Gli italiani, da sempre, dicono di se stessi di essere liberali. Ma in realtà, un liberale è sempre un progressista, mai un restauratore. Non è affine ai compromessi, ma riconosce a occhio nudo un Paese bellissimo gestito da una classe politica indecente. Molta confusione, qui da noi, è sempre stata generata proprio da loro: dai liberali. Non si alzarono dalla loro poltrona il 3 gennaio 1925; e ci trascinarono in guerra sia nel 1911 contro la Turchia, sia nel 1915, nonostante il parlamento fosse, in larga maggioranza, contrario al nostro intervento nella prima guerra mondiale. Sono loro i veri teorici del trasformismo, sin dai tempi di Agostino Depretis e Francesco Crispi. Nelle aule parlamentari, essi cercano sempre il sostegno dei gruppi più retrivi, al fine di ottenere un appoggio alle loro idee, perché da sempre succubi dei socialisti. I quali, a loro volta, in Italia sono quasi sempre stati vittime dei propri esponenti più massimalisti, poiché le loro posizioni, a parte la parentesi ‘craxiana’, son sempre minoritarie, nel Partito e nel Paese. In pratica, liberali e socialisti hanno sempre sofferto della stessa, medesima, sindrome: quella di essere delle minoranze che hanno sempre incontrato delle forze ideologizzate a sinistra, ferocemente conservatrici a destra. Se i nostri liberali fossero davvero tali, non avremmo vissuto lunghi periodi di soffocamento e di dissimulazione della libertà, che dovrebbe essere il bene primario da difendere. E se i nostri socialisti fossero realmente riformisti, cercherebbero di orientare le sinistre verso la concretezza dei cambiamenti da attuare con coraggio, in economia e nella società. L’utopia di Carlo e Nello Rosselli, cioè quella di un socialismo liberale da realizzare attraverso la democrazia prendendo le distanze da ogni metodologia rivoluzionaria, che di solito sgombra il tavolo da ogni contraddizione lasciandole irrisolte, erano lontanissimi dal conservatorismo irrazionalista. Non accettarono mai una dittatura militare priva di spina dorsale, come quella fascista. E non avrebbero mai sostenuto il socialismo massimalista per “fare come in Russia”. Le minoranze avvedute, qui da noi vengono sempre e regolarmente sconfitte, poiché i ritardi e l’arretratezza del Paese finiscono col rendere la libertà economica prioritaria rispetto a quella politica. E anche il sostegno trasformista, quando c’è, conduce il Paese verso un utilizzo strumentale delle minoranze e non il contrario. In buona sostanza, viviamo in un Paese che non provoca le rivoluzioni, bensì le esalta a cose fatte. Un Paese che si adegua e chiede sempre il ‘pugno di ferro’ soprattutto verso gli avversari politici, per poi invocare moderazione e diplomazia quando si tratta di se stessi. Un Paese da sempre tendente a tornare indietro, poiché totalmente estraneo al razionalismo analitico, profondamente allergico alla verità, che preferisce la scorciatoia della rimozione al percorso, ben più lungo e tortuoso, della complessità. Un Paese fondamentalmente costruito su basi fragili ed erronee, falso e dissimulatore anche quando si dice patriottico o umanista, difensore della libertà o dei ceti meno abbienti. Ognuno si riempie la bocca con le proprie formule e si contraddice a ogni piè sospinto, mostrando il fianco ai nemici della democrazia. Ma in un Paese del genere, nessuno può veramente definirsi “un liberale”, ci dispiace.