Emanuela ColatostiIl cervello umano, per molti aspetti, continua a essere un abisso inesplorato. E la scienza non da molto ha cominciato a vedere la 'luce' sul 'dove' e sul 'come' avvengano quelle 'reazioni chimiche' che si traducono in comportamenti. Anche la diatriba tra 'normalizzazione' attraverso trattamento medico e psicologico da un lato, o mediante terapie alternative dall'altro, risulta ancora aperto. Innanzitutto, per quel che riguarda la depressione, la sua categorizzazione nel novero delle malattie psichiatriche, o in quanto disturbo comportamentale, è ancora oggi confinato in un limbo d'incertezza scientifica. In tale contesto, rientra la tematica sui farmaci 'regolatori dell'umore', che negli ultimi decenni sono diventati maggiormente conosciuti dall'opinione pubblica. Alcuni di questi, infatti, vengono utilizzati nell'ambito delle terapie psichiatriche per controllare molti episodi maniacali. Ebbene, i risultati di alcune ricerche condotte da due Onlus, la californiana Cchr International (Citizens Commission on Human Rights, ndr) e la milanese Ccdu (Comitato dei cittadini per i diritti umani, ndr), sono piuttosto severi nei confronti dei cosiddetti 'stabilizzatori dell'umore'. Stando infatti a quanto riferiscono le due associazioni, l'assunzione prolungata di sostanze di questo genere comporta il rischio di aggravare la situazione dei pazienti, poiché in grado di generare ansie, allucinazioni, condotte irrazionali e imprevedibili. A cominciare dal litio, generalmente usato per intervenire negli 'episodi maniacali': un minerale da sempre esistente in natura sotto forma di sale e indubbiamente tossico, dunque appartenente alla categoria dei 'veleni'. Il litio, oltre a ottenere un effetto sedativo, può infatti generare molti danni, poiché il corpo umano non riesce a metabolizzarlo, sottoponendo i reni a uno sforzo notevole per eliminarlo. E il suo utilizzo a lungo termine, finisce col danneggiare principalmente i reni, oltreché il nostro cervello. Cchr International e Ccdu, inoltre, puntano il dito anche contro altri 'antipsicotici': non sono da prendere 'sottogamba' e li sconsigliano a quei soggetti che debbono combattere la sindrome 'bipolare'. Dalla loro ricerca emerge, in sostanza, che i regolatori dell'umore 'nascondano' il disturbo mentale, senza risolverlo alla radice. E la loro critica alla psichiatria si focalizza intorno alla mancata risoluzione della patologia per cui vengono prescritti i farmaci incriminati. Parte del problema risiederebbe nella distinzione, poco netta dal punto di vista scientifico, tra disturbo medico e psichiatrico. Ma secondo Cchr International e Ccdu, nel campo della salute mentale non esistono test di laboratorio equiparabili a quelli di altri campi medici: un'affermazione estrema, che tende quasi a escludere la psichiatria dal campo scientifico e che, pertanto, non possiamo condividere. Le due Onlus propongono anche di guardare alle possibilità date dalla 'medicina alternativa', senza però fornire indicazioni ulteriori in tal senso. Che la terapia pisco-farmacologica non sia una 'passeggiata di salute', neanche il più ortodosso dei medici psichiatri lo affermerebbe. Proprio per questo motivo, farmaci come il litio non vengono somministrati con leggerezza. E per quanto riguarda i disturbi bipolari, la depressione e le altre patologie psichiatriche per le quali vengono prescritti i farmaci incriminati, esse non possono di certo essere trattate come un raffreddore o un'influenza. Che il trial clinico degli psicofarmaci sia diverso da quello di molti altri medicinali, è senz'altro un fatto: anche il preciso funzionamento dell'aspirina è rimasto oscuro per decenni. Ed è parimenti vero che, fin quando si continuerà a parlare di medicina 'allopatica', bisognerà anche fare i conti con tutta una serie di effetti collaterali. Tuttavia, il dubbio che malattie psichiatriche come il bipolarismo siano condizioni migliori di ogni cura 'psico-farmacologica' va respinto: senza litio o depakin (o qualsiasi altro stabilizzatore dell'umore), molti malati non avrebbero la minima possibilità di condurre un'esistenza che possa essere, anche solo lontanamente, paragonata alla normalità. Filosofeggiare sul tema dell'equilibrio mentale soggettivo, o cercare di rincorrere la 'causa prima' di una malattia, dimenticando di mantenere sotto controllo i sintomi, significa perdere d'occhio uno degli obiettivi principali di una terapia: il benessere di un paziente affetto da una patologia psichiatrica. E' senza dubbio importante non confondere i sintomi di una malattia con la sua causa primaria: una questione che da tempo si pone al vaglio della riflessione medica. Ma una volta individuata la seconda, è profondamente errato dimenticare o sottovalutare i primi. Soprattutto, quando ci troviamo di fronte a patologie complesse, che prevedono un lungo percorso di guarigione.


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