Cinzia RiontinoAll'inizio erano un duo, nato dall'incontro a Parigi fra la cantante, Natalia Bacalov (figlia del grande compositore italo-argentino, ndr) e il chitarrista, Martin Sevrin. In seguito, diventano una band con l'innesto del bassista argentino, Homero Prodan e del batterista romano, Jacopo Corbari. Con questa formazione, i biVio hanno vinto il LazioSound, nella sezione ‘Songwriter Heroes’ e, successivamente, hanno pubblicato, il 21 marzo scorso, il singolo ‘Cadere più in alto’. La loro è una musica ricca di rimandi e sfaccettature, multietnica, densa di accostamenti anche molto diversi fra loro: ossimori, come d'altronde è, sia semanticamente, sia musicalmente, ‘Cadere più in alto’ (per vedere il videoclip, cliccare QUI).

Martin, Natalia, Homero e Jacopo, ascoltando la vostra produzione musicale s’incontra il rock, ma anche la musica elettronica e alcune atmosfere folk: c'è un aspetto che prevale sull'altro? Quello che più vi definisce a livello musicale?
Martin Sevrin:
“Innanzitutto, dobbiamo dire che molte cose sono cambiate durante il lockdown: non avendo la possibilità di esibirci dal vivo, il nostro unico sfogo era la produzione in studio. Pertanto, proprio in quel periodo, abbiamo avuto modo di sperimentare gli arrangiamenti dei nostri brani e ci siamo accorti che volevamo aggiungere una sezione ritmica, dato che la nostra musica si prestava ad arrangiamenti orchestrali. Così ci siamo sbizzarriti, provando a utilizzare molti strumenti, molti più di quanti potessimo pensare di suonare dal vivo”.
Natalia Bacalov: “In principio, era sicuramente il folk a prevalere sul resto delle nostre influenze. Abbiamo iniziato come duo e, nonostante ci sentissimo già un potenziale gruppo all’opera, ci siamo prima concentrati sullo sviluppo di un sound acustico. Poi, il secondo passo, è stato sicuramente il rock”.
Homero Prodan: “E’ vero: quello è stato il periodo decisivo, sia a livello di ricerca, sia di comprensione del progetto. I ragazzi volevano costruire un gruppo, ma non una rock band ‘e basta’, bensì una formazione che includesse anche le atmosfere acustiche delle loro voci che stravolgesse uno strumento classico come il violoncello in qualcosa di diverso, senza rinunciare alla profonda liricità dello strumento. Così, abbiamo anche pensato a un sistema che permettesse al basso, lo strumento che suono io, di riempire il ruolo di una tastiera e a una chitarra elettrica che producesse dei suoni particolari, sempre diversi fra loro. A quel punto, il mio innesto divenne possibile”.
Jacopo Corbari:
“Questo è quello a cui siamo giunti ora: un bel ‘mélange’ di acustico, elettrico, orchestra e anche un pizzico di elettronico, con l’arrivo di un ‘Sampling Pad’, che ci ha permesso molte soluzioni sul versante delle percussioni elettroniche. In ogni caso, non ci piace dover definire il nostro sound attraverso generi ed etichette, perché la nostra musica è sempre in evoluzione: è una creatura multiforme, che racchiude la totalità del nostro percorso e che, ogni giorno, diventa sempre più tangibile, senza che si riesca mai a coglierla del tutto”.

Come è nata l'idea di partecipare al LazioSound?
Natalia Bacalov:
“Grazie alla mamma: ci tiene sempre da parte degli articoli di giornale e quella volta siamo stati fortunati a capitare sulla presentazione di LazioSound”.
Homero Prodan: “Ci siamo subito detti che era un’occasione da non perdere e abbiamo mandato la candidatura senza pensarci troppo. In quel periodo, stavamo cercando un nuovo batterista a Roma, con cui completare il gruppo e non avevamo ancora la certezza di trovarlo in tempo”.
Jacopo Corbari:
“E allora sono arrivato io…”.
Martin Sevrin:
“E’ vero: seppur azzardata, la decisione di partecipare al concorso ci avrebbe dato la spinta necessaria per trovare in fretta il quarto membro. E infatti, così è stato. Avevamo un grande desiderio di metterci in gioco, di suonare e di produrre le nuove canzoni. LazioSound ci offriva tutto questo ed è stato così che ci siamo fiondati in questa nuova esperienza”.

Il videoclip di ‘Cadere più in alto’ ha un'atmosfera molto dark, quasi distopica: è stata una richiesta vostra o una suggestione del regista?
Martin Sevrin:
“Si tratta di una nostra scelta: avevamo in testa l’immagine di una persona che corre verso l’alto sulle scale mobili in discesa. Ci sembrava un simbolo forte per la canzone e siamo partiti da lì”.
Jacopo Corbari:
“Sì: loro avevano quest'idea. Tra l’altro, gli unici posti in cui trovarle erano i centri commerciali, gli aeroporti o le metropolitane. Sono state giornate stranissime, anche se molto divertenti”.
Homero Prodan:
  “L’ultima, la ‘metro’, era l’unica opzione realistica: la metropolitana e i suoi sottopassi ci ha dato molte più idee del previsto. Tanto che, alla fine, quella scena con le scale mobili non l’abbiamo neanche girata…”.
Natalia Bacalov:
“La metropolitana e i suoi sottopassi erano il ‘non luogo’ perfetto per raccontare il mondo interiore della protagonista. Come se i corridoi, i sottopassi e le scale altro non fossero altro che i pensieri nella sua mente, il suo modo di porsi di fronte a un problema o una paura. Questo paesaggio sotterraneo, desolato e meccanico, ben rappresentava la ‘pesantezza’ di cui parla la canzone e dalla quale si cerca disperatamente una via d’uscita”.

Con quale artista, italiano o internazionale, vi piacerebbe avere una collaborazione?
Martin Sevrin:
“Josh Homme”.
Natalia Bacalov: “Si, senza ombra di dubbio: Josh Homme è un produttore che ammiriamo molto”.
Jacopo Borsari: “E’ quello che ha realizzato il terzo disco degli ‘Arctic Monkeys’ ed è il cantante dei ‘Queens of the Stone Age’: non so se lo avete presente…”.
Homero Prodan:
“Anche Graham Sutton dei Bark Psychosis, secondo noi è notevole: sarebbe una scelta di livello”.




La foto utilizzata nel presente servizio è di Simone Proietti Marcellini, che ringraziamo

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