioni: è realistico affermare che, in alcuni casi, la vittima sia diventata prima complice ma in seguito collusa, trasformando presenze asfissianti in vantaggiose alleanze per vincere gli appalti?
“Molte indagini della magistratura hanno dimostrato che la tangente non la pagano solo i piccoli bottegai, ma anche le grandi aziende. E perché un colosso dell’imprenditoria, che pure dispone di relazioni istituzionali ad alto livello, non denuncia il pizzo? La risposta è semplice: perché se paghi la mafia, ottieni diversi vantaggi: vinci gli appalti, ti sbarazzi della concorrenza e i sindacati non ti danno fastidio. E’ così che le vittime si trasformano in complici. Torniamo al discorso di sempre: le mafie non fanno solo danni, ma procurano vantaggi altrimenti irraggiungibili”.

La seconda parte del libro è dedicata all'infiltrazione della mafia nei comuni: qual è, secondo lei, il comune più mafioso d’Italia?
“Ce ne sono diversi, ma forse il più inquinato è stato quello di Quindici, in provincia di Avellino: negli ultimi quarant’anni tutti i sindaci, tranne un paio, sono stati ammazzati, arrestati o rimossi”.


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Francesco Nicito - Italy - Mail - sabato 2 maggio 2009 14.54
Anni addietro una notissima catena di villaggi turistici versava (e versa) importanti dazioni in denaro a membri di una famiglia ndranghetista dell'area della Calabria jonica.
La sicurezza al villaggio e ai suoi ospiti era garantita dai boss locali , ogni servizio era garantito da uomini della 'ndrina locale (dalla guardiana alla fornitura degli alimenti , persino dall'imposizione degli animatori). Molto spesso a fronte di un versamento mensile milionario e dell'obbligo di assunzione di quel tipo di personale , la direzione del villaggio si vedeva costretta a riassumere nuovi elementi perche' i primi , pur percependo lo stipendio , di fatto non lavoravano.
Il Direttore si sentiva completamente al sicuro , malgrado tutto, di poter garantire una serena ospitalità ai turisti.
L'Antistato e' Stato e diviene arbitro di destini , giudice incontrastato e inappellabile delle sorti dell'economia locale fondata sul silenzio e la complicità di tutti coloro che abdicano quotidianamente
Elisa L. - Avezzano - Mail - sabato 2 maggio 2009 13.11
Più leggevo l'intervista più volevo leggere. Troppe cose sfuggono agli italiani. Peccato non aver saputo della situazione specifica in Abruzzo, anche se posso solo immaginare...

Cordiali Saluti alla Redazione
Amato Lamberti - Napoli - Mail - sabato 2 maggio 2009 12.55
il problema è che la mafia ha suoi rappresentanti nel Parlamento e nel Governo. Non basta occuparsi della manovalanza criminale, dobbiamo cominciare a guardare alla mafia che si è installata nelle Amministrazioni enelle Istituzioni.
Padre Elia - Torino - Mail - sabato 2 maggio 2009 8.13
Dio ti benedica Maria Grazia. A te e a tutti coloro che vogliono rendere il mondo un posto più informato.

Alleluial
Pina De Matthaeis - Alberona/Puglia - Mail - sabato 2 maggio 2009 1.45
quello mafioso è un sistema ormai radicato ovunque ed in ogni settore;
lo è fino al punto che anche chi crede di essere onesto non ricosce più il limite tra ciò che è illeceto e non.
Invita Bruno De Stefano a farsi un giro dalle nostre parti e scoprirà che anche sotto l' egida della produzione di energia "pulita"scorrono fiumi fetidi e limacciosi.
Santina - Calabria - Mail - venerdi 1 maggio 2009 21.9
Sono impressionata dalla quantità di nozioni presenti in questa intervista. Mai letta un cosa del genere. Precise le risposte, a volte secche ma estremamente sincere.
Bravissimo questo scrittore, lo leggerò con moltà curiosità.

Con stima Santina


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