Dovendo raccontare la storia del
narcotraffico sudamericano, la prima
telenovela aveva man mano snaturato le proprie caratteristiche di
soap opera: ai triangoli amorosi, ai melodrammi e ai disvelamenti, sono subentrate le
tragedie e le
efferatezze. Pertanto, già nella
telenovela classica, i personaggi erano definiti in modo
standardizzato e tutto si muoveva verso un
lieto fine. Ma nella sua
sfumatura 'narcos', l’impressione era già quella di una
'ibridazione' che ha finito col
contaminare il genere, definitivamente.
Il punto della verosimiglianzaPertanto, nella
narco-telenovela, la ricostruzione storica impose uno
statuto di verità e di
verosimiglianza: la storia del narcotraffico richiedeva la capacità di legittimare la storia, svelando
aspetti poco conosciuti dei fatti accaduti. La
ricerca della verosimiglianza pretendeva, inoltre, una certa
cura dei particolari, visto che lo spettatore, riguardo ai fatti anche dolorosi della vicenda, ne sentiva il bisogno. Sebbene non si trattasse di un
film storico o di un
docufilm, le risorse che poterono essere inserite - e che note note allo spettatore - come le
foto originali o le immagini estratte da
telegiornali dell’epoca, già denotavano la
'coppia di fatto' tra
ricerca storica e
fiction.All’inizio fu 'Escobar: el patron del male'
'Escobar: el patron del male' (titolo originale: 'Pablo Escobar: the drug lord', ndr) risultò, alla fine, una
narco-telenovela prodotta dall’emittente colombiana
'Caracol Tv', composta da
113 puntate trasmesse nel
2012 (su
Netflix, sono rintracciabili
78 episodi in lingua originale con i sottotitoli,
ndr). I personaggi si aggirano fra
eventi delittuosi e
intrecci amorosi, in un tempo narrativo
'espanso' tra gli
anni '80 e i primi
anni '90 del secolo scorso
(74 episodi da 45 minuti ciascuno nella 3 stagione, ndr). Nella narrazione principale confluiscono delle
micro-narrazioni secondarie, che rendono la struttura più complessa. A differenza della
telenovela, la
serie tv sul narcotraffico ha un numero minore di
capitoli/episodi e i personaggi mantengono una maggior
complessità psicologica, un ritmo meno lento e si rifanno al classico
film di
azione-poliziesco.
Il melò prima degli omicidiInsomma, la narco-telenovela
'Escobar: el patron del male' si affidava a uno schema narrativo ben collaudato, tutto sommato, che evidenziava marche temporali posizionate in punti strategici della storia: gli ultimi abbracci fra le future vittime di
Escobar e i propri familiari, si declinano in una
ciclicità inesorabile e
melodrammatica, accompagnata da musiche malinconiche. Ben presto, nelle serie tv e nei film successivi, il
'melò' che precedeva gli omicidi verrà sostituito da una
forte 'action' (meno latina e più nord americana) che muterà il modo di rappresentare il
boss del
'cartello' di
Medellin. Macchina da presa e l’uso del montaggio alternato
Tra gli essenziali movimenti di macchina in uso durante il girato di
'Escobar: el patron del male', vi era, inoltre, un
montaggio alternato, utilizzato per contrapporre i vari binomi
bene/male, passando dai
funerali dei giusti ai
cattivi, ai
fedeli di
Pablo che festeggiano ascoltando la radio o guardando la televisione: ancora siamo in quella
zona ibrida nella quale il
boss di Medellin dice alla sua amante, tra le lenzuola, di non essere un
'mostro' e che i
politici sono i
veri delinquenti.Narcos: la serie tv
Sia come sia, in
'Narcos', serie tv del
2015 prodotta da
Netflix, il punto di vista è invece, quello dei
'gringos': tre stagioni da
10 episodi che raccontano le vicende del
grande criminale secondo la versione di un
agente della Cia, Javier Pena (l’ottimo
Pedro Pascal, ndr), che cerca di catturare il
boss per assicurarlo alla
giustizia statunitense. A differenza del
'Escobar: el patron del male', dove il parlato degli interpreti è in
lingua originale, in
'Narcos' la voce di
Escobar (doppiato da
Wagner Moura nelle prime due stagioni, eccellente attore brasiliano che abbiamo ritrovato anche in
'Civil War', ndr) e dei vari personaggi colombiani, è in
lingua spagnola, mentre i
'gringos' americani sono doppiati.
Elementi transmediaticiGli
elementi trans-mediatici, appena accennati nella versione
'telenovela-narcos', sono le foto che il
detective della Dea mostra
all'ambasciatrice degli
Stati Uniti, al fine di mettere in evidenza i collegamenti tra
narcotraffico e
'sandinisti' centoramericani tramite i
video originali dell’epoca, tra i quali le dirette televisive e i discorsi del
presidente Reagan quando annunciò l’inizio della
guerra contro il
cartello colombiano. Queste
tracce documentarie sono percepite dello spettatore come un
'continuum' con l'esperienza della
vita quotidiana.Due versioni di Pablo Escobar: telenovela e serie tv
Insomma, il soggetto storico
Pablo Escobar, racchiuso nel celebre motto
“plata o plomo” (“soldi o piombo”, ndr), slogan di colui che poteva corrompere chiunque, ricorda altre
figure storiche della
malavita mafiosa: il personaggio, traslato dalla storia reale, diviene
'paradigmatico'. E la traduzione dalla realtà nella
fiction viene resa attraverso alcuni
elementi fondamentali: la
fisiognomica, la
gestualità, il
tono della voce e
l’accento linguistico. Le diverse
prove attoriali devono essere
riconoscibili dal
grande pubblico e
riconducibili al boss, dando vita a una vera e propria
'maschera-viso'. Il
Pablo Escobar della telenovela, interpretato dal mitico
Andrea Parra, fu abilissimo nel gestire
corporalità e
accento, sorrisi smaglianti e
beffardi (gli stessi delle immagini di repertorio
dell’Escobar che ride in faccia all’agente della Cia quando fu scattata la prima foto segnaletica,
ndr),
sereno nella sua
malvagità, poiché
carismatico, paradossalmente rassicurante, persino
meticoloso, quasi
scientifico: a lui non sfugge nulla quando annota sul suo taccuino i nomi dei
condannati a morte, senza mai dimenticare un
'pater cattolico' dopo le esecuzioni: anche il
rito pretende il proprio spazio. Al contrario, nella serie tv
'Narcos', l'attore
Wagner Moura interpreta un
Escobar più
'lunare' e
torvo, in alcuni momenti quasi
sgomento per aver perduto il proprio
potere assoluto, conclusione prevedibile vista la
pressione politica e
militare esercitata dagli
americani, attraverso le investigazioni della
Dia. La sua postura, con il passare degli episodi, è sempre più
deformata, denotata da uno
sguardo abbacinato e non più
fiero, meno decadente e
più maledetto.I film
In
'Escobar' (Escobar: Paradise lost del 2014), il grande
Benicio Del Toro interreta un’altra versione del
narco-trafficante internazionale, che il regista italiano,
Andrea Di Stefano, gli ha cucito addosso. La storia narra di uno
straniero che entra in contatto con il
clan del boss: il giovane canadese
Nick Brady (Josh Hutcherson, ndr), il quale s'innamora della nipote del criminale,
Maria (Claudia Traisac). Man mano che passa il tempo, il giovane, costretto a compiere un delitto, diventa egli stesso un
assassino. Per la prima volta, un elemento esterno entra a far parte della
'famiglia mafiosa', ma la distanza dalla
verosimiglianza della prima
telenovela-narcos diventa
siderale. Un
Benicio Del Toro, in versione
'Cuore di tenebra' di
Konrad, che
impartisce esecuzioni senza
batter ciglio. E la sequenza della folla che lo applaude e alla quale lancia denaro mentre si dirige nella sua
'prigione dorata', sa tanto di un
'dopo', di superamento di quel
"plata o piombo" a cui resta solo il
'panem'.Un Escobar a misura di Javier Bardem
Nel film
‘Escobar: il fascino del male’, il regista spagnolo
Javier Bardem mette in campo una versione ancor più
'personalizzata', dove non c'è tutta quella somiglianza che ci si aspetta. Rispetto alle altre
'maschere-viso', quella di
Javier Bardem è
surreale, goliardica e
istrionica. Un film centrato più sulle abilità del protagonista e della coprotagonista,
Penelope Cruz, che interpreta il ruolo della giornalista televisiva
Virginia Vallejo, amante storica del
patron. La ricostruzione dello
studio televisivo, con una
Virginia Vallejo che parla agli spettatori interpretando se stessa, sebbene sia la
'summa' della ricerca di
verosimiglianza, relega
Pablo Escobar nella
'gabbia' di una ricostruzione tutta
fiction e
'mazzate'.