‘L’amore e il potere’ di Bruno Vespa, edito da Mondatori, è l’esempio classico di un giornalismo parassitario che da troppo tempo, ormai, infesta il panorama editoriale italiano: raccontare gli amori ‘segreti’, “quelli da non dire” come direbbe Ivano Fossati, di alcuni personaggi politici, significa semplicemente continuare a cercare la morbosità dei lettori senza fornirgli risposte reali intorno ad importanti questioni sociali di questo Paese. Nel caso particolare di Bettino Craxi, non tenere in debita considerazione quei danni morali che determinate rivelazioni possono avere sulla sua famiglia dimostra non soltanto un’autentica mancanza di rispetto nei confronti di fatti e persone, ma la totale truculenza di un ambiente in cui vige ormai, imperituro ed immodificabile, il motto: “Passata la festa, gabbato lo Santo”! Ciò risulta questione ormai determinante per comprendere molte cose. Ad esempio come, nella vita, possa essere più affidabile un nemico leale rispetto ad un amico che, appena volti le spalle, ti pugnala senza scrupoli. Ma è questo il grave fenomeno degenerativo che sta causando il malessere, anche e soprattutto psicologico, di questo Paese. Tanti amici di Bettino Craxi, dopo la sua uscita di scena si sono giovati delle sue stesse disgrazie giudiziarie, politiche ed umane. E continuare ad ‘ammazzarlo’ rimane la metodologia principale per sponsorizzare se stessi, infangando, indirettamente, l’immagine di un leader che la Storia, invece, si sta incaricando di recuperare con equilibrio e sincerità. La qual cosa significa sostanzialmente ‘sbattersene’ della questione di come il suo esilio ‘forzato’ in Tunisia abbia finito col distruggere la politica italiana, costringendola a ricorrere alle sue terze e quarte fila o, addirittura, a vedere la discesa in campo di un imprenditore – editore con un’eccessiva influenza sull’intero panorama dell’informazione politica nazionale. Di qui, tutto il resto: giornali diretti dagli editori anziché dai direttori, vallette e attricette di ‘mezza tacca’ mandate in Parlamento, una totale legittimazione dei più variegati metodi ‘premiali’ delle distinte professionalità, lontani intere galassie da ogni ‘straccio’ di meritocrazia. Il tutto, naturalmente, da intestare, implicitamente od esplicitamente, a Bettino Craxi in quanto principale capostipite di tali fenomeni degenerativi, richiamandolo ipocritamente come grande leader libertario. Peccato, però, che il messaggio sotteso nel lavoro di Vespa - e che ogni lettore coglie immediatamente - non è affatto quello di un Craxi impegnato a smascherare le ipocrisie del ‘familismo’ cattolico-borghese italiano, bensì quello di un ‘libertinismo’ bello e buono, di una liceità comportamentale anarcoide e qualunquista al di fuori di ogni verità, nonché tesa a dimostrare come, in Italia, tutto funzioni tramite raccomandazioni o relazioni sessuali che infangano persino la profondità di quei sentimenti che una qualche ‘sbandata’ – eventualità che può sempre capitare - ti permette di provare. Inveire contro Bruno Vespa significa fargli della pubblicità involontaria? Fa niente: almeno lasciatemi la soddisfazione di scrivergli, a chiare note, che un giornalismo di tal genere provoca solamente l’indegnità, morale e professionale, di chi lo fa e di chi lo edita.