L’obiettivo
‘zero emissioni’ appare difficile da realizzare. E, in qualche modo, la ricerca scientifica prova a rimediare alle colpe di un industrialismo sfrenato. L’idea di catturare
l’anidride carbonica e di
cementarla nel terreno allo
stato liquido, di per sé non sembra cattiva. Questo processo, che si chiama
‘stoccaggio geologico’ della
Co2 e che, come effetto secondario, ha quello che produrre
idrocarburi sta facendo
'gola' a
Eni. Il
ministero della Transizione ecologica è in procinto di accogliere l’istanza del
‘cane a 6 zampe’, riguardante il progetto sperimentale di
stoccaggio della
Co2 nella
concessione A. C. 26 E. A. al largo di
Ravenna. E questo sarebbe solo il primo passo di un’operazione più ambiziosa, attraverso la quale
Eni punta a stivare in fondo ai mari della penisola circa
500 milioni di tonnellate di
anidride carbonica. In sostanza,
nell’Adriatico si sta preparando l’ennesima operazione di
‘greenwashing’, ai danni dell’ambiente. Se nel
2019 sono state pubblicate le
'linee-guida' per la dismissione di giacimenti petroliferi esauriti, ecco che nelle diverse versioni del
Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) spuntano fondi per prolungare il ciclo di vita dei pozzi in concessione a
Eni. Ogni dismissione costerà tra i
15 e i
30 milioni di euro. Ma né il
Mise (Ministero per lo Sviluppo economico, ndr), né le
aziende concessionarie sembrano sulla strada di farsi carico di tale spesa. È stata
l’Unione europea a
‘cassare’ la proposta, inserita nel
‘Piano nazionale di ripresa e resilienza’ italiano, di produrre con fondi pubblici
idrogeno da
metano, con connessa cattura e stoccaggio di
Co2. Per l’obiettivo
Agenda 2030, su cui
l’Italia è
in ritardo di almeno
10 anni, non è prevista la
‘scorciatoia’ che vorrebbe prendere
Eni insieme a
Roberto Cingolani. Il
ministro per la Transizione ecologica si mantiene sul filo di lana:
“Spero che non ce ne sia bisogno. Se saremo bravi a fare le rinnovabili, forse non dovremo farlo. La Co2 da qualche parte va sotterrata e l’Italia ha un problema rispetto agli altri Paesi, poiché gli studi dimostrano che va valutato attentamente il rischio sismico, visto che va messo dentro i giacimenti esausti”. Il
Mite (Ministero per la Transizione ecologica, ndr) dispone di tutti gli elementi che la scienza ha messo a disposizione in anni ed anni di studi sull’impatto dello
stoccaggio di Co2. Quanto basta per
rigettare l’istanza. E il gruppo di studio
‘Energia per l’Italia’ – coordinato dal professor emerito
Vincenzo Balzani dell’Università di Bologna – ha fornito ottimi motivi per rispedire al mittente tutti i nuovi progetti di stoccaggio della
Co2: “Lo stoccaggio di Co2, come hanno dimostrato analoghe attività in altre aree, potrebbe provocare un progressivo incremento della sismicità: una cosa molto pericolosa nel territorio ravennate, che già presenta un rischio sismico medio-alto ed è soggetto a significativi fenomeni di subsidenza. Inoltre, la letteratura scientifica è scettica sulla possibilità che si possa immagazzinare permanentemente la CO2”.