Sabato
5 settembre, i
'negazionisti' del
Covid sono scesi in piazza. Non erano soli: ad accompagnarli c'erano anche le fila dei
'No vax', i
'complottisti' del
5G e altre
minoranze di minorati. Stavolta, persino quei Partiti di opposizione che hanno cavalcato le
'mutilate' velleità
'libertarie' dei rabbiosi cittadini scesi in piazza. È apparentemente contraddittorio come gli inquisitori della
'dittatura sanitaria' in atto siano gli stessi che sono affascinati da certi
leader carismatici, che promettono di essere
quell'uomo forte in grado di portarli
fuori dalla crisi. Le lunghe procedure della
democrazia suscitano insofferenza nel club degli
'illuminati' sul sistema. Ma diviene cosa lecita chiedersi perché una simile
contraddizione riesca anche solo a trovare spazio di espressione nella pubblica piazza, nelle città e, soprattutto, sui
'social network'. Durante il Settecento, abbiamo conquistato faticosamente il
'relativismo etico', che a ragione rivela la storicità di istituzioni e procedure giuridiche, rendendole meno
'assolute' e
'omnicomprensive'. L'acme di questo lungo processo di riflessione fu la
decapitazione del re, per volontà di un
tribunale rivoluzionario. L'analisi storica della considerazione di ogni valore ha portato a una messa in dubbio dei contenuti stessi della
Storia. Ecco lo slittamento metodologicamente fallace: il transito dal
relativismo al
revisionismo, soprattutto per i
'liberi pensatori', è profondo quanto il gradino di una scaletta per bambini. La disciplina storica sui manuali è frutto di una
metodologia precisa, esattamente come le pubblicazioni su
riviste specializzate di
medicina. Le questioni di metodo sono quelle più difficili da far comprendere a un pubblico più vasto. In un guazzabuglio di
pretesa 'coerenza' da un lato e le svariate
polarizzazioni identitarie tra
'noi/loro' dall'altro, i manifestanti di sabato scorso sembra non abbiano ancora oggi introiettato i
pregi maggiori della
democrazia, in cui poteri, ruoli e competenze sono
separati. Se in un primo momento alcuni
specialisti avevano sottovalutato la capacità di
diffusione esponenziale del
Sars-Cov2, è anche importante rilevare come in nessun caso
medici, virologi o
scienziati abbiano preteso di intervenire nelle risposte che la
politica ha dovuto fornire in questi mesi, al fine di
gestire il
virus in maniera quanto meno efficace. Ma
l'uomo forte del popolo non commette sbagli: egli persegue la sua linea di condotta fino alle più
estreme conseguenze. Dove queste portino,
poco importa. È un mistero dove sia finita quella capacità insita nell'istinto di sopravvivenza di
osservare gli errori altrui, al fine di preservare se stessi. E neanche
l'evidenza empirica porta i
'negazionisti' a ritrattare le proprie posizioni. Nella loro
concezione distorta della
libertà, esiste solo il proprio
interesse e ciò che lo
limita. Poiché il
benessere sociale, ovvero quello
generale, dà confini precisi alla possibilità di agire del
singolo, allora non può essere un qualcosa che
'conviene' al
singolo stesso, anche in un'ottica meramente
utilitaristica. Sotto lo stendardo della
'coerenza' e
dell'immutabilità muore qualsiasi forma di
dialettica volta ad alimentare un
confronto costruttivo. Ogni soggetto o istituzione diviene un
nemico da combattere, per raggiungere la piena e completa realizzazione della propria
individualità. Un
individualismo tanto
tossico, quanto
opportunista, nel momento in cui la
'colpa' di un qualcosa che
non funziona ricade sempre
sull'altro e mai sul
sé. Anche in questo frangente, stiamo perdendo l'ennesima
occasione di
crescita e di
collaborazione. Negando la
pandemia, infatti, viene negata anche ogni
speranza di cambiamento che l'attuale situazione potrebbe portare. Vorrebbero essere
'motore' e, invece, sono solo un
'freno'. Non comprendere la straordinarietà della situazione che questo
2020 ci sta facendo vivere, li porta a essere drammaticamente
"inattuali", per dirla con
Giovanni Gentile. Almeno quanto chi dice di
attendere il 'Messia' quando
"Dio è morto".