Il ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione della Repubblica italiana, Renato Brunetta, sta prendendo in carico la difficile pratica di mandare avanti i concorsi pubblici banditi negli ultimi anni. Si parla di 22 mila assunzioni al ministero della Giustizia; dal sito del ministero della Pubblica istruzione si apprende che verranno assorbite 740 mila professionalità nel mondo della scuola entro il 2025; circa 2800 posti per le amministrazioni del Mezzogiorno. A dispetto della retorica sull’ingente impiego nella Pubblica Amministrazione in Italia, i dati dell’Istat ci dicono che il ‘Belpaese’ non si comporta molto diversamente dalla Germania e dal Belgio, Paesi considerati virtuosi nella gestione della ‘cosa pubblica’. Vero, però, è che il personale che tiene in piedi l’apparato burocratico nazionale non è tra i più giovani. Dal 2000 al 2017 vi è stata una riduzione del 5% di occupati nel settore, il che segnala un mancato ricambio. I concorsi banditi negli ultimi due anni rappresentavano una boccata d’ossigeno non solo per ‘i giovani’ appena usciti da un percorso di studio, bensì per l’intera Pubblica amministrazione: finalmente, sarebbe avvenuto quel ricambio generazionale auspicato da almeno 20 anni. Il Covid 19 sicuramente non facilita la pianificazione di procedure concorsuali, variabili come la curva dei contagi. Adducendo a motivazione l’eccezionalità dell’odierna condizione esistenziale, il ministro Brunetta dispone la possibilità di cambiare i requisiti d’accesso ai concorsi di bandi già pubblicati. Ecco come interviene per semplificare la procedura selettiva: “Al fine di ridurre i tempi di reclutamento del personale, le amministrazioni prevedono le seguenti modalità di svolgimento delle prove, assicurandone comunque il profilo comparativo: una fase di valutazione dei titoli legalmente riconosciuti ai fini dell’ammissione alle successive fasi concorsuali. I titoli e l’eventuale esperienza professionale, inclusi i titoli di servizio, possono concorrere alla formazione del punteggio finale”. La lettera C, comma 3, dell’articolo 10 del decreto legge n. 44 del 2021 ha sollevato un imponente 'polverone', con tutte le ragioni di migliaia di ‘indignati’, che si vedono tagliati fuori da un concorso per il quale studiano da anni. In sostanza, il ministro vuole darsi la possibilità di ridurre i partecipanti ai concorsi pubblici attraverso titoli e servizi (sempre valutati all’interno delle procedure concorsuali). Il mancato emendamento del succitato comma 3 del Dl n. 44 inserirebbe un’ampia discrezionalità nei prerequisiti di accesso ai concorsi pubblici: si potrebbe addirittura pensare di bandire un concorso pubblico disegnandolo su una singola figura professionale. Insomma, l’Italia è già stata sanzionata dall’Europa per avere una legislazione in merito ai contratti pubblici di appalto, giudicata poco trasparente su molteplici fronti: valore stimato dell’appalto; motivi di esclusione di concorrenti; modalità di subappalto; mancate indagini su offerte immotivatamente basse. Proseguire sulla medesima strada per quel che riguarda i concorsi pubblici, rispondendo unicamente all’imperativo della ‘semplificazione’, è una modalità d’azione che, sul lungo termine, non porta da nessuna parte. Si potrebbe, finalmente, iniziare una riflessione seria sulle modalità in cui vengono attuate le prime 'scremature' nei concorsi pubblici. E si potrebbe iniziare a riflettere sul valore effettivo di alcuni titoli, che molto spesso hanno l’unico scopo di riempire i portafogli di enti ‘accreditati’. Infine, si potrebbe finalmente iniziare a rilevare le cause strutturali del precariato in Italia. Per ora, gli effetti prevedibili del Dl 44/2021 è il fermo a nuove energie in ingresso nella Pubblica Amministrazione. Almeno per quel che concerne il concorso del ministero della Giustizia, sembra che l’età media dei partecipanti si alzerebbe vertiginosamente a 54 anni nel caso in cui si decida di saltare la preselettiva per valutare direttamente i titoli. Dunque, non sarebbe un concorso pubblico, bensì una ‘stabilizzazione’, seppur necessaria. Così si è prodotta la prevedibile spaccatura degli aderenti ai concorsi: i precari storici, che con ogni probabilità possiedono i titoli e i servizi necessari per essere ammessi alla seconda fase di selezione; gli afferenti da altri contesti lavorativi, che al pari dei neolaureati potrebbero non possederei i titoli richiesti. Mentre nessuna delle due categorie riesce a prestare orecchio alle ragioni dell’altra, si ‘legifera in eccezione’, alimentando le ‘malattie’, mai curate, della Pubblica amministrazione, per agire sui sintomi anziché eliminare le cause. Nella prefazione di Friedrich Engels al ‘18 Brumaio di Luigi Bonaparte’ di Karl Marx si legge: “Hegel nota che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della Storia universale si presentano sempre, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia; la seconda, come farsa”. Continuare a creare classi di lavoratori precari all’interno della Pubblica amministrazione di certo non blocca il ciclo dell'eterna ripetizione dell’uguale.