Il
cervello umano, per molti aspetti, continua a essere un
abisso inesplorato. E la scienza non da molto ha cominciato a vedere la
'luce' sul
'dove' e sul
'come' avvengano quelle
'reazioni chimiche' che si traducono in
comportamenti. Anche la diatriba tra
'normalizzazione' attraverso trattamento
medico e
psicologico da un lato, o mediante
terapie alternative dall'altro, risulta ancora aperto. Innanzitutto, per quel che riguarda la
depressione, la sua categorizzazione nel novero delle
malattie psichiatriche, o in quanto
disturbo comportamentale, è ancora oggi confinato in un
limbo d'incertezza scientifica. In tale contesto, rientra la tematica sui
farmaci 'regolatori dell'umore', che negli ultimi decenni sono diventati maggiormente conosciuti dall'opinione pubblica. Alcuni di questi, infatti, vengono utilizzati nell'ambito delle
terapie psichiatriche per controllare molti
episodi maniacali. Ebbene, i risultati di alcune ricerche condotte da due Onlus, la californiana
Cchr International (Citizens Commission on Human Rights, ndr) e la milanese
Ccdu (Comitato dei cittadini per i diritti umani, ndr), sono piuttosto severi nei confronti dei cosiddetti
'stabilizzatori dell'umore'. Stando infatti a quanto riferiscono le due associazioni, l'assunzione prolungata di sostanze di questo genere comporta il rischio di
aggravare la situazione dei pazienti, poiché in grado di generare
ansie, allucinazioni, condotte irrazionali e
imprevedibili. A cominciare dal
litio, generalmente usato per intervenire negli
'episodi maniacali': un minerale da sempre esistente in natura sotto forma di
sale e indubbiamente
tossico, dunque appartenente alla categoria dei
'veleni'. Il
litio, oltre a ottenere un
effetto sedativo, può infatti generare molti
danni, poiché il corpo umano non riesce a
metabolizzarlo, sottoponendo i
reni a uno sforzo notevole per eliminarlo. E il suo utilizzo a
lungo termine, finisce col danneggiare principalmente i
reni, oltreché il nostro cervello.
Cchr International e
Ccdu, inoltre, puntano il dito anche contro altri
'antipsicotici': non sono da prendere
'sottogamba' e li sconsigliano a quei soggetti che debbono combattere la
sindrome 'bipolare'. Dalla loro ricerca emerge, in sostanza, che i regolatori dell'umore
'nascondano' il
disturbo mentale, senza risolverlo alla radice. E la loro
critica alla psichiatria si focalizza intorno alla mancata risoluzione della
patologia per cui vengono prescritti i farmaci incriminati. Parte del problema risiederebbe nella
distinzione, poco netta dal punto di vista scientifico, tra
disturbo medico e
psichiatrico. Ma secondo
Cchr International e
Ccdu, nel campo della
salute mentale non esistono test di laboratorio equiparabili a quelli di altri campi medici: un'affermazione
estrema, che tende quasi a
escludere la psichiatria dal
campo scientifico e che, pertanto, non possiamo condividere. Le due Onlus propongono anche di guardare alle possibilità date dalla
'medicina alternativa', senza però fornire indicazioni ulteriori in tal senso. Che la
terapia pisco-farmacologica non sia una
'passeggiata di salute', neanche il più ortodosso dei
medici psichiatri lo affermerebbe. Proprio per questo motivo, farmaci come il
litio non vengono somministrati con leggerezza. E per quanto riguarda i
disturbi bipolari, la
depressione e le altre
patologie psichiatriche per le quali vengono prescritti i farmaci incriminati, esse non possono di certo essere trattate come un
raffreddore o
un'influenza. Che il
trial clinico degli
psicofarmaci sia diverso da quello di molti altri medicinali, è senz'altro un fatto: anche il preciso funzionamento
dell'aspirina è rimasto oscuro per decenni. Ed è parimenti vero che, fin quando si continuerà a parlare di
medicina 'allopatica', bisognerà anche fare i conti con tutta una serie di
effetti collaterali. Tuttavia, il dubbio che malattie psichiatriche come il
bipolarismo siano condizioni migliori di ogni
cura 'psico-farmacologica' va respinto:
senza litio o
depakin (o qualsiasi altro stabilizzatore dell'umore), molti malati non avrebbero la minima possibilità di condurre un'esistenza che possa essere, anche solo lontanamente, paragonata alla
normalità. Filosofeggiare sul tema
dell'equilibrio mentale soggettivo, o cercare di rincorrere la
'causa prima' di una malattia, dimenticando di mantenere sotto controllo i
sintomi, significa perdere d'occhio uno degli
obiettivi principali di una terapia: il
benessere di un paziente affetto da una
patologia psichiatrica. E' senza dubbio importante non
confondere i sintomi di una malattia con la sua
causa primaria: una questione che da tempo si pone al vaglio della
riflessione medica. Ma una volta individuata la
seconda, è profondamente errato
dimenticare o
sottovalutare i primi. Soprattutto, quando ci troviamo di fronte a
patologie complesse, che prevedono un
lungo percorso di guarigione.