Emanuela ColatostiLa tendenza al riscaldamento globale, per l’Italia è una volta e mezzo maggiore rispetto a quella di tutto il resto del pianeta. Un dato che non solo conferma quanto i cambiamenti climatici non siano solo un’ipotesi pessimista sul futuro, ma riguarda anche l’Italia di oggi, con i suoi frequenti incendi, i nubifragi, le siccità e i danni all'agricoltura. Sicuramente, in tutto questo ha avuto un peso la cattiva gestione del territorio. Ma non basta un singolo elemento a spiegare come mai l’Italia si stia scaldando a una velocità doppia rispetto a quella di tutti gli altri Paesi. Oltre alle politiche volte alla riduzione delle emissioni di gas serra per limitare i danni futuri, il nostro Paese ha urgenza di mettere in atto alcune ‘strategie di adattamento’, rispetto alla conseguenze dei cambiamenti climatici già in corso. E occorre una mobilitazione a tutti i livelli, dai cittadini alle municipalità, dalle regioni al governo centrale, per mettere in campo delle azioni di risposta. Gli effetti dei cambiamenti climatici cominciano a farsi vedere ormai ovunque, a dire il vero, ma poiché il mondo è così grande, è difficile individuare i vari collegamenti, per capire quanto un problema sia davvero globale. Cosa sta succedendo, insomma, a livello climatico? Secondo gli studi più recenti dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo dell’Onu che si sta occupando di monitorare i cambiamenti climatici planetari, ndr) il nostro pianeta si è scaldato di poco meno di un grado come media globale, ma stiamo andando verso un aumento della temperatura media che, a fine secolo, potrà essere, se non si interviene decisamente, compresa tra i 4 e i 5 gradi centigradi. Questo aumento della temperatura è dovuto alla continua crescita e concentrazione delle emissioni di gas a ‘effetto serra’, come il biossido di carbonio (Co2), il metano e il protossido di azoto. Il cambiamento climatico, inoltre, diviene più rapido e più rilevante rispetto alle variazioni di temperatura occorse negli ultimi diecimila anni, ossia da quanto esiste la nostra civiltà. Si tratta di cambiamenti che hanno sempre interessato la Terra, questo è verissimo: non ha del tutto 'torto', chi parla di cicli storici di riscaldamento e di raffreddamento del nostro pianeta. Solo che, fino a qualche secolo fa, essi erano mutamenti ‘lenti’, dovuti a fenomeni naturali quali, per esempio, le oscillazioni dell’asse terrestre. Oppure, duravano pochi anni, se dovuti a fenomeni vulcanici. Cosa è successo, invece, dopo l’avvento della prima rivoluzione industriale? Due cose molto importanti: a) secondo il V Rapporto dell’Ipcc, “l’influenza dell’uomo sui cambiamenti climatici è indiscutibile”. Infatti, proprio dall’inizio della rivoluzione industriale, la concentrazione atmosferica dell’anidride carbonica è aumentata del 40% a causa del massiccio uso di combustibili fossili nelle attività umane, mentre la concentrazione del gas metano è cresciuta del 150% e la concentrazione del protossido di azoto è cresciuta del 20% circa; b) i cambiamenti climatici in corso sono molto più veloci e repentini rispetto a quelli del passato, mettendo a rischio la capacità di adattamento degli esseri viventi. Bene: in tutto questo processo, l’allarme è particolarmente grave per il nostro Paese, poiché analizzando attentamente i dati delle temperature, l’Italia si sta scaldando più velocemente rispetto alla media globale delle altre terre emerse del pianeta. Il nuovo record, raggiunto nel 2014, è stato di +1.45°C rispetto al trentennio 1971-2000 (fonte: Isac-Cnr, l’istituto bolognese del Consiglio nazionale delle ricerche, che si sta occupando di monitorare i mutamenti dell’atmosfera e del clima in Italia, ndr). Anche a livello globale, sempre nel 2014, si è toccato il record delle temperature globali, con un aumento di +0,46°C rispetto al trentennio 1971-2000. Tutto ciò sta generando una situazione che rende la lotta ai cambiamenti climatici una priorità assoluta, che dev’essere contemplata in tutti i programmi e le piattaforme politiche di tutti i Partiti, progressisti o conservatori essi siano. L’errore più grave, infatti, sarebbe quello di una sottovalutazione del problema, che potrebbe generare, nel giro di qualche decennio, un innalzamento delle acque marine del nostro pianeta. Un fatto gravissimo per un ‘bacino chiuso’ come quello del Mediterraneo, che non possiede ‘sfoghi’ né sul lato di Gibilterra, né attraverso quello del canale di Suez. Inoltre, il Paese che più degli altri rischia di essere travolto dall’innalzamento delle acque, per questioni puramente geografiche è proprio il nostro, poiché si rischia di vedere buona parte dell’Italia meridionale finire sott’acqua, a cominciare dalle regioni con le coste più pianeggianti (Puglia e Basilicata). La questione, dunque, non è solamente relativa alla cosiddetta ‘guerra energetica’ o al fastidio dovuto a stagioni estive sempre più torride, capaci di provocare tragedie come quella avvenuta, il mese scorso, sul massiccio della Marmolada. Questi ultimi eventi, siccità e scioglimento dei ghiacciai, sono ancora i primi sintomi di ciò che stiamo rischiando, con un Paese per tre/quarti adagiato nel bel mezzo del mar Mediterraneo. I pericoli che stiamo correndo sono ben peggiori: c’è il rischio di un aumento del volume idrogeologico dell’intero bacino del Mediterraneo, che porterebbe l’Italia sotto il livello del mare, senza che nessuno abbia soluzioni efficaci per impedirlo. Un’eventualità che possiamo ancora evitare, se vi sarà una vera presa d’atto e di responsabilità da parte dell’intera classe dirigente del nostro Paese. Un capacità, quest’ultima, di cui dubitiamo fortemente.





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