Senza addentrarci nell’estetica di un film (che ci porterebbe ad analizzare scelte metodologiche, più o meno etiche), chiediamoci semplicemente se sia necessario che si consumino veri atti di natura coercitiva su un set cinematografico. Qualunque sia l’intento dell’autore che inserisce sequenze cruente per renderle di forte impatto emotivo, chiediamoci, da spettatori, se ne abbiamo veramente bisogno. Nell'era digitale per eccellenza, sempre più sequenze di film vengono realizzate in studio e modificate in post-produzione, attraverso l’uso della tecnica Cgi (Computer Generated Imagery). Ciò al fine di realizzare scene di grande effetto (come figure umane sospese sopra un precipizio o giganteschi cataclismi) con ben altri costi di produzione e senza dover mettere in pericolo nessuno. Che sia finalmente possibile liberare anche gli animali dal fardello di essere, loro malgrado, protagonisti di eventi delittuosi?
Crudeltà e cinema: la morte degli animali per esigenze di ripresa
Negli ultimi decenni, è comparsa sullo schermo la scritta:
“Durante la lavorazione, nessun animale è stato maltrattato”. Ma non sempre è stato così. E non sempre avviene tutt’ora. Guardando un
western, un
war movie o scene di
antichi sacrifici rituali, quante volte ci siamo chiesti se quegli animali siano stati trattati
crudelmente o meno?
Storia dei maltrattamenti: grandi cineasti e la crudeltà
Fin dalle prime produzioni dei cosiddetti
kolossal, un
leone che moriva in
un’arena veniva realmente
soffocato o
decapitato. In
'Ben Hur' (1959), durante la famosa scena della
'corsa delle bighe', molti
cavalli morirono dopo le
cadute. E nei film di
Tarzan, i
rinoceronti venivano
abbattuti realmente. Nel film
'Andrej Rublev' (1966) del grande regista
Andrei Tarkovsky, un
cavallo venne
colpito al collo e
spinto giù per una
rampa di scale, infilzandosi
in una picca. Venne poi
ucciso con un colpo di
fucile alla testa, per non farlo soffrire. In
'Week-end' (1967) di
Jean-Luc Godard fu
sgozzato un
suino. E nel film di
Sam Peckinpahn, dal titolo
'Pat Garret e Billy the Kid' (1973) vennero
decapitati dei
polli. Il più celebre caso, per quanto riguarda il
cinema italiano, si verificò nel film
'Novecento' (1976) di
Bernardo Bertolucci, dove un
gatto viene terrorizzato e schiacciato contro il muro (anche se poi fu dichiarato che non rimase ucciso,
ndr). Per girare il film
'Le avventure di Milo e Otis' (1989) di
Koneko Monogatari, un
gatto viene fatto
precipitare da una scogliera. Infine, nel finale di
'Apocalypse Now' (1979) di
Francis Ford Coppola, viene decapitato un
bue, così come in
'Baarìa' (2009) di
Giuseppe Tornatore viene
macellato un bovino (il regista siciliano si è poi difeso, affermando che si trattò di una ripresa effettuata proprio davanti a una macelleria,
ndr). Nel recente caso del controverso regista
Lars Von Trier, in una scena del film
'The house that Jack built' (2018) un bambino
taglia le zampe a un
anatroccolo: subito è intervenuta l'organizzazione animalista
'Peta', che ha assicurato che l'animale non è stato
ferito: è stato utilizzato un trucco.
Speriamo...
Giurisprudenza e cinemaNel
'The Cinematograph Films Animals Act', del 1937, fu emanata in
Gran Bretagna una delle prime leggi che vietavano la proiezione o la distribuzione di pellicole cinematografiche in relazione alla cui produzione potrebbero essere state causate
sofferenze agli animali o per finalità a esso connesse. I primi due articoli dichiarano:
1) “Nessuno può esporre al pubblico, o fornire a nessuno per l'esposizione pubblica (sia da parte sua che di un'altra persona), qualsiasi pellicola cinematografica (sia prodotta in Gran Bretagna che altrove) se in connessione con la produzione del film qualsiasi scena rappresentata nel film è stata organizzata o diretta in modo tale da comportare la crudele inflizione di dolore o terrore a qualsiasi animale o la crudele incitamento di qualsiasi animale alla furia”; 2) in qualsiasi procedimento avviato ai sensi della presente legge in relazione a qualsiasi film, il tribunale può (senza pregiudizio di qualsiasi altra modalità di prova) dedurre dal film come esposto al pubblico o fornito per l'esposizione al pubblico, a seconda dei casi, che una scena rappresentata nel film così come presentato o fornito è stata organizzata o diretta in modo tale da implicare la crudele inflizione di dolore o terrore a un animale o la crudele incitamento di un animale alla furia, ma (se la corte lo ritiene un'inferenza o meno) costituirà una difesa per l'imputato dimostrare di aver creduto, e di avere ragionevoli motivi per credere, che nessuna scena così rappresentata fosse stata così organizzata o diretta)”.
E negli altri Paesi?
Nel
1940 nacque un’organizzazione animalista americana, la
'American Humane Association', che tutt’oggi supervisiona, a livello internazionale, i
set dei film, per verificare che non vi siano
abusi sugli animali. Per ora, non vi è una
legge specifica riguardo il cinema, ma ci sia appella agli articoli della
legge ordinaria, che in Italia sarebbero gli
articoli 544 e
272 del
Codice penale.
Oggi sul set: il tassidermista
Durante una ripresa di un film, ci può essere una sequenza di un
animale morto o che
deve essere ucciso: si sappia che anche
addormentare un
animale con
anestesia è
vietato. Inoltre, non possono essere utilizzate
carcasse di animali per motivi di
igiene. Superando i
vezzi ‘iperrealistici’, lo
scenografo (talvolta e a seconda delle produzioni) si affida a un
tassidermista, cioè a un
imbalsamatore, che è in grado di ricostruire, con trucchi scenografici, la forma e l'aspetto dell’animale, come se fosse vivo.
Animatronics: una soluzione
Le immagini generate da un
computer sono frutto di una
ricostruzione antropomorfa, che evita l'utilizzo fisico degli
animali anche per la difficoltà e la complessità di un film (si pensi a quanto sia stato utile nell'opera
'Noah' del
2014, ndr). Se proprio abbiamo bisogno di vedere delle
morti di massa, ben venga la frase
“si vede che è finto”, affiché nessun
essere vivente venga più
sacrificato.