L'articolo di
Piero Ostellino, pubblicato qualche mese orsono dal
"Corriere della Sera" e da noi ripreso proprio come "spunto d'apertura" di questo numero di
"Laici.it", ha scatenato il popolo della rete internet nei più disparati pareri: ne abbiamo, infatti, raccolti circa 360.
Ecco, tra questi, i più significativi.
Carissimo Cassandra, capisco il senso delle obiezioni di Ostellino sul
pacifismo a 'senso unico'. E le condivido anche, tanto è vero che nei giorni successivi l'impostazione della pagine del giornale da me diretto è radicalmente cambiata.
Primo: ho pubblicato un articolo di fondo di
Macry molto simile al già citato articolo, lucido e utile, di Piero Ostellino. Secondo: abbiamo intervistato il
Presidente dell'associazione Italia-Israele, il quale ha ricordato che ogni attentato in Israele è simile ad una piazza Fontana.
Nello stesso giorno abbiamo anche pubblicato la testimonianza di
Guido Sacerdote, nipote di Carlo Levi.
Ora il punto è: perché abbiamo impiegato più di due giorni per riequilibrare l'informazione? Credetemi: solo perché è stato molto difficile raccogliere la voce del dissenso. Purtroppo, ciò che a livello nazionale si riesce a fare in poche ore, qui richiede molto più tempo. L'opinione pubblica è più lenta e il senso comune dilagante, all'inizio è sempre quello suggerito dai comportamenti pubblici dei Bassolino e delle Iervolino.
Marco Demarco, Direttore Responsabile del "Corriere del Mezzogiorno"
Come si può, a questo punto, distinguere posizioni, ragioni che motivino la guerra di due nazioni egualmente disperate e martoriate da secoli di lotta?
La situazione è senza dubbio molto avvilente; mi viene solo da pensare che, una decina di anni fa, le sinistre si sarebbero mobilitate, nelle scuole ci sarebbero state manifestazioni tutte le settimane, scioperi, cortei.
E oggi? Oggi, che la situazione in Medioriente sta veramente diventando assurda, io non li sento proprio.
Ma dove sono?
Seguo i dibattiti in tv e leggo i giornali e devo confessare che dopo una mezz'ora già si ritrovano tutti a litigare per il loro pezzettino di "ragione": mi domando ad oggi se ci sia veramente qualcuno animato, tra quelli che muovono i fili della politica internazionale, da vero spirito di pace e che voglia sinceramente mettere fine a questa sanguinosa ed eterna guerra.
Il senso di impotenza mi assale, ma credo che se c'è qualcosa che possiamo fare e che non ci costa poi così tanto, è cercare di non perdere di vista un minimo di obbiettività su tutta la faccenda.
Forse, in questi casi, la neutralità dalle posizioni politiche è l'unica salvezza morale per chi non ha più fiducia in chi ci rappresenta.
Spero di ricredermi presto, anche se è una speranza blanda. Un saluto.
Manuela Vuolo
Se tua figlia fosse in fin di vita e tu non potessi portarla in ospedale per via di un posto di blocco; se nel tentativo di far presente la situazione ai soldati di questo posto di blocco i soldati aprissero il fuoco uccidendo tua moglie e tua figlia (è successo poco tempo fa, vi ricordate?);se tu fossi costretto al coprifuoco e solo avvicinandoti alla finestra di casa tua rischiassi di prendere una pallottola da un soldato appostato; se dovessi fare la fila per l'acqua (c'erano le foto sui giornali) rischiando anche qui di prendere una pallottola o magari un razzo sparato da un elicottero; se uno di questi razzi (le chiamano eliminazioni mirate) destinati a qualche presunto (sì, presunto, visto che
la sola fonte d'informazione è quella di Sharon, che tiene i giornalisti lontani con le armi: anche le troupe della CNN, che non è stampa comunista) uccidesse una ragazza di 14 anni, oltre a diversi civili (è successo ieri); se negli ospedali non ci fossero né medicinali né sangue per via dei posti di blocco; se le popolazioni di interi villaggi fossero umiliate per esempio venendo costrette ad erigere muri o scavare trincee solo per il gusto di infierire sul nemico (lo hanno raccontato diversi soldati israeliani dei molti che hanno denunciato questi scempi e rifiutato di prendervi parte); se i giovani
e le giovani della tua gente fossero così disperati da farsi saltare in aria con il nemico perché la vita non ha niente da offrire loro che violenza ed oppressione; se tu fossi arrestato nella tua casa senza alcuna delle garanzie che noi occidentali più o meno abbiamo per essere interrogato senza il rispetto dei diritti di difesa, picchiato, rinchiuso a piacimento del tuo carceriere (padrone), senza sapere perché, né fino a quando (lo fanno con tutti indistintamente, è successo a professionisti, imprenditori, persone lontane da qualsiasi possibile contatto con terroristi);se la terra dei tuoi nonni fosse occupata da decenni da un esercito straniero, ed alla tua gente fosse negato di darsi un governo proprio e liberamente eletto, in palese contrasto con il principio di autodeterminazione dei popoli; se la miseria della tua gente ti riempisse gli occhi di lacrime (la disoccupazione in Palestina è al 50% ed ormai ci si sposta a dorso d'asino nelle strade distrutte); se l'esercito invasore perpetrasse ai tuoi rappresentanti politici umiliazioni intollerabili (ieri il ministro dell'informazione Rabbo - noto per le sue posizioni moderate - ha visto la sua casa perquisita dai soldati mentre era a cena con moglie e figlia, ovviamente senza alcuna motivazione né ufficiale, né ragionevole) per il solo gusto di infierire sull'avversario:
COSA FARESTI?
Gli israeliani stanno commettendo dei crimini di guerra e contro l'umanità; rastrellano, uccidono, internano (stanno riaprendo il vecchio campo di internamento della prima intifada), tengono i Palestinesi in un regime di oppressione indegno di un paese civile:
QUESTA E' PULIZIA ETNICA E NESSUNO HA IL CORAGGIO DI DIRLO!!!! MILOSEVIC E SADDAM HUSSEIN HANNO CONOSCIUTO LE BOMBE DELLA NATO PER MOLTO MENO!!!! ED ANCHE MILOSEVIC INVOCAVA IL DIRITTO DI DIFENDERSI DAL TERRORISMO (L'UCK NON E' CERTO MENO SANGUINARIA DI HAMAS O DELLA JIHAD)!
Contano i loro morti ma non si curano di quelli che causano loro,
NE' DELLE FERITE CHE CAUSANO AI VIVI; ignorano sistematicamente le risoluzioni dell'ONU e non da oggi (da decenni); stanno attuando la loro soluzione finale contro il problema palestinese e per farlo indisturbati tengono fuori giornalisti ed esponenti politici di paesi amici (come l'Italia) i quali non levano una sola voce di protesta: non c'erano solo
i no-global o i 99Posse (se il cantante vuole chiamarsi Zulu è un suo diritto, credo), che comunque sarebbero cittadini italiani come tutti noi, ma parlamentari e sindacalisti, se non sono della maggioranza il nostro (?) governo non si sente offeso dal trattamento loro riservato, degno del Cile di Pinochet? Nessuno si rende conto che se gli Israeliani si ritirassero finalmente dai Territori, non ci sarebbe il terrorismo? Nessuno ricorda come mai è ripresa l'intifada 18 mesi fa?
E adesso l'ultima presa in giro: chiunque pensi queste cose è un razzista antisemita e se le manifesta in pubblico si schiera con i terroristi e "pone in essere una disinformazione che alimenta il terrorismo"!
COME NEL CASO MARCO BIAGI, CHI NON SI CONFORMA ALLA VERITA' UFFICIALE ISTIGA AL TERRORISMO ed in questo caso poi è anche un razzista!
Fino a che punto pensano di poterci prendere in giro???? Razzista è chi opprime e perseguita un intero popolo sulla base dell'appartenenza etnica (chi ricorda la conferenza internazionale sul razzismo di questa estate fallita per colpa di Israele?)!
E DICO DI PIU': CHI DAVVERO ALIMENTA IL TERRORISMO E' CHI SI MACCHIA DI QUESTI ATTI DI INCIVILTA', CHE IN UN POPOLO TENUTO IN CONDIZIONI DI MISERIAED ARRETRATEZZA CULTURALE COSTITUISCONO IL TERRENO FERTILE DEL TERRORISMO: GLI ISRAELIANI ACCRESCONO LA PRESSIONE, QUALCHE DISPERATO SI FA SCOPPIARE E LORO STRINGONO LA MORSA E COSI' VIA!
Ora la morsa è arrivata alla stretta finale: lo dicono le umiliazioni inflitte ad Arafat (che dovrebbe tenere a freno i terroristi quando è segregato in casa da mesi! Ma ci rendiamo conto?) e gli atti di guerra contro i giornalisti stranieri (ieri alle troupe americane sono stati riservati i proiettili di gomma); infine l'uccisione ieri di qualche decina di palestinesi: quasi tutti civili inermi, per uccidere 6 (!!!!) leader di Hamas (lo affermano loro, visto che la stampa è tenuta fuori). Ci vuole molto a capire che sono provocazioni per portare qualche altro folle a farsi esplodere ed avere così l'alibi per farla finita con Arafat? E' così da un anno e mezzo ormai!
Eppoi, se Israele davvero è in grado di conoscere le identità dei capi delle organizzazioni terroristiche ed i responsabili degli attentati, tanto da poter arrivare a loro ed ucciderli,
PERCHE' NON LI PROCESSA COME SI FA NEI PAESI CIVILI, INVECE DI TERMINARLI A SANGUE FREDDO?
AL TERRORISMO DEI DISPERATI SI RISPONDE COL TERRORISMO DI STATO E GLI OMICIDI MIRATI, CHE RESTANO OMICIDI! SHARON SI ASSUME LA RESPONSABILITA' DI DECINE DI OMICIDI A SANGUE FREDDO CHE L'ESTATE SCORSA COLPIRONO ANCHE UN ESPONENTE POLITICO PALESTINESE RITENUTO UN TERRORISTA: MA CHI DA' A QUESTA GENTE IL DIRITTO DI ERGERSI AD ACCUSATORI, GIUDICI E BOIA?
Se pensarla così vuol dire essere antisemiti allora è la fine del pensiero libero.
Sono io che prendo le distanze dal centrodestra e da chi pensa che gli Stati Uniti ed i loro amici abbiano sempre e comunque ragione.
All'ambasciatore di Israele che invita i pacifisti ad andare negli ospedali israeliani dico:
I PALESTINESI HANNO OSPEDALI SENZA MEDICINE E SENZA SANGUE, finché PERMETTERETE LORO DI AVERE OSPEDALI! ED IL VOSTRO ESERCITO NON HA RISPETTO NEANCHE DELLE AMBULANZE!
Questo ovviamente non significa essere dalla parte dei terroristi, né da quella di Arafat, la cui miopia politica ha avuto un ruolo significativo in queste tristi vicende; ma ciò non può autorizzare i suoi contraddittori a comportarsi da criminali di guerra, pretendendo poi anche la compassione dell'opinione pubblica mondiale, cavalcando l'arabofobia ormai imperante e nascondendosi dietro il cadavere dell'antisemitismo.
Francesco Maina
Caro Gianluigi e carissimi amici di
"Laici.it", sono d'accordo con voi e con i molti che si sono indignati per un certo pacifismo a senso unico.
La mia collega
Yochi Kugler, con la quale condivido lo studio all'Università di Bologna è attualmente in una cittadina di Israele per la nascita della sua seconda nipotina e ogni volta che so di un attentato io mi ritrovo a consultare con apprensione la carta geografica.
Quindi sono particolarmente sensibile a questo aspetto della situazione disperata di quella piccola regione del vicino Oriente.
Mi fa piacere constatare che qualche mese fa la sinistra moderata si sia dissociata da una manifestazione romana decisamente a senso unico.
Ma ciò non ci esime dal cercare di capire i problemi alla radice e di giudicare i fatti, indipendentemente dalle nostre idee politiche e/o religiose.
Le colpe della situazione odierna sono difficili da dividere tra una parte e l'altra; i nostri organi di informazione, naturalmente a seconda della tendenza politica, oscillano tra una parte e l'altra.
Io, personalmente, mi collego spesso con i siti di giornali israeliani e cerco di capire meglio la situazione (il sito dell'autorità palestinese mi sembra oscurato, perché non riesco più a contattarlo).
Così ho un'idea non mediata di come la pensano proprio in Israele e anche lì mi sembra che le opinioni siano molto varie.
Quanto al terrorismo, io non lo approvo e non lo giustifico, come non trovo giuste le rappresaglie che colpiscono anche la popolazione innocente, anche se questo è un discorso teorico che faccio dalla mia tranquilla casa di Roma, in una tranquilla domenica mattina. Se fossi laggiù?
Credo che, forse, condividerei le posizioni di alcuni Israeliani che mi sembrano particolarmente lucidi, consapevoli della situazione e non accecati dal desiderio di vendetta.
Soprattutto, gli articoli sul
"Corriere" della giornalista e scrittrice
Manuela Dviri (un'italiana che ha sposato un israeliano e ha perso un figlio soldato), come le idee di straordinari scrittori quali
Amos Oz e David Grossmann, mi sembra che riflettano la posizione più condivisibile, quella civile, lucida e dolorosamente consapevole di tanti Israeliani sulla situazione attuale e sulla inutilità della rappresaglia e sulla necessità del ritiro dai territori occupati, non solo dei carri armati, ma soprattutto degli insediamenti di coloni.
Se poi ti colleghi con il sito di
"Peace Now" puoi leggere tutta intera la lettera dei soldati della IdF che non vogliono combattere nei Territori Occupati che mi ha veramente colpita.
Tornando al terrorismo, trovo comunque antistorico indignarsi a senso unico; molto di quello che chiamiamo, ed è, terrorismo, per chi lo pratica è 'lotta armata' e, anche se ci ripugna ammetterlo, spesso ha dato i suoi frutti.
Non so quanto voi ricordiate dei vostri studi liceali, ma hai mai visto definire sui nostri libri di storia 'terrorista' il 'patriota' italiano,
Felice Orsini?
Eppure, costui lanciando 3 bombe a Parigi nel 1858 contro
Napoleone III, che considerava sostegno fondamentale della reazione in Europa, non riuscì a uccidere l'imperatore, ma fece 8 morti e 150 feriti tra la folla; ma il processo, e l'esecuzione che ne seguì, scossero l'opinione pubblica francese e
non furono estranei alla decisione di Napoleone III di allearsi con il Piemonte, per cui
dagli italiani Orsini venne dunque considerato un 'patriota'.
Per rimanere in un'epoca più vicino a noi, quando ero giovane noi italiani chiamavamo 'terroristi'
gli altoatesini che chiedevano l'autonomia e magari l'indipendenza, dall'Italia a suon di bombe.
Non con le rappresaglie, ma con la buona volontà,le trattative e le concessioni reciproche, sostenute dalla comunità internazionale, la situazione si è risolta, i 'terroristi' tirolesi sono un lontano ricordo e il
Sud Tirolo è oggi una delle regioni italiane in cui più amo andare in vacanza.
Tornando alla Palestina e a Israele: la pubblicazione da parte degli Inglesi del nuovo
White Paper del 1939, con la limitazione dell'immigrazione in Palestina in un momento in cui gli Ebrei tedeschi erano - e presto quelli d'Europa sarebbero stati - sottoposti alle persecuzioni e allo sterminio dai nazisti, suscitò l'indignazione dei sionisti; alcune minoranze di Ebrei in Palestina passarono all'azione terroristica per convincere gli Inglesi a ritirare le restrizioni all'immigrazione.
In prima fila ci fu
l'Irgun zwai leumi (Organizzazione militare nazionale), da cui si separò poi il
Gruppo Stern.
Sarebbe troppo lungo riproporre qui le vicende che seguirono (e anche quelle che precedettero); ma ricordiamo che certo le azioni terroristiche degli Ebrei (l'ambasciata inglese a Roma fudistrutta con un attentato da loro: io ero bambina, ma me loricordo come fosse oggi) e la forza di pressione
dell'Organizzazione sionistica, soprattutto negli Stati Uniti, convinsero gli Inglesi a rimettere il destino della regione nelle mani dell'ONU; nei mesi seguenti il 29 novembre 1947, data in cui l'ONU votò il piano di spartizione della Palestina, ognuna delle due parti cercò di assicurarsi più territorio possibile in vista dell'evacuazione inglese.
Iniziarono qui le azioni terroristiche dell'esercito arabo di liberazione contro le colonie ebraiche, a cui risposero azioni di rappresaglia e di terrorismo volto a
spingere gli Arabi alla partenza, anche con azioni estreme: un commando dell'Irgun, nella notte tra il
9 e il 10 aprile 1948 massacrò sistematicamente i 254 abitanti - uomini, donne, bambini - del villaggio arabo di Deir Yassin!
Il 14 maggio,
Ben Gurion proclamava la costituzione dello stato d'Israele che, con buona pace di Ostellino, è anche il prezzo pagato a risarcimento dell'Olocausto, non solo il "riconoscimento della dichiarazione Balfour"; la dichiarazione nel 1917 diceva "il governo di Sua Maestà guarda con favore all'insediamento in Palestina di un focolare nazionale (a national home) per il popolo ebraico" (La Società delle Nazioni ne chiese alla Gran Bretagna l'applicazione, quando nel 1922 le affidò il
mandato sulla Palestina, dimenticando di aver promesso agli Arabi una loro nazione in cambio dell'aiuto nella guerra contro l'Impero Ottomano).
"A national home" non è precisamente uno Stato! Israele nasce dunque anche dal terrorismo, così come nascerà dal terrorismo uno Stato palestinese, è inutile nascondersi i fatti.
In ogni caso, se vuoi saperne di più, e farti un'idea meno mediata, puoi leggere un bel libro di
M. Rodinson, Israele e le ragioni del rifiuto arabo, pubblicato da Einaudi nel 1969, che ha soprattutto una ricca bibliografia e che credo sia una delle analisi più lucide, documentate e obiettive che io abbia mai letto sulla questione.
Mi accorgo che quella che voleva essere una breve risposta è diventata una tirata lunghissima, ma che volete farci?
E' il difetto di chi insegna: finisce sempre col salire in cattedra!
Serena Cecchini
Carissimi amici di
"Laici.it", è sempre la stessa storia: per anni ci hanno insegnato ad essere tolleranti, a comprendere, a non assumere posizioni estreme (per chi poi), ad essere, insomma, politically correct. Ma poi i conti non tornano, ti accorgi che qualcosa non va, che
due aerei entrano nelle torri gemelle a New York e che ci sono due popoli ostaggio l'uno dell'altro, ma soprattutto ostaggi della paura di cambiare e vivere una buona volta in pace nella stessa terra.
Se in questa tragedia il torto e la ragione vanno equamente divise, come io penso, allora condivido il pensiero lineare di Ostellino: scudi umani anche nei bar, davanti alle discoteche, nei bus e nei grandi magazzini di Tel Aviv e Gerusalemme dove di ebrei, ma anche di palestinesi, ne sono morti centinaia solo negli ultimi tempi.
Credo che l'articolo di Ostellino, se possibile, sia ancora più dirompente di quello della
Fallaci, così urlato ed apparentemente estremo, perché pacato, logico, ineccepibile.
Lo chiameranno fascista o, se gli va bene, "intellettuale di destra" (che, forse è peggio).
Ma forse non gli importerà, poiché se prima lo leggevo volentieri soltanto, ora diverrà un vero e proprio punto di riferimento, il che non è un vantaggio poiché le certezze nella vita vanno costantemente messe alla prova e non bisogna mai seguire la corrente a rischio di finire nella cascata.
Una nota a margine del ragionamento: trovo allucinante che la questione mediorientale possa occupare solo metà dei TG che per l'altra metà non parlano che di Cogne, di Samuele e di una poveraccia che forse è pure innocente (e se è così: che Dio ci aiuti).
Francesco (Ciccio) De Cesare
Oltre cinque milioni sono oggi i palestinesi. La loro storia si identifica con quella terra che per novemila anni li ha accolti:
una distesa grande quanto la Sardegna, tra il Giordano, il golfo di Aqaba e il Mediterraneo.
Qui vivevano i primi palestinesi (discendenti degli abitanti originari della antica Palestina - Amriti, Cananei. Aramiti ed Arabi -) molti secoli prima che gli ebrei provenienti da est, occupasserro il centro ed il nord di questa terra
(1500 a.C.).
I palestinesi subirono la dominazione romana, si integrarono nel mondo arabo ai tempi dell'espansione islamica, mantennero sempre contatti con il mondo cristiano, ed una loro caratteristica fu la costante apertura a tutti gli influssi, sia musulmani che ebraici, che cristiani.
Essi subirono, ma non accettarono, la violenza fanatica dei
Turchi e quella dei Crociati, che proprio in Palestina si scontravano per il dominio del Medio Oriente.
Dagli anni '30 in poi, si svilupparono gruppi terroristici ebrei per ottenere dall'Inghilterra, che occupava quei territori, la nascita di una nazione ebraica indipendente, le principali sono
l'lrgoun (con a capo Menachem Begin) e lo Stern (tra i capi ricordiamo Shamir), che ricorrono ad azioni terroristiche,
anche all'esterno della Palestina.
Nel 1944, due loro agenti assassinano
lord Moyne, ministro residente britannico al Cairo e nel 1946 fanno saltare l'albergo
King David a Gerusalemme, dove aveva sede l'amministrazione britannica, causando
91 morti (tra i quali alcuni ebrei).
Gli inglesi, indeboliti ma desiderosi di conservare il loro
mandato, proseguirono la loro politica ambigua, nella speranza di mettere palestinesi e sionisti gli uni contro gli altri, ma il terrorismo continuò, nonchè' l'immigrazione clandestina.
L'Irgoun applicò per principio la tattica dell'occhio per occhio, dente per dente e rispose ad ogni vessazione britannica con grandi rappresaglie.
Per finire, una citazione:
"Il governo nazionale nell'arco di quattro anni spazzerà la miseria dei contadini. Nell'arco di quattro anni eliminerà la disoccupazione. A questo colossale compito di risanamento della nostra economia, il governo nazionale unira' l'attuazione di un piano di riasanamento dello Stato, delle regioni, dei comuni. In tal modo l'assetto federativo dello stato diverra' rigorosa e solida realta'. I partiti marxisti e fiancheggiatori del marxismo hanno avuto 14 anni a disposizione per dimostrare la propria capacita'. Il risultato e' un campo di rovine. Concedete a noi quattro anni e poi giudicherete."
Dal
"Contratto di Hitler col popolo tedesco" (1933)
Maurizio Gaeta
Stimatissimi amici di
"Laici.it", sulla questione mediorientale vorrei fare qualche riflessione e, anche se condividiamo molte idee, questa volta voglio essere un po' "bastian contrario" e ragionare con qualche paradosso.
Sul fatto che ci sia un certo giornalismo di parte e militante, inutile dirlo, sfondiamo una porta aperta.
Sul fatto che sia da condannare qualsiasi tipo di violenza armata che provenga da parte israeliana o palestinese è fuor di dubbio: mi fanno infatti schifo sia i soldati armati che i kamikaze.
Ritengo tuttavia che il popolo israeliano debba sentirsi tranquillo di poter girare x le strade senza il timore di attentati, anche se vorrei che pure il popolo palestinese si possa sentire libero di poter circolare in uno Stato proprio senza essere perennemente controllato dai soldati israeliani.
A questo punto, mi pongo e vi pongo qualche interrogativo:
1) Forse in questo momento storico la stampa o certa stampa appoggia quelli che in un certo senso sono i più "deboli"? -Quelli che stanno subendo un'aggessione? -Quelli che ad un esercito ben organizzato e ben armato non hanno altro che la risposta dei fanatici religiosi kamikaze?
2) Ma se la Palestina fosse stata, come Israele, "bellicamente" organizzata ed in grado di rispondere, non credete che ci avrebbe pensato non una, ma cento volte, a fare quello che sta facendo?
3) Perché gli Usa hanno atteso così tanto prima di condannare la vergognosa avanzata israeliana? Forse perchè gli ebrei oltre ad essere degli alleati, sono anche e soprattutto una comunità potentissima (in termini economici naturalmente) negli USA, mentre i palestinesi sono soltanto dei "poveracci" alla ricerca di un riconoscimento del loro stato che, aggiungo io, è sacrosanto?
4) Siamo poi così sicuri che la politica condotta dall'attuale governo di Tel Aviv voglia realmente la pace?
5) Quanti saranno gli israeliani che non condividono quello che sta facendo Sharon?
6) Gli israeliani vogliono realmente un processo di pace?
Non dimentichiamo, infatti, che il leader politico israeliano
Rabin, autore grandioso di un processo di pace senza precedenti con Arafat, è stato ucciso per mano di un estremista di destra ebreo, non certo per mano di un kamikaze palestinese.
7) La svolta politica che si è avuta in Israele con la vittoria di Sharon, non ritenete che possa essere sintomatica?
E il fatto che, molto spesso,
Sharon sia in contrasto con "la colomba" Peres cosa vorrà dire?
8) Vi sembra normale che Arafat (il capo di uno Stato, checchè ne pensi Sharon), sia costretto a non potersi muovere dal suo quartiere generale, o di quello che ne rimane, perchè il medesimo Sharon ha deciso di mandare dei carri armati impedendogli qualsiasi movimento?
Credete che sia questo il modo di debellare il problema degli uomini-bomba?
La risposta potrebbe essere che Sharon fa bene, perché Arafat è ritenuto il mandate dei kamikaze o perché si ritiene che protegga i capi delle varie organizzazioni terroristiche.
Potrà anche essere vero, ma
non è così che instaura un dialogo di pace.
La pace e il dialogo non si instaurano con i soldati, i carri armati, i posti di blocco, il coprifuoco e la minaccia di armi; naturalmente neanche con i kamikaze, questo è fuor di dubbio, ma allo stato attuale delle cose ho davvero seri dubbi che Sharon voglia la pace, forte anche del fatto che se l'america bombarda l'Afghanistan per scovare e distruggere dei terroristi, figurati se lui non si sente autorizzato a farlo in casa sua, dimenticando però che non tutta la casa è proprio sua.
Antonello Mazzon
Caro Cassandra, sono d'accordo! L'articolo di
Ostellino, così come quello di
Galli della Loggia, pubblicati di recente sul
"Corriere", mi sono parsi molto seri ed equilibrati. Saluti.
Ugo F. Tesler
Carissimi Cassandra, Lozzi, Sacco e Lussana, di fronte allo stillicidio dei morti e dei ferimenti che la tragedia israelo-palestinese genera ogni giorno, sempre identica nella sua miope crudeltà, potremmo noi abbandonarci all'insensibilità, all'indifferenza, alla triste constatazione del "scannatevi tutti"?
Come deve comportarsi un cittadino comune davanti alle immagini che raffigurano terre sventrate e profanate, alla visione di luoghi dove la vita non ha più valore, né dignità?
E' chiaro che esistono due livelli di interventi: da una parte ci sono i politici, i diplomatici, i negoziatori, le autorità civili e religiose, insomma tutti coloro che sono investiti di un qualche potere che essi dovrebbero esercitare affinché questa lunga eclissi della ragione abbia fine; dall'altra, c'è il mondo intero, che tra la sorpresa ed il raccapriccio osserva gli eventi come uno spettatore di fronte agli atti di una tragedia che si rappresenta davanti ai suoi occhi.
Per noi che apparteniamo a questa seconda trincea esiste un'etica, un codice di comportamento non meno impegnativo di quello che dovrebbe essere osservato dai capi- nazione e dai capi-popolo e che dovrebbe impedire di seguire la facile scorciatoia dell'indifferenza e del menefreghismo.
"Che vuoi di più che avere il solo guaio delle nubi/e non vedere mai chi soffre e muore e/non hai dubbi tanto è lontano e non lo sai" (C. Baglioni).
Questa nostra
"etica laica" ci impone di capire che cosa sta accadendo, di studiare la storia delle tormentate relazioni tra due popoli destinati a convivere, di comprendere cos'è l'ebraismo, come è nata Israele, cos'è il terrorismo suicida dei kamikaze...
Porsi delle domande, coltivare il dubbio della conoscenza. La nostra etica ci consiglia di non innalzare nuove inutili barricate tra chi è a favore d'Israele e chi promuove la causa palestinese, di non fomentare divisioni artificiali solo per il gusto di essere faziosi anche su questa vicenda, per non lasciarsi sfuggire l'occasione di pretendere di essere dalla parte giusta, dalla parte dei giusti.
In questa questione, non so davvero chi siano i giusti, se esiste una parte di ragione o una ragione di parte, ma so che la disputa sanguinosa riguardante quell'esigua porzione di terra merita attenzione, comprensione, perché assurge a simbolo di come l'umanità non cambia mai, che Caino ed Abele si riproducono in continuazione, che il rimedio non ha concluso l'effetto curante che già degenera in un altro malanno.
Dopo un mese, un anno o un secolo, Israele e Palestina avranno il possesso dei rispettivi territori su cui esercitare quella sovranità tanto agognata: la storia induce a credere che tale sarà la conclusione, ma ignoriamo il calvario attraverso il quale si giungerà ad essa.
Mentre per Israele è in gioco l'esistenza (fin dalla nascita, lo stato ebraico è stato osteggiato dai paesi arabi, molti dei quali, ancor oggi, non lo riconoscono in quanto la stella di David rappresenta un corpo estraneo da espellere) per la Palestina si tratta della sopravvivenza, di salvaguardare quel fragile simulacro di Stato che si è coagulato intorno all'ambigua figura di Arafat che a giorni alterni o è complice dei terroristi o è artefice della pace.
E se allora torniamo ai due livelli tracciati all'inizio, ci accorgeremo che l'esito dello scontro dipende anche dal resto dell'umanità, non solo da Sharon ed Arafat.
Per quanto attiene a coloro che detengono le leve del comando sarà essenziale operare da mediatori senza avere secondi fini, senza perseguire la pace perchè si spera di ricavarne un vantaggio.
Sotto questo profilo gli Usa non sempre possono vantare la coscienza pulita:
Clinton, all'approssimarsi della scadenza del suo secondo mandato, lavorò alacremente affinchè l'allora premier israeliano,
Barak ed il leader palestinese
Arafat raggiungessero un accordo.
Il tentativo si rivelò vano e nel giro di qualche mese sia Clinton che Barak, per diverse ragioni, uscirono di scena.
Tuttavia, quella mediazione sembrò già fallita prima ancora che si aprissero i negoziati, poiché avveniva quando il processo di pace, consacrato nella stretta di mano del 1993, era già irrimediabilmente incrinato.
Il presidente statunitense ambiva ad un posto nella storia, ma il suo pressing non ha fatto altro che alimentare aspettative e nuovi rancori cosicchè si dovette ripartire da zero nel momento in cui il
"falco Sharon" subentrava a Barak.
Sia pur con un'impostazione differente, anche
G. W. Bush rischia di considerare la soluzione dell'enigma israelo-palestinese solo in funzione degli interessi degli Usa in quell'area, perché il sostegno di Israele è ricercato non solo perchè si tratta di mantenere l'appoggio della potente lobby ebraica, ma anche perché è un prezioso alleato (unico Stato non arabo e democratico della zona) quando la guerra la terrorismo conoscerà la sua seconda fase:
l'attacco all'Iraq.
Su tali basi, gli Usa perseguono una pace solo strumentale, adattabile ai notevoli interessi geopolitici ed economici che l'unica superpotenza del globo coltiva nel Vicino e Medio Oriente.
Ciò non significa che l'intermediazione degli Usa non sia utile o addirittura necessaria, ma che essa non può concepire una pace a tavolino: il ruolo non è quello di un sensale che mette d'accordo le parti, perché sa che guadagnerà da una loro intesa, ma quello di un custode dei valori democratici in nome dei quali i contendenti dovranno raggiungere un compromesso.
Un peso decisivo sarà poi da attribuire ai paesi arabi che più che appoggiare i fratelli palestinese sono animati dall'ossessione di punire Israele perché democratica, occidentale, consumistica, in una parola moderna.
Nella contesa tra estremisti e moderati, integralisti e laici, si giocherà buona parte del futuro di quelle nazioni che dovranno scegliere tra il conservatorismo della ragione e il progresso della democrazia.
Tra gli attori esterni va annoverata pure
l'Europa che nelle gravi crisi internazionali manifesta il suo
stato di inferiorità: invece di agire come un coro ad una voce sola ed autorevole, si surriscalda in cortei e manifestazioni dove i fantasmi dell'antisemitismo e del sionismo si riaffacciano in spregio agli insegnamenti dell'ultimo conflitto mondiale.
Eppure, fin dai
mandati britannici, proprio l'Europa è corresponsabile nell'aver favorito l'esplosione della diatriba tra due popoli che rivendicano due Stati.
Ma, come detto, la tragedia mediorientale va osservata nell'ottica di uno come noi che la percepisce a distanza, sotto il filtro dei media.
Mi domando cosa ne sappia di antisemitismo o ebraismo il ragazzetto che sfila nelle manifestazioni, più o meno spontanee, organizzate nelle ultime settimane.
Razzismo, xenofobia, intolleranza, da un lato e indifferenza e apatia, dall'altro, hanno lo stesso genitore: l'ignoranza.
Finchè essa non verrà combattuta, il tumore che lacera Israele e Palestina rischia di presentarsi in qualsiasi altro punto del pianeta, in un eterno ritorno diabolico nel quale gli uomini perseverano negli stessi errori ed orrori.
Potrebbe sembrare contraddittorio criticare proprio quegli studenti, impiegati, professionisti, cittadini di varia estrazione sociale che prendono parte a movimenti, che fanno sentire la propria voce, innalzando slogan e bandiere.
Ma è bene operare
la distinzione tra schieramento e partecipazione, perché ho l'impressione che, nelle piazze e per le strade, ricorra più il primo che la seconda.
Non si tratta di una questione secondaria: gli schierati spesso rispondono all'appello delle fazioni in cui militano, così l'uomo 'di destra' non può che stare dalla parte d'Israele, mentre quello 'di sinistra' inneggia alla libertà per il popolo palestinese.
Sono i "professionisti" della protesta: a loro non importa la causa, ma la ribalta…
Si può invece partecipare senza schierarsi; si tratta allora di compartecipazione, esercitando la nobile virtù della compassione che rifiuta il clamore, l'ostentazione.
Documentarsi, leggere, combattendo il tarlo del pregiudizio e dell'ignoranza; discutere ed argomentare, superando il demone dell'arroganza; aiutare il bisognoso, sia esso arabo o israeliano, nelle svariate attività del volontariato e del soccorso, ma in silenzio, per favore, senza telecamere che incorniciano il radioso sorriso di chi si sente forte perché aiuta.
Cos'altro fare poi? Immagino che in una mattina, in una qualsiasi scuola delle nostre moderne cittadine un insegnante proponga:
" Bene, ragazzi! Oggi parliamo di quel che succede in terra d'Israele e Palestina. Voi che ne pensate, che ne sapete"?
Immagino che nel corso dei nostri ricchi pranzi qualcuno, interrompendo il pettegolezzo che si consuma sui temi consueti del calcio, della moda, dei divorzi dei divi del cinema e dell'effimero in generale, abbia il coraggio di far andare di traverso il boccone al compagno vicino, domandando:
"Trovi normale che israeliani e palestinesi si uccidano per uno spicchio di terra, all'alba del terzo millennio"?
Immagino che una sera, nell'orario di massimo ascolto, milioni di teste vuote, anzichè trangugiare l'anestesia della ragione propinata da tanti programmi e fiction, si incollino al video dove scorre un documentario che ripercorre oggettivamente le tappe della storia dei due popoli, per capire che essi non sono alieni sbalzati da un altro punto dell'universo.
Forse si tratta di utopia, ma per gli uomini di buon senso e buona volontà non vedo altro comportamento da seguire, se non quello di domandare e domandarsi chi sono quei fratelli che nel cortile qui accanto si stanno azzuffando.
Un saluto a tutti.
Alessandro Perrone