L’Italia è un Paese mediamente
mediocre: inutile farsi ulteriori illusioni, dopo le polemiche di questi giorni. Ed è strano dover ricordare i nostri
partigiani e i nostri
caduti di tutte le guerre, i quali hanno sacrificato la loro vita per una nazione che cade regolarmente in preda alle
dissociazioni, a vere e proprie
crisi regressive. Abbiamo
qualità eccelse, a fianco di
difetti orribili. E calcolare una
media ponderata tra questi due
eccessi è poco fruttuoso, poiché renderebbe pienamente l’idea del nostro scarso
equilibrio, delle nostre periodiche
crisi d’identità. L’Italia è risorta, come
Stato unitario, nel medesimo periodo storico della
Germania, riunificata dal
militarismo prussiano. Ma noi non abbiamo mai avuto né la
forza morale, né la
compattezza sociale dei tedeschi.
160 anni di vita sono pochi per una
nazione. Eppure, a loro son bastati per maturare come
popolo, pur avendo vissuto
l’ipnosi ‘hitleriana’ che, molto probabilmente, non sarebbe neanche capitata se la
Germania non fosse stata letteralmente
umiliata, alla fine della prima guerra mondiale. E se non vi fosse stata la grande crisi di
Wall Street del
1929, anche se quest’ultima appare una
giustificazione relativa, perché quando avvenne quel
‘tonfo’ incredibile e quella lunga depressione,
l’Italia si era già trasformata in un
regime da circa
7 anni. O per lo meno da
4, se non vogliamo calcolare i primi governi di coalizione dopo la
marcia su Roma. Siamo stati noi a suggerire a
Hitler come si instaura una
dittatura militare. Siamo stati noi a inventarci lo
Stato totalitario. Dopodiché, da
ispiratori che eravamo, ci siamo adattati al ruolo di
manutengoli del ‘mostro’, forse illudendoci di poterlo controllare come nel romanzo di
Mary Shelley, intitolato
‘Frankenstein o il moderno Prometeo’. Il processo di creazione del
‘mostro’ è la rappresentazione stessa delle nostre
paure. E chi utilizza la
paura per
finalità demagogiche, non si sa mai dove voglia andare a parare. Dopo la liberazione del
25 aprile 1945, ci siamo illusi di aver compreso la lezione. E che i
disastri, militari e politici, del
fascismo fossero alle nostre spalle. Ma così non è stato: i lunghi decenni di
democrazia ‘bloccata’ furono il risultato di un Paese condizionato dalla
guerra fredda. Dopodiché, con la caduta del
muro di Berlino, ci siamo nuovamente illusi che l’epoca della
grande paura fosse finita. Ma il nostro vizio di
generare ‘mostri’ e un’atavica mentalità perennemente in
malafede, ci hanno condotti nuovamente alla
regressione, con una
classe politica fragile e
infingarda, incapace di risolvere qualsiasi problema, che scambia molte questioni per
ideologie o si rifugia nei
complottismi più
negazionisti. Gli
ottimisti osservano – o probabilmente ipotizzano -
cicli temporali meno lunghi in questi nostri
‘sbandamenti’ da un eccesso all’altro, che in qualche modo stanno
relativizzando queste nostre
regressioni: può anche darsi che sia cosi. Tuttavia, la nostra mentalità resta quella di una continua
deresponsabilizzazione individuale, di una costante
colpevolizzazione degli altri, di una ostinata ricerca del
nemico esterno, del
‘mostro’ in estrema sintesi, che è sempre lì a condizionarci. Perché anche di
‘Frankenstein’, il romanzo che
Mary Shelley scrisse nel
1817 a soli
19 anni, non abbiamo mai capito niente: i
veri ‘mostri’ siamo noi. Siamo noi, che vorremmo abbattere gli
orsi; siamo noi che diventiamo
complottisti o
negazionisti, anziché affrontare con coraggio i nostri problemi; siamo noi che lasciamo capitare le nostre
disgrazie senza fare nulla, quanto meno per
contenerle. Senza mai
alzare lo sguardo e senza un minimo di
lungimiranza. Senza riuscire ad affrontare le nostre
dissociazioni e i nostri problemi nei confronti del
falso ‘mostro’: quello della
diversità.