Siamo alle solite, in Campidoglio. Dell’adozione del
‘Piano d’azione per l’energia sostenibile e per il clima’ (Paesc, ndr) di
Roma Capitale, se ne sente parlare almeno dal
2013, anno in cui
Ignazio Marino firmò l’adesione al
‘Piano per l’ambiente e l’energia dei sindaci’ (Paes, ndr), che avrebbe visto impegnati fino al
2030 i
primi cittadini di tutta
Europa nell’ardua impresa di ridurre le emissioni climalteranti. Quella
Giunta ebbe vita breve. Giusto il tempo di aderire al
‘Compact of Mayors’: una convenzione di
sindaci mondiali sempre volta alla mitigazione degli effetti antropici del
cambiamento climatico. La fusione della governance del
‘Patto dei Sindaci europei’ e
‘Compact of Mayors’ portò alla creazione della
‘Convenzione globale dei sindaci per il clima e l’energia’ del
2017, che avrebbe previsto un doveroso
aggiornamento del
‘Paes’ elaborato, in parte, dalla
Giunta Marino. Il mandato della sindaca
Virginia Raggi volge al termine. E solo dopo le
amministrative, in
ottobre, sapremo chi avrà l’onere di rendere esecutivo il
‘Paesc’ di
Roma Capitale, ufficialmente adottato a
giugno 2021. C’è stato molto entusiasmo nell’annuncio del
Campidoglio, che però non ha visto unirsi alla celebrazione dell’obiettivo le
parti sociali, da sempre implicate nella lotta dei conflitti ambientali cittadini. Uno degli elementi chiave del
Patto dei sindaci, infatti, era proprio la collaborazione tra
istituzioni e
cittadinanza attiva, quella che tiene sempre viva l’attenzione sulla
marginalità di
periferie che si allargano sempre più verso il
centro. Di
un milione e 300 mila famiglie residenti nella capitale, almeno
170 mila sono considerate indigenti dal punto di vista
energetico. Una
casa inospitale d’estate e
d’inverno danneggia la
salute, ma non solo. In un momento storico in cui lo
‘smart working’ rischia di diventare la
regola, penalizza le
performance lavorative. La
diciottesima assemblea capitolina non solo è
tremendamente in ritardo nell’adozione del
Paesc, ma ha tenuto fuori dal processo decisionale le
associazioni ambientaliste, le numerose
Onlus, i
sindacati studenteschi e i
centri di assistenza, i quali sono a contatto ogni giorno con il
disagio sociale. Eppure, dall’introduzione al
Piano, firmata dall’assessora all’ambiente,
Katia Ziantoni, si evincerebbe il contrario:
“Ci piace pensare che, insieme all’amministrazione, siano i cittadini, soprattutto i più "giovani e i bambini, il motore e l’energia di un futuro nuovo, che oggi, con coraggio e responsabilità, iniziamo a riscrivere”. Scrive ancora
l’assessora, ricollegandosi a una citazione di
Papa Francesco: “Se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali”. Dall’annuncio dell’adozione alla pubblicazione del
‘Paesc’ sul
sito di
Roma Capitale trascorrono altre due settimane. Pertanto, a dirla tutta, se anche un cittadino romano fosse interessato a
conoscere le politiche ambientali che influenzeranno la vita del suo
Municipio, non lo troverebbe così
facilmente. Inoltre, dovrebbe dotarsi del
numero di delibera assembleare. Non è sufficiente
un motore di ricerca generico, all’interno di un
sito. Un
Piano d’azione già vecchio, se si considera che nel
2017 si parlava della necessità di migliorarlo e renderlo operativo nel
2019. E proprio in un convegno del
6 giugno 2019 sulla
gestione dei rifiuti, si esprimeva la necessità di raggiungere un livello di raccolta differenziata del
70% entro il
2021. Ecco: attualmente siamo proprio nel
2021. Anche
‘bello inoltrato’. Ma a
Roma Capitale differenzia al
20%. In più, alcuni progetti presentati nel
Paesc ‘nuovo di zecca’ (sic!) risultano già attivi e finanziati dal
2012. Guardando i piani di
efficientamento energetico, che dovrebbero coinvolgere
l’edilizia popolare, quella della
pubblica amministrazione, quella
sanitaria e quella
scolastica, s’intravedono diversi
ostacoli. Nel dettaglio, rendere il patrimonio edilizio comunale
degno di una capitale di uno dei Paesi del
G8 è impedito dalla difficoltà di
reperibilità dei fondi. E se guardiamo ai finanziamento per
l’edilizia privata, lo scenario è radicalmente
diverso. Anche ragionando n termini
'liberal' sarebbe necessaria una
base di credito privata per lo svincolo di
eco-bonus e finanziamenti per l’adeguamento della
classe energetica di
condomini e
abitazioni private. Infine, molte informazioni sul funzionamento di
super-bonus ed
eco-bonus dovrebbero essere diffuse dagli
Sportelli per l’Energia Pulita, altra
chimera del
Paesc, insieme all’inclusione delle
parti sociali nel processo di scrittura. Insomma: da un lato,
non ci sono soldi; dall’altro
non si ha idea di
come spenderli per rendere
sostenibili le
abitazioni private. Si spera che, sul lungo termine, le
scuole, gli
ospedali e
l’edilizia popolare beneficino del dispositivo di
'governance' pensato appositamente per la messa in opera del
Paesc. ESCo (Energy Service Company, ndr) è un ente che, attraverso un meccanismo distributivo tra proprietà pubblica e privata, è pensato per dare
indipendenza energetica ed economica a
Roma Capitale, a partire da incentivi e finanziamenti (e aumenti di costi di bolletta). Ma si sa, la
salute, l’educazione e
l’abitabilità di famiglie ai margini della società
possono aspettare. Mancato l’appuntamento con la
trasparenza e la
partecipazione e arrivati in ritardo con la sua
adozione, c’è solo da sperare che almeno il
Paesc sia vincolante rispetto alla
riduzione di emissioni del
40% entro il
2030. Restano solo
9 anni. Poi, ci sarà l’auspicato obiettivo della
neutralità climatica entro il
2050. Ma non ci sono dubbi sul fatto che sarà difficilissimo
recuperare il tempo perso. Ancor di meno ce ne sono sulla certezza di chi
pagherà le spese di questo ritardo: la
società e i
cittadini.