Nel dicembre scorso, il parlamento italiano ha detto ‘No’ al ‘greenwashing’. Con un emendamento, infatti, il legislatore ha escluso la possibilità di finanziare progetti di ‘stoccaggio’ della Co2 con i fondi del ‘Piano nazionale di ripresa e resilienza’, poiché tali iniziative avrebbero avvantaggiato le fonti fossili di energia. Tuttavia, la 'partita' sulle modalità della transizione ecologica è da considerarsi ancora aperta. Oggi, a fine gennaio 2022, la Commissione europea non dispone di una linea chiara sulla ‘Tassonomia Verde EU’ (classificazione di attività industriali considerate sostenibili, ndr). La Francia, l'Italia e i Paesi dell’est europeo vorrebbero che nucleare e metano siano considerati ‘vettori verdi’ di produzione di energia elettrica. Se passerà questa linea, il ‘Ravenna Ccs Hub’ potrebbe passare dalla fase progettuale a quella operativa con fondi europei. Ma come funziona l'operazione di stoccaggio di Co2? La piattaforma ‘off shore’ di Porto Corsini (Ra) potrebbe trasformarsi nel più grande impianto di stoccaggio di Co2 al mondo. Così, l’utilizzo di metano proveniente dall’Adriatico, uscito dalla ‘porta’ sulla base di ‘Agenda 2030’ della Comunità europea, rischia di rientrare dalla 'finestra' se la ‘Tassonomia Verde EU’ verrà modificata. Ecco perché il 'cane a sei zampe', cioè l’Eni (Ente nazionale idrocarburi, ndr) è tornato alla carica: se l’impianto verrà rinnovato in tal senso, le emissioni degli stabilimenti della frazione industriale di Casalborsetti, centrali elettriche e industriali composte prevalentemente da anidride carbonica e azoto, verranno ‘spacchettate’ e la Co2 verrà veicolata verso la trappola geologica sottostante le 'off shore' di Porto Corsini.
La dismissione della ‘off shore’ ostacolata tutti i modi La conversione delle piattaforme sul mare da cui si estraeva
gas metano, non è solo una strategia per ammortizzare gli elevati
costi di chiusura. Ragion per cui, negli ultimi anni,
l’Ente nazionale idrocarburi ha avanzato diverse altre proposte di riutilizzo degli impianti, piuttosto che dismettere definitivamente
Porto Corsini, tra cui l’impianto di
pale eoliche sulle stesse. Tuttavia, la conversione
dell’off shore di
Ravenna nell’Hub Ravenna Ccs è un grave errore, almeno per tre motivi.
1) La Ccs (Cattura e sequestro del carbonio, ndr) non porta nessun beneficio economico, né ambientaleAnzitutto, la
Co2 è la molecola più
stabile tra i composti del
carbonio, per cui la sua
scissione da altri gas è possibile solo al prezzo di usare molta energia.
Eni punta sui
liquidi ionici, meno impattanti rispetto all’utilizzo di
‘ammine’, ma comunque
inquinanti. Prendiamo come esempio l’esperienza di Paesi che negli anni passati hanno chiuso
centrali di stoccaggio e
riutilizzo di
Co2, perché
non convenienti, né dal punto di vista ambientale, né dal punto di vista economico. Costruite alla fine degli
anni ’90 del secolo scorso, in un periodo in cui la
Ccs era considerata una promessa valida,
13 centrali australiane e la
‘Petra Nova’ del
Texas sono state dismesse perché del
90% di
carbonio prodotto dagli stabilimenti energetici adiacenti riuscivano a stoccarne circa il
7%: un magro risultato per investimenti che hanno superato il miliardo per ciascun impianto. L’unico
‘beneficio’ riscontrato dalle
aziende Ccs già chiuse è la possibilità di continuare a
estrarre gas da
giacimenti ormai semivuoti. Infatti, grazie alla pressione della
Co2 infiltrata nella sede da cui veniva estratto il
gas naturale, è possibile recuperare ciò che resta nel
giacimento. Per questo,
Eni alterna in modo sintomatologico la sigla
Ccs (Cattura e sequestro del carbonio, ribadiamo) a
Ccus (Cattura, sequestro e utilizzo del carbonio, ndr), riferendosi sempre allo stesso impianto di
Ravenna.2) La truffa dell’idrogeno bluInoltre, il tipo di impiantistica che
Eni andrebbe a installare sulla
‘off shore’ di
Porto Corsini permetterebbe il riutilizzo di
Co2 per la sintesi
dell’idrogeno ‘blu’ – contraddistinto da questo colore perché non è prodotto a partire da
fonti rinnovabili, ma da
gas naturale e
stoccaggio di
Co2. Ad oggi, la tecnologia che abbiamo a disposizione per
l’idrogeno ‘verde’ è ancora in fase di
sperimentazione, nonché costosa dal punto di vista economico. Tuttavia, secondo un report
dell’International Renewable Energy Agency, l’idrogeno prodotto con elettricità rinnovabile potrebbe competere economicamente già entro il
2030. Pertanto, aumentando la produzione di
energie rinnovabili si consentirebbe
all’idrogeno verde di diventare una reale
soluzione economica già nel breve periodo. Per
l’idrogeno blu, invece, abbiamo più dati a disposizione e non sono incoraggianti: il rilascio della
molecola di idrogeno si ottiene trattando il
gas metano con
vapore ad alta temperatura e
pressione, consumando quindi molta energia. Un meccanismo che dovrebbe essere compensato dalla
cattura e
stoccaggio di
Co2 emessa: operazione risultata, finora, più costosa che riuscita.
3) L’economia di prossimità come alternativa allo stoccaggioCattura e stoccaggio di
Co2 sono davvero un
compromesso inevitabile, per compensare le
emissioni ‘hard to abate’ (difficili da abbattere, ndr)? Possono sembrare l’unica possibilità in vista degli
obiettivi ‘Net zero’ del
2050, che significherebbe
non cambiare nulla del sistema produttivo. Infatti, se
Eni riuscisse a portare a casa l’obiettivo di
convertire l’off shore di
Porto Corsini in un
Ccs, si darebbe l’avvio alla distribuzione centralizzata di energia elettrica a partire
dall’idrogeno blu. Il
‘cane a sei zampe’ potrebbe effettuare lo stesso servizio usando come vettore
l’idrogeno verde, ma sempre a causa dei costi elevati e della conseguente bassa domanda da parte degli utenti, questa materia prima non risulta, ancora, sufficientemente competitiva sul mercato, perlomeno se si resta ancorati alla
visione centralizzata della
distribuzione di energia, quella del
'modello Eni'. Secondo il dottor
Leonardo Setti, ricercatore
all’Università di Bologna, appena le condizioni saranno economicamente favorevoli per transitare al verde,
l’Ente nazionale idrocarburi avrà già a disposizione una
rete di distribuzione centralizzata per
l'energia green. Secondo il ricercatore, questa strategia richiede un uso del vettore e un consumo di suolo per l’impiantistica
tre volte superiore rispetto a quella di
un’economia circolare di prossimità. Trasformare ciascun utente in un
‘produttore di energia’ sarebbe un passo decisivo verso la
conversione ecologica, dal momento che le emissioni totali di
Co2 sono composte per due terzi dai
consumi domestici. Avvicinare al consumatore il luogo di produzione energetica con il
vettore fotovoltaico, riduce lo spreco di un bene come
l’acqua anche nel settore dei
trasporti privati a idrogeno. In ogni caso, secondo
Leonardo Setti è auspicabile
“limitare l’uso di motori a idrogeno alla grande produzione industriale e ai trasporti su nave e aereo”.