In merito alle
benedizioni delle
coppie gay, noi riteniamo si stia facendo solamente una gran
confusione, che palesa soprattutto un atteggiamento
discriminatorio da parte di alcuni ambienti del
clero cattolico. La materia, legalmente, appartiene
all'ordinamento giuridico del Vaticano, in particolare al
Dicastero per la dottrina della fede, che ovviamente non prevede lo strumento della
‘class action’. Ecco il vero perché dell’obiezione di
Papa Francesco di questi giorni, nei confronti dell’intera comunità
Lgbtq. La quale, anche a titolo provocatorio, aveva chiesto
un’autorizzazione in senso più
ampio. Siamo cioè di fronte a
un’obiezione che genera ulteriori
perplessità, perché così facendo, oltre a considerare le cosiddette
‘Unioni civili’ dei
matrimoni di serie B, si finisce col dividere i fedeli stessi in
sottospecie e in
sottocategorie umane. Cosa già evidente nelle precedenti dichiarazioni circa la
durata di queste
‘benedette benedizioni’, che hanno oscillato tra i
10 e i
15 secondi, quasi si temesse una sorta di
contaminazione formale che appartiene interamente alle
gerarchie ecclesiastiche e non al mondo
Lgbtq. Anzi, forse sono proprio le
coppie gay quelle che devono temere di
contaminarsi dal
virus della
sessuofobia ideologica e
religiosa. Anche se risulta pur vero che la
‘ratio’ di questa
‘Dichiarazione di fiducia supplicans’ è applicabile in senso
individuale, la questione rischia di diventare comunque materia di
diritto internazionale. E una
Corte europea dei diritti dell’Uomo che prendesse in esame un ricorso qualsiasi, sia se presentato da
singoli fedeli omosessuali, sia dalla comunità
Lgbtq nel suo complesso,
si troverà sempre. Ed essa non tarderà a individuare la propria
ragion d’essere, anche solo per lo
‘sfizio’ di evidenziare il
ritardo giurisprudenziale della
Chiesa di Roma e di tutte le altre
religioni. Le quali, allo stesso modo delle
ideologie politiche e dei
nazionalismi, lungo il corso della Storia non hanno fatto molto per
migliorare la nostra
società. Al contrario, noi riteniamo di trovarci di fronte a un
fallimento che sta diventando sempre più
evidente, giorno dopo giorno. In fondo, di simili
discriminazioni è pieno il mondo, a cominciare da quelle di
classe o di
razza che il nostro stesso
modello di sviluppo continua a sfornare a
‘getto continuo’. Esse provengono da forme di
arroganza superomista, da una
trascendenza mal intesa nei confronti della
norma giuridica, dal credersi, in un modo o in un altro, al
centro dell’universo. Siamo cioè di fronte a uno
sforzo formale di
autogiustificazione moralistica della propria
‘ignorantia legis’, che ci induce alla
compassione più che a una
tranvalutazione normativa di una
Chiesa messa in difficoltà più dalle proprie
reazioni interne, che da dei
veri nemici esterni, comprovando inoppugnabilmente il proprio
dibattersi in una
crisi esistenziale assai profonda. Una
Chiesa nemica di se stessa, così come una
politica, una
società e
l’intero mondo. Si tratta di una crisi che non coinvolge solamente
l'ambiente ecclesiastico, ma tutte quelle
visioni e
culture ‘statiche’ che si sono accorte, tardi e male, quanto il
diritto sia andato avanti lungo la strada di una
tutela responsabile del
singolo individuo. Siamo ancora
‘zavorrati’ dal
Novecento, insomma. E non si riesce a comprendere che la
norma morale non sempre si sovrappone automaticamente con quella
giuridica, perché la
verità non è affatto
automatica e bisogna fare lo sforzo di
continuare a cercarla. Per quanto ci riguarda, noi preferiamo
sospendere ogni forma di giudizio, in attesa che giunga l’ennesima
‘folgorazione’ lungo la
via per Damasco. Ma ciò non ci esime dall’esprimere tutta la nostra
perplessità nei confronti di un mondo, quello
religioso ma più in generale
culturale e
politico, che proprio non riesce a comprendere la propria
distanza da ogni
principio di civiltà, che non riesce più a risalire sul
‘cavallo’ degli Ebrei e dei Gentili. Ribadiamo: non è solamente un problema delle
religioni, ma di tutte le
culture ideologiche in senso più ampio, fissate attorno a
schematismi ormai divenuti
troppo rigidi di fronte a una società che corre a
200 chilomentri all’ora. E in ogni caso, noi consigliamo alla comunità
Lgbtq di proseguire sul terreno della
denucia civile, perché ne potrà trarre solamente
giovamento. In termini di
immagine e non solo: essi dimostreranno, di fronte agli occhi del mondo, tutta
l’ingiustizia subita durante i lunghi millenni
d’inciviltà giuridica e
morale che sono alle nostre spalle. Fino a costringere
l’umanità stessa a tornare veramente all’origine dei quei
valori di cui tanto ci si
riempie la bocca. Nel frattempo, tutto ciò sarà anche l’occasione per farsi delle
sonore risate: quelle che seppelliscono le
contraddizioni degli uomini. E che, di certo, non appartengono alle
responsabilità di Dio.