In
Barbie (2023), precedente film diretto da
Emerald Fennell, quest’autrice-regista, grazie all’umanizzazione del giocattolo più famoso al mondo, si era addentrata in una trama vagamente
'socializzante', arrivando a far parlare di sé come autrice di un
Manifesto del femminismo. In Saltburn, invece, lo
script è più labile e non sempre fluido. Il tema
dell’ascesa sociale non è privo di insidie: dallo
scalatore seriale della
'middle class', Oliver Quick (ruolo che va decisamente stretto al talentuoso
Barry Keoghan,
ndr) all’aristocratico mercuriale,
Felix Catton (un maliardo Jacob Elordi), dai
protocolli anaffettivi agli
isterismi di un
'interno di famiglia' sgangherato, il film rischia
d'impantanarsi in uno
schema didascalico, fatto di continue citazioni di genere (si pensi al costume da satiro di
Oscar durante la festa a palazzo a
tema ‘shakespeariano’, ndr). L’eroe della
'middle class', insomma, non è più colui che
si fa da solo, in un'epoca di globalizzazione:
Oliver non ha una sua
identità e decide di
'rubare' quella altrui. Per amore o per forza (o per sfida), quel potere sarà suo
(come non pensare a ‘Il Talento di mister Ripley’ di
Anthony Minghella del 1999?). Per farlo, dovrà entrare nel
'castello-pregiato' e succhiare da dentro la
linfa vitale del
'nemico di casta', che all’inizio lo sottopone a un rito di
iniziazione: qui l’autrice-regista prende in prestito la
letteratura novellistica, dove l’eroe vive un periodo di tempo (qui scandito dalla stagione estiva) in un’abitazione fuori città, per interagire con altri personaggi,
subalterni, pari o
superiori che siano. Un tempo scandito da
intrighi, esperienze erotiche e racconti più o meno
evocativi. Sta di fatto, che il film rischia di passare da un genere all’altro
(dal thriller al dramma classico, dal noir alla commedia introspettiva) in maniera troppo
repentina. Alcuni aspetti della trama, fanno pensare al celebre
Funny Games (1997) di
Michael Haneke. Tuttavia, rispetto all’opera del
1997, dove i padroni di casa vengono sequestrati da inquietanti
ragazzi 'bene', in questo caso
Oliver non sequestra affatto i suoi ospiti. Anzi, è stato
prescelto come fosse un
silente 'cavallo di Troia'. Dunque, rispetto alla
vis cieca e
improvvisa che si potrebbe scatenare nella trama di un sequestro prolungato,
Saltburn si decolora in un lento
avvelenamento degli animi.
Perché è un azzardo il confronto con ‘Teorema’Non tutti i film in cui un personaggio entra in una
dinamica familiare e tenta di distruggerla dall’interno, fagocitando i personaggi, debbono per forza esser posti a confronto con
‘Teorema’ di
Pier Paolo Pasolini (in questo caso, il confronto è addirittura impietoso,
ndr). Semmai la regista,
Emerald Fennel, ci dice come nel
mito si possano ritrovare
risposte a ciò che oggi non si ritrova più: una gran bella
fotografia e la
musica da
successo discografico nel finale. Effetti speciali di
un’opera non del tutto riuscita.